“Fare la mamma e basta”, il lavoro invisibile che fa funzionare ma non è pagato. Cura ma è dato per scontato. Può diventare un lavoro ufficialmente riconosciuto dunque retribuito? Un lavoro per il quale sia richiesto e/o suggerito ad esempio anche l’aggiornamento professionale?
E’ la provocazione che l’Adnkronos ha lanciato a Giulio Prosperetti, giudice della Corte Costituzionale ed autore di ‘Ripensiamo lo Stato Sociale’ che, individuando nel tema “un problema culturale importante”, risponde: “Certo, nella società nella quale il lavoro sarà sempre meno, si dovrà pensare non solo a dare dei sussidi ma anche a
garantire una dignità a chi non fa un lavoro produttivo ma sociale e la maternità in primis può rientrare in questo spettro”.
Nella nostra Costituzione “la retribuzione non è soltanto il corrispettivo sinallagmatico (in diritto – ndr) della prestazione”, spiega Prosperetti che nella raccolta di scritti, edita da Cedam, delinea la necessità di un ripensamento culturale del nostro stato sociale poichè “la crisi è giuridica, non economica”. Nel nostro concetto costituzionale di retribuzione, “distinta da una di matrice liberale, c’è una componente legata alla prestazione assistenziale”. Pertanto “in determinate situazioni di opere utili, ma non produttive – spiega il giurista – sarebbe opportuno che la fiscalità generale integrasse le retribuzioni” e che “l’articolo 36 non si riferisse solo agli obblighi delle aziende ma anche a quelli dello Stato nel garantire una esistenza libera e dignitosa al lavoratore”.
Cosa che in teoria è prevista da un Istituto esistente “che è la Cassa per gli assegni familiari – fa presente il Giudice – i
cui importi sono tuttavia ridicoli e diventano significativi solo dopo il quarto figlio ed in caso di redditi estremamente bassi”. Fatto che è “veramente incredibile – prosegue – perchè da 50 anni si lamenta la mancanza di una tutela efficace per la famiglia ma è stato fatto il nulla. Indubbiamente – insiste – le prestazioni per il nucleo familiare in Italia non sono significative ed andrebbero integrate in una politica che favorisca la natalità”.
Prosperetti lancia la sua sollecitazione in prospettiva post industriale: “La nostra costituzione è lavoristica, ciò significa che il lavoro è la porta di tutte le tutele”. E’ necessario pertanto arrivare a “prestazioni universalistiche che non favoriscano l’ozio” e non cadano nella “trappola del welfare. E’ paradossale che in Italia ci siano mille cose da fare ma altrettante persone che stanno a spasso. Occorre ricalibrare gli istituti giuridici nell’ottica del post-industriale perchè la crisi non è economica, ma giuridica”.
Flessibilizzazione della tutela delle lavoratrici madri che non collida con la parità e necessità dell’intervento pubblico a sostegno della famiglia, in cui ad esempio l’astensione obbligatoria (modificata a partire da quest’anno in cui le lavoratrici dipendenti in gravidanza potranno decidere di restare a lavoro fino al giorno del parto e di fruire i cinque mesi di congedo di maternità obbligatoria dopo la nascita del figlio), non divenga “un problema ed una specie di
alibi per scaricare sull’impresa un costo”. Per meccanismi originati dalla necessità di “tutele rigide nel nostro ordinamento, in corrispondenza ad una organizzazione del lavoro vetero-industriale che fatica ad adeguarsi al lavoro del terzo millennio”.
Roberta Lanzara
Pubblicato su Adn Kronos