La guerra c’è e riguarda tutti: nessuno escluso. Non si sa ancora se saremo chiamati in causa direttamente, ma certo è che le conseguenze le stiamo già pagando. Si fa un gran parlare di ragioni, diritti, democrazia, dispotismo, diplomazia e quant’altro gli eventi inducano a richiamare, come denuncia o tentativo di soluzione pacifica dei contrasti, ma nulla del genere sta accadendo. Si sentono più gli spari delle parole e nessuno al momento sembra recedere dalla propria posizione.

Non recede Putin che ritiene l’Ucraina una nazione a sovranità limitata, da tenere sotto l’influenza della grande Madre Russia. Non recede Zelensky, che ha forse il torto di aver preso troppo sul serio il suo ruolo di garante della Repubblica e non ci sta a sottoscrivere atti di sottomissione. Le forze in campo sono assolutamente sproporzionate con un esercito, quello russo e un armamentario bellico, in grado di eliminare qualsiasi resistenza il popolo ucraino voglia opporre. La partita, sul piano teorico ha un esito scontato e dipende solo da quanto l’aggressore deciderà assestare il colpo finale. Stupisce che dopo due settimane di combattimenti la Russia, o meglio Putin, non abbia ancora piegato il popolo ucraino che, in tutti i modi cerca di difendersi.

Le altre nazioni cercano di non inasprire i toni e trasformare un conflitto locale in uno scontro mondiale, dagli scenari imprevedibili. Chi non approva l’operato della Russia cerca di aiutare gli ucraini con mezzi di sussistenza, disponendosi ad accogliere i profughi e anche prestandosi in azioni militari, sfidando le ire del tiranno. Chi si oppone all’invasione, spacciata per un’operazione speciale di ripristino della normalità, viene bollato come popolo ostile e fatto oggetto di ritorsioni: l’Italia tra questi. Ci si sta dividendo, chi da una parte, chi dall’altra, anche se i più sono a favore dell’Ucraina, ritenendo che una nazione abbia diritto a preservare la propria autonomia e a difendere la propria libertà.

Non mancano le speculazioni: No Putin/No NATO, come se si potessero mettere sullo stesso piano; riconoscendo al contrario la logica perversa dei due blocchi, in cui questa guerra ci ha drammaticamente riproiettato. Si invoca la pace e tutti concordano; ma solo idealmente. I diretti responsabili stanno esibendo una prova muscolare che non ammette deflessioni e su cui ci si gioca la faccia, in un inedito confronto tra aggressore e aggredito. I bombardamenti continuano e non accennano a ridursi, anzi ormai lo scontro ha assunto dimensioni sempre più vaste e distruttive, provocando sempre più morti tra la popolazione. Fino a che punto si potrà arrivare: quale sarà il limite di indignazione dell’umanità di fronte a uno sterminio lucido, cinico, calcolato allo scopo di riportare sotto controllo un paese autonomo che ha osato fare scelte autonome? Comportamento, giudicato irriverente dalla grande Madre Patria Russia, ritenutasi oltraggiata nella propria onorabilità e meno tutelata nella propria sicurezza. Sono ragioni sufficienti per scatenare una guerra? Un disastro patente a livello umanitario, rispetto a un rischio paventato o solo presunto? Come si fa a resistere, resistere, resistere se non si hanno i mezzi sufficienti.

I paesi amici possono solo aiutare a difendersi, quindi niente armi offensive. Ma la distinzione rischia di essere uno stucchevole sofisma, elusivo della realtà. Per difendersi bisognerebbe eliminare le fonti di rischio, gli strumenti di guerra, i mezzi finalizzati alla distruzione. A meno che, si pensi che l’aiuto agli aggrediti si debba limitare alla fornitura di sussidi farmacologici e ospedalieri. La non violenza viene evocata come strumento di dissuasione dal ricorso alle armi e alle azioni bellicose, ma spesso i destinatari si rivelano sordi ai richiami e tutto resta invariato.

Se Putin non si ferma, come sostengono i servizi delle varie intelligenze internazionali, cosa si fa? Indegno che ci sia chi vorrebbe che il più debole, l’Ucraina, accettasse la resa, non potendo reggere la competizione col più forte, la Russia. Credo che solo un fronte compatto delle nazioni che non accettano di vedere lesi i diritti di autodeterminazioni dei popoli, possa far sentire con forza la propria voce, condannando quanto sta succedendo.

Non è il momento della corsa al negoziato singolo, magari per intestarsi il merito di una tregua: la mediazione ha senso come tentativo di facilitazione per un accordo condiviso, in cui l’apporto personale può essere di aiuto nel far accettare le condizioni della tregua e il ritorno alla pace. Il gioco della guerra è pericoloso perché chiude sempre con un bilancio negativo, fatto di perdite, sofferenze e dolori per tutta l’umanità. Perché allora non pensare di mandare una delegazione dell’ONU a Kiev, per indurre i belligeranti a cessare i bombardamenti e ridare la parola alla diplomazia e fiducia alla ragione?

Adalberto Notarpietro

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