Fortunatamente ci sono ancora momenti in cui tutti gli italiani possono sentirsi dalla stessa parte. E riconoscersi concordemente nelle istituzioni del proprio ordinamento democratico.

Su queste pagine, lo abbiamo ricordato in piu occasioni commentando gli interventi del Presidente della Repubblica. È giusto riconoscerlo oggi anche nei confronti della Presidente del Consiglio dei Ministri: non si abbandonano i propri feriti sul campo. Si va a riprenderli.

Quando è in gioco la vita, è violata la libertà e la dignità di un proprio cittadino, è giusto, a costo di rischiare un azzardo, rompere le mille cristallizzazioni della diplomazia e mettere le carte in tavola con chiarezza. Insomma, quando ci vuole, ci vuole…

Ha fatto bene Giorgia Meloni a precipitarsi a Mar-a-Lago, nella tana di quel nuovo potere che si profila all’orizzonte nella forme di una ibrida sovrapposizione tra il classico e tradizionale potere “politico” ed i poteri “altri” dell’ economia, della tecnologia, dell’informazione che – simbolicamente, ma non solo – Elon Musk riassume nella sua figura. Fedele guardiano ed, a suo modo, garante nei confronti di determinati ambienti, dell’
“ortodossia trumpiana” o addirittura gola profonda o, meglio, “uomo di pensiero” di una inedita architettura istituzionale che si insedia nella più grande democrazia del mondo e profuma, se non di regime, di una qualche declinazione autocratic a?

Ci auguriamo che Cecilia Sala venga quanto prima restituita alla sua libertà, alla sua famiglia ed alla sua professione.
Nella quale non mancano, accanto a Cecilia, numerose altre donne che affrontano con coraggio, armate solo della loro telecamera e del taccuino, scenari di guerra che ogni giorno le espongono a gravi rischi.

Va, altresì, detto che l’iniziativa solitaria di Giorgia Meloni concorre plasticamente a porre in evidenza la drammatica inconsistenza di una qualche politica comune, sul fronte delle relazioni internazionali, dell’Europa “dei 27”.

La parabola di Macron, giunta al suo fisiologico crepuscolo, in fondo è, a suo modo, riprova della scarsa consistenza di forze politiche cristallizzate attorno al
carisma presunto del “leader”, al momento simpatico – da noi, si direbbe, del “federatore” – ma, talmente lontane, anzi programmaticamente ostili alle culture politiche storicamente consolidate, da risultare incapaci di radicarsi nel destino di un Paese. In quanto alla locomotiva tedesca, è la stessa figura di Scholz – perennemente tormentato dal dubbio se andare o meno a Mosca, rischiando di tornarsene con le pive nel sacco – a mostrare lo smarrimento in cui rischia di avvitarsi.

In questo quadro, è giusto chiedersi se la sembra garrula Ursula Von den Leyen sia davvero in grado di reggere il peso del “cantiere” Europa. È nata come costola della Merkel ed ora abbandonata a sé stessa, visibilmente arranca.

Gli stessi maggiori partiti europei, nella loro dimensione collettiva, non brillano di luce propria. Anzi, il Partito Popolare rischia, in Austria, di infilarsi nel tunnel buio di una collaborazione governativa con il partito neo-nazista che, francamente, pone il tema della compatibilità degli austriaci con la famiglia popolare europea.

In questo quadro sgranato, Giorgia Meloni, augurandoci che non si tratti di un contingente “do ut des”, si è proposta come mediatrice e sponda – non è la stessa cosa – tra Trump e l’Europa. È giusto, a questo punto, prenderla sul serio, riconoscerle un credito – esigibile anche nei confronti degli altri Paesi europei che pur si mostreranno poco disponibili a pagarlo – ed attenderla alla prova. A quale mediazione pensa? E a quale Europa?

La Meloni trova comodo in Italia giocare a porta vuota, ma non sarà così sul piano di quelle relazioni internazionali che, a detta di molti, sono state lo scenario su cui ha recitato meglio la sua parte. Ma soprattutto quale Italia, quali energie produttive, culturali , sociali, morali , civili, quale Paese ritiene di poter impegnare in quest’ opera?

Una domanda su tutte: pensa di riaffermare, nei confronti di quel processo involutivo che potrebbe corrodere la democrazia in salsa trumpiana degli Stati Uniti, la vocazione espressamente libera e democratica, storicamente propria dei maggiori Paesi europei, fondata sulla centralità dei Parlamenti e sul primato della rappresentanza, sia pure espressa secondo formule differenti? Oppure, vuole lisciare per il verso del pelo la “nouvelle vague” a striscie e stelle, allineandole il nostro Paese, ad esempio anche attraverso il “premierato”?

Ben venga, ad ogni modo, Giorgia Meloni, dopo aver abbandonato i suoi antichi approdi ed invertita la rotta, su posizione europee ed Atlantis te. Di fatto, è tenuta – costretta? – a riconoscere quanto sia stata felice ed appropriata quella collocazione internazionale dell’Italia che i suoi padri hanno fieramente avversato.

Alla fin fine – toccò perfino a Berlinguer, ora tocca alla post-missina Meloni – tornato tutti a casa, laddove è stata concepita la democrazia di cui godono – almeno fin qui – tutti gli italiani, anche coloro che a lungo ne avversarono il cammino.

Domenico Galbiati 

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