Si può essere grandi anche solo nell’attimo in cui si esce di scena. Così, se Winston Churchill fu un leone nell’ora più buia, Theresa May tira fuori la statura degna di un vero premier britannico nell’ora più triste, il discorso d’addio.
Forse è stata inetta, magari (più probabilmente) troppo mediterraneamente incline alla ricerca di un compromesso tra cento pasdaran, ma la donna che cercò inutilmente essere Margaret Thatcher ha fatto finalmente una scelta. Ed ha trovato una sua eredità da trasmettere ai suoi concittadini: riottosi, ciechi e turbolenti. Soprattutto ciechi.
Prevedendo che a Downing Street mercoledì si installerà qualcuno che probabilmente si dimostrerà più inetto di lei, ha lanciato un avvertimento. “C’è un pericolo che striscia per le strade di Britannia e del Mondo”, ha detto, “e questo pericolo è l’assolutismo che non scende a compromessi e sta infettando la nostra politica e quella mondiale”.
Si tratta, ha continuato, “di una totale incapacità di mettere insieme valori e buon senso” nel nome di una “politica fatta solo di vincitori o di sconfitti”. Il metodo è sempre quello, facile facile: urlare, urlare, urlare: “Se gridi le tue certezze, a lungo e senza fermarti, alla fine otterrai quel che vuoi”. Solo che “le parole hanno le loro conseguenze e le parole malate, quando all’inizio non vengono contrastate, finiscono per portare ad azioni malate”.
Non possiamo che chiudere evitando di sottolineare l’evidente, cioè che l’Inghilterra è anche questa volta un passo avanti a noi, ma sulla via che porta all’abisso. Cerchiamo di restare buoni secondi, a distanza di sicurezza.
Quanto a Theresa, citiamo Churchill: “Nessuna ora della vita è sprecata, se viene passata in sella”. Questa volta il ragazzo aveva torto. Anche saper scendere di sella nel modo giusto può dare il senso ad un’avventura politica.

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