Le feste natalizie appena trascorse, oltre a porre l’attenzione all’evento di fede, la nascita di Gesù, sono passate anche con l’attenzione che si deve, in ogni Stato, all’elezione del Supremo Organo di Garanzia Democratica. Nel nostro Paese, il Presidente della Repubblica, che è custode della Costituzione. Lo è insieme agli altri Organi di Democrazia, a partire dal Corpo elettorale.

Sarà stato per questa lucida considerazione che un maestro del diritto costituzionale, Costantino Mortati, insegnandoci i fondamenti della ripartizione fra gli organi della funzione di direzione politica, ha sottolineato preliminarmente che «la fonte prima dell’attività politica ed il momento del suo inizio si riconducono
alla manifestazione di volontà del corpo elettorale, quale si esprime con l’atto di elezione dei membri del Parlamento, e che assume valore effettivo di scelta fra i programmi proposti dai partiti».

Certe volte, tornando ad esaminare le pagine amate del diritto costituzionale, si ha una sensazione di impotenza di pensiero quando le si raffronti con la situazione reale. Allora, viene utile richiamare un’altra considerazione fatta da Mortati, secondo la quale nell’ambito dell’esercizio delle funzioni di direzione politica «non si rendono possibili
predisposizioni normative… valendo solo regole di correttezza, necessariamente elastiche così da potersi adattare alla varietà delle situazioni concrete». Così, in questi giorni di riflessione sollecitata dalla continua stimolazione da parte degli organi di informazione su chi debba essere il prossimo Presidente della Repubblica, nome per nome, profilo per profilo, deve trovarsi spazio per il nostro ruolo, di persone che hanno a cuore la democrazia e i suoi interpreti. Che hanno inviato, a suo tempo, in Parlamento, coloro che con il proprio voto avrebbero eletto il Presidente della Repubblica. Qui, si impone una riflessione appropriata.

Il Presidente Mattarella, giustamente considerato buon custode della democrazia, appena una decina di mesi fa, nell’esercizio del potere che gli compete del conferimento dell’incarico di Presidente del Consiglio, dopo alcuni tentativi parlamentari, corrispondenti a prassi consolidate, ha preso su di sé la responsabilità di indicare in Draghi la personalità che avrebbe dovuto chiedere la fiducia parlamentare. Ciò che è avvenuto. Non avrebbe avuto bisogno il Presidente Mattarella di motivare la sua scelta, ma lo ha fatto. Ha detto al Paese e al sistema politico che per garantire il superamento dell’emergenza pandemica e la gestione economica delle provvidenze finanziarie definite
in sede di Unione Europea, i partiti politici (ancorché, come detto, consultati in via istituzionale), non erano stati
in grado di indicare un proprio candidato alla Presidenza del Consiglio.

Il Presidente della Repubblica ha compiuto una scelta di responsabilità personale, al cui interno si deve poter trarre una conclusione né facile né gradita secondo la quale il corpo elettorale ha scelto a rappresentarlo partiti e personale politico dimostratasi incapaci di fronteggiare la crisi del Paese. Il Presidente Mattarella, con un eccezionale atto di coraggio, ha, scegliendo Draghi, ovviato alla caduta di rappresentatività dei partiti e riscritto uno dei paragrafi della ripartizione fra gli Organi della funzione di direzione politica. Lo ha fatto, consentendo di integrare le forme di collaborazione che la giuspubblicistica ci ha tramandato.

Accade, in Italia, che il Presidente della Repubblica è chiamato ad interpretare la volontà del corpo elettorale, al posto dei partiti, indicando il nome del Presidente del Consiglio da lui incaricato sotto la sua responsabilità. Questo è conforme alla Costituzione. E, nonostante le critiche ingiuste che anche di recente i partiti hanno mosso alle istituzioni repubblicane, la scelta del Presidente Mattarella ha ricevuto la sanzione costituzionale della sua conferma in sede parlamentare, con il voto di fiducia dato a Draghi dalle Camere. Allora, i partiti che hanno confermato con il voto di condividere la scelta operata dal Presidente della Repubblica, di qui a poco si troveranno ad eleggere, insieme ai rappresentanti regionali designati, un nuovo Presidente della Repubblica. Lo faranno con la consapevolezza, direttamente derivante dal loro vissuto, che il Presidente della Repubblica non è per niente un potere neutro. Perché non è neutra la Costituzione rispetto ai diritti del popolo italiano. Direi, finalmente, abbiamo la certezza che perfino le crisi più deleterie per la democrazia, quelle che sono contraddistinte dalla distanza che intercorre tra il paese legale e il paese reale, possono essere superate.

Allora, ancora una volta, anziché sguinzagliare la fantasia descrittiva dell’idealtipo di Presidente della Repubblica ricercandolo nel campo vastissimo delle suggestioni prive di responsabilità, conviene attestarlo sulla funzione essenziale che è chiamato esercitare, quella di difensore della Costituzione e degli equilibri costituzionali. Se la Costituzione contiene le regole fondamentali di tutte le solidarietà necessarie a far funzionare la convivenza, il Presidente della Repubblica deve, nella scelta che sarà compiuta in Parlamento a Camere riunite, rassicurare tutti sulla sua integrità di custode del sistema nazionale. Non è, quindi, questione di una singola persona. Il nostro sistema pretende che alla fine del mandato del Presidente Mattarella, senza forzarne la volontà, si debba eleggere un
nuovo Presidente, chiunque sia, che resti collegato ad una tradizione, quella dei Presidenti della Repubblica, che mediamente ha garantito il superamento di ogni crisi.

Perché non resti in ombra l’intera questione che attiene alla figura del Presidente della Repubblica, le tentazioni presidenzialistiche che riemergono tutte le volte che la crisi istituzionale si acuisce, non debbono essere considerate sul piano teorico bensì su quello fattuale. I fatti della storia e della cronaca italiana stanno a dimostrare che il Presidente della Repubblica, benché non eletto dal corpo elettorale, e probabilmente proprio perché non eletto direttamente, costituisce il baricentro democratico di cui si ha bisogno nell’esercizio congiunto della funzione
di direzione politica del Paese.

Il Presidente Mattarella lascia ai suoi successori e alle classi politiche un’altra importante testimonianza di coraggio, quella di negare l’esistenza di una “personalizzazione del potere”. Tra le lezioni di democrazia che dovremmo tornare a seguire, alcune dovrebbero aiutarci a comprendere che a dispetto delle esperienze più recenti di proprietarizzazione dei partiti e dei risultati ottenuti dalla politica, ogni buon risultato istituzionale è di proprietà della comunità nazionale. Non solo non vi si può ma non vi si deve leggere un nome e un cognome. Direte, ma che ci racconti? La storia è fitta di personaggi. Questo è vero. E però tutto ciò che è sotto la storia e, quindi, anche sotto la
cronaca, racconta che ogni grande meta è stata conseguita con apporti di comunità. Il Presidente della Repubblica allora, per essere titolare individuale di un ruolo è a rischio di personalizzazione. Se questo rischio scongiura restituendo il suo successo al Paese, allora resta nella storia. Non perché è proprietario dei risultati ma perché è consapevole che li deve alla sua comunità di appartenenza.

Siamo arrivati alla conclusione. Questo Parlamento così poco rappresentativo nella parte finale della sua esperienza contraddistinta da frazionismi e individualismi inadeguati e insopportabili, ha una opportunità di riscatto se ci lascia in eredità un Presidente che sia effettivamente espressione dell’intera Comunità Nazionale.

Alessandro Diotallevi

 

Pubblicato anche su Aurora, rivista della Diocesi di Caltanisetta

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