Giudicare è un verbo delicato che richiede serenità ed equilibrio.

Serenità ed equilibrio sono prima di tutto doti personali, ma chi è investito del potere di giudicare deve essere posto nelle migliori condizioni di esercitarlo, appunto, con serenità ed equilibrio.

Nelle condizioni attuali è davvero difficile giudicare con la necessaria serenità e l’indispensabile equilibrio quando le leggi sono poco chiare, le fattispecie di reato sono troppe, il personale di Cancelleria e le strutture, non solo tecnologiche, sono carenti.

Mantenendo lo stato attuale delle cose, come possiamo lamentarci se i processi camminano a passo di lumaca, se abbiamo circa 6 milioni di procedimenti civili e penali pendenti, se la Cassazione è intasata di ricorsi?

Un risultato così deludente è il frutto di molti fattori a cui, però, ha certamente concorso una magistratura corporativa e politicizzata, legata ai centri di potere, frantumata in correnti, malata di autoreferenzialità e protagonismo.

Siamo convinti che per uscire dalla profonda crisi del sistema giudiziario abbiamo bisogno dell’àncora di salvezza della Costituzione, e che non sarà l’eventuale approvazione dei cinque quesiti referendari ammessi dalla Corte Costituzionale a permettere da sola il necessario recupero di credibilità del sistema giudiziario e a guarirlo dalla sua scarsa produttività.

Occorre incidere in profondità in molti settori nevralgici del sistema, e lo strumento referendario – che chiede al corpo elettorale di decidere con un secco SÌ o NO – non è il migliore possibile nel portare a soluzione complesse questioni tecniche con notevoli ricadute politiche, non foss’altro perché il Parlamento dovrà comunque intervenire per colmare il vuoto creato dall’abrogazione di norme.

E allora sarebbe stato preferibile affrontare da subito le questioni aperte nel costruttivo confronto parlamentare che ha portato a qualche parziale risposta con la riforma della ministra Cartabia.

Fatta questa premessa, va comunque riconosciuto come l’approvazione di alcuni quesiti referendari (quello che riguarda i Consigli giudiziari, le “correnti” del CSM e la separazione delle funzioni) potrebbe costituire, più che una sollecitazione, un richiamo alla responsabilità del legislatore e – perché no? – del sistema politico in generale, perché si prenda seriamente in considerazione la necessità di risolvere in maniera strutturale le questioni poste alla base, anche implicita, dei quesiti referendari.

Per questo INSIEME assume le seguenti posizioni sui cinque quesiti.

1) Sospensione, incandidabilità e ineleggibilità di politici condannati (cosiddetta Legge Severino). SCHEDA ROSA

La Legge Severino (D.lgs. n. 235/2012), dispone l’automatica incandidabilità, ineleggibilità e decadenza di parlamentari, membri del governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali, in caso di condanna penale. L’art. 11 impone la sospensione anche degli amministratori locali condannati anche in via non definitiva. Il quesito referendario si propone di abrogare l’automatica incandidabilità, ineleggibilità e decadenza ritenendo misura eccessivamente afflittiva nell’ipotesi di successiva assoluzione. Eliminato l’automatismo i magistrati potranno comunque valutare se applicare ai politici l’interdizione dai pubblici uffici. Votare SÌ significa tornare al regime delle incandidabilità vigente prima del 2013 dove sarà solo il giudice a decidere sul singolo caso. La Legge Severino, nel porre condizioni di candidabilità, deve ritenersi costituzionalmente legittima. Essa persegue l’obiettivo di contrastare l’illegalità e la corruzione all’interno dell’amministrazione per proteggere l’integrità del processo democratico.

INSIEME propone di votare NO e quindi di mantenere in vigore la Legge Severino.

2) Sulla custodia cautelare. SCHEDA ARANCIO

La custodia cautelare in carcere può essere disposta in caso di “gravi indizi di colpevolezza” e deve essere motivata dal pericolo che l’indagato possa commettere di nuovo il medesimo reato per cui è accusato (reiterazione del reato), oppure dal pericolo di fuga o dal pericolo che vengano inquinate le prove a suo carico.

Il quesito referendario ha l’obiettivo di introdurre limiti alla custodia cautelare in carcere con l’abrogazione dell’art. 274 comma 1 lett. c) del Codice di procedura penale nella parte in cui consente la carcerazione preventiva se vi è il rischio che l’imputato possa commettere un reato della stessa specie di quello per cui si procede.

I promotori del referendum ritengono in tal modo di evitare che la carcerazione preventiva possa colpire persone che poi risultino innocenti.

Votare SÌ significa che la custodia cautelare non potrebbe essere applicata se motivata dal solo pericolo di reiterazione del reato.

Se la sola esigenza cautelare fosse il rischio di reiterazione del reato l’arresto in flagranza per diverse tipologie di reati, anche gravi, sarebbe seguito dall’immediata remissione in libertà.

Votare NO significa mantenere la norma nella sua formulazione attuale.

Vero è che esiste il problema di un uso distorto della custodia cautelare in carcere, ma è altrettanto chiaro che la soluzione proposta dai promotori del referendum è peggiore del male.

INSIEME propone di votare NO perché crediamo che sia possibile il rispetto della dignità dei detenuti e, nel contempo, mantenere adeguati livelli di sicurezza individuale e collettiva.

3) Sulla separazione delle “funzioni” dei magistrati. SCHEDA GIALLA

Non si tratta di separazione delle carriere (per la cui attuazione occorrerebbe una profonda modifica costituzionale). Il presidente della Corte Costituzionale ha correttamente precisato che “la carriera secondo questo referendum non viene toccata, rimane unica. Quando si parla di carriera, ci si riferisce propriamente al come si entra, come sono regolati gli avanzamenti, qual è l’organo che decide su avanzamenti e spostamenti; tutto questo rimane comunque comune, e la carriera è la stessa in realtà”.

Si tratta, quindi, del passaggio dalla funzione di giudice a quella di pubblico ministero e viceversa.

Il pubblico ministero è il magistrato che dirige le indagini dopo aver esercitato l’azione penale e rappresenta la pubblica accusa nel processo penale.

Il giudice deve decidere a conclusione del procedimento se condannare o assolvere coloro che sono imputati di reato, sulla base delle prove fornite dalla pubblica accusa e dalla difesa dell’imputato.

La caduta della fiducia nella magistratura va ricercata principalmente nelle crepe che si sono prodotte nella indipendenza e imparzialità che la Costituzione esige per ogni magistrato.

Non si vuole sostenere che il magistrato non debba formarsi opinioni personali sui princìpi e sui valori tradotti in legge; si vuole, anzi si deve, però pretendere una loro autodisciplina perché il ruolo istituzionale ricoperto sia svolto senza soggezioni o faziosità.

La scelta all’inizio della carriera se svolgere le funzioni di Pubblico Ministero o di giudice può contribuire a rendere effettivi i princìpi di indipendenza e imparzialità.

INSIEME propone di votare SÌ per abrogare tutte le norme che consentono il passaggio del magistrato, nel settore penale, dalle funzioni di giudicante a quelle del requirente (Pubblico Ministero) e viceversa.

4) Ammissione alla discussione e votazione dei componenti cosiddetti “laici” nei Consigli giudiziari. SCHEDA GRIGIA

Il CSM ha il potere di valutare la professionalità e la competenza dei magistrati, e lo esercita sulla base delle valutazioni di organismi territoriali, i Consigli giudiziari.

I Consigli giudiziari sono composti da magistrati e da una cosiddetta “componente laica” rappresentata da avvocati e professori universitari in materie giuridiche.

La componente laica non partecipa alla discussione e votazione che riguardano la competenza dei magistrati.

Il referendum abrogativo si prefigge l’obiettivo di ammettere alla discussione e al voto anche i membri laici.

L’obiettivo dovrebbe essere quello di elevare l’etica della responsabilità di tutti i magistrati attraverso la verifica sull’attività svolta a cui sono sottoposti, ognuno con modalità diverse, tutti i professionisti e lavoratori.

INSIEME propone di votare SÌ perché anche avvocati e giuristi possano partecipare alla valutazione dell’operato dei magistrati.

5) Contro le “correnti” nella Magistratura. SCHEDA VERDE

Il quesito chiede l’abrogazione dell’art. 25 comma 3 L.195/1958. La norma richiede ad un magistrato che intenda candidarsi nell’organo di controllo della magistratura (CSM), di procurarsi dalle 25 alle 50 firme per presentare la propria candidatura.

I promotori del referendum ritengono, consentendo a tutti i magistrati in servizio di candidarsi al CSM, di scardinare il sistema delle “correnti” eliminando (o limitando fortemente) la loro influenza esercitata nelle decisioni del CSM.

INSIEME propone di votare SÌ per eliminare la necessità di accompagnare la candidatura con una lista di presentatori, privilegiando in tal modo le qualità professionali del candidato piuttosto che l’appartenenza a una determinata “corrente” con un suo preciso orientamento politico.

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