“La scissione a freddo di Matteo Renzi non va né in direzione della stabilità di cui ha bisogno il Paese, né verso l’obiettivo de superamento del bipolarismo. Pare, piuttosto, il tentativo di corto respiro di creare una piccola rendita di posizione. Esattamente il contrario di ciò che andrebbe invece fatto: creare un polo di attrazione per i cattolici e tutti coloro che hanno a cuore il bene comune. Un passo falso, un’occasione perduta”.
Questo il comunicato ufficiale diffuso da Politica Insieme dopo l’uscita di Matteo Renzi che ha spaccato il Pd e, come previsto, ha fatto vedere come avesse pensato già da molto tempo all’operazione. Lo avevamo previsto: aveva già pronto il nome del suo nuovo partito. “ Italia viva”.
Era ovvio attenderselo visto la vitalità, la scaltrezza di uno che sin da ragazzino aveva le idee chiare. Raccontano le cronache di Rignano come il suo papà spiegasse ai compaesani i motivi dell’impegno del brillante figliolo in maniera molto semplice: Matteo, un giorno, sarà Presidente del Consiglio, che credete?
A Renzi manca tutto, ma non la determinazione. E’ sempre apparso come il ragazzino che, quando la partita non gli torna, si riprende il pallone e se ne va a casa.
Un amico mi ha appena raccontato il tenore di un colloquio con lui avvenuto quando Mario Monti provava a creare una forza da incuneare tra quella di Berlusconi e la sinistra. La risposta dell’allora sindaco di Firenze, fresco fresco della sconfitta alle primarie contro Bersani, fu: ” non mi metto a guidare un partitino”.
Ha sempre pensato in grande e, per onor del vero, dobbiamo riconoscere che ha confermato le ambizioni sue e del padre. Non ci riescono tutti.
Adesso, però, è costretto a mettersi a guidare un partitino.Tra l’altro, da quel che è dato da presumere oggi, davvero ” ino”. Al momento, ridotto ad una presenza solo di natura parlamentare.
Sappiamo già però che da tempo sta tessendo una rete di relazioni. Con quelli di Forza Italia, in attesa della fine della stagione di Berlusconi. Con altri gruppi presenti al centro. La sommatoria, insomma, di residue forze parlamentari, ma scarse di voti. Evidentemente, pensa che arriveranno anche gli elettori. Questa, però, è una di una biografia ancora tutta da scrivere. Intanto, ha messo il primo mattoncino e ha fatto saltare il Pd che, nonostante la cosa fosse messa nel conto, non l’ha presa proprio bene.
Che la forza politica guidata da Zingaretti stesse per esplodere non lo ha visto solamente chi non lo voleva vedere. Anche tanti amici del mondo cattolico non hanno capito, come avrebbero potuto fare da un pezzo, che ben poco c’era da aspettarsi da un’organizzazione politica smarritasi completamente nella propria autoreferenzialità.
L’obnubilazione partiva da lontano. Connaturata negli sviluppi di una formazione che male aveva assimilato le proprie componenti. Del resto, dimostrato già da altre fratture, fuoriuscite e abbandoni. Nel giro di poco tempo, figure storiche, persino due che sono stati suoi segretari , come Bersani e adesso Renzi, hanno preso cappello e se ne sono andati. Si è preferito ignorare e continuare a gestire la “ ditta” come se non fosse niente.
Le carenze della fusione di ex comunisti con popolari e cristiano democratici sono state a lungo coperte dalla logica del bipolarismo e dal duro scontro con il berlusconismo. Ci si è aggrappati a Prodi, ma non appena è stato possibile, ci si è liberati di lui che, in qualche modo, rappresentava una terza via.
I mutamenti sociali, particolarmente importanti quelli intervenuti nel mondo del lavoro, e le forti divaricazioni di potere interne, hanno fatto vedere che si trattava di un’amalgama male assortita di personaggi e di ambizioni. Il collante non ha retto neppure all’offensiva salviniana.
Non ha alcun senso limitare la riflessione sull’ultimo che ha dato la spinta finale. Da un pezzo il re era nudo ed erano venute meno le ragioni dello stare insieme. Non ha retto il tentativo di trovare un equilibrio instabile basato, non su una politica sociale moderna, bensì sull’inseguire una confusa stagione di diritti parziali, mentre sono stati lasciati per strada quelli più generali che interessano i lavoratori, le famiglie, le autonomie locali.
Il paradosso è che Matteo Renzi è stato pienamente coinvolto in questa stagione. Anzi egli l’ha portata a raggiungere il punto massimo. Questo fa suonare strana l’uscita di un Matteo Renzi sbandierante la volontà di volersi muovere verso il centro.
E’ evidente che continua la scommessa di puntare sull’idea di un partito all’americana, cioè di un’ entità che segue soprattutto le logiche parlamentari senza avere sul territorio quella presenza tipica delle organizzazioni europee. La politica diventa affare degli eletti, presenza mediatica e partecipazione ai giochi di vertice e di occupazione del potere.
Tutti dicono che Matteo Renzi non sia in grado, ad oggi, di ottenere alcun successo elettorale con la sua neonata Italia Viva. Dovremo attendere per vedere come l’ex segretario Pd si organizzerà e come saprà trasformare una pulsione tutta da ” uomo solo al comando” in un movimento politico vero e proprio. Non è possibile oggi, però, scommettere un solo centesimo sulla riuscita dell’operazione.
E’ da vedere se egli riuscirà a guadagnare la credibilità necessaria a muoversi verso un ” affollatissimo” centro. Tutti ne parlano mentre sono costretti ad ammettere, però, di non essere in grado di delinearne i contorni. Intanto evochiamolo e, poi, si vedrà.
Un discorso in particolare riguarda le relazioni di Renzi con il mondo dei cattolici. Le reazioni di ieri, comprese quelle registrate da noi, fanno ritenere che scarsa sia la risposta. Anzi, più le critiche e gli accenti negativi.
C’è un problema di credibilità sostanziale di non poco conto, dopo aver cavalcato una linea della trasformazione del Pd in un partito “ radicale di massa”.
Giancarlo Infante