La legge sul “fine vita” approda in aula a Montecitorio, dopo che il testo è’ stato licenziato ieri dalle Commissioni Giustizia ed Affari Sociali della Camera. Da una parte, PD, Movimento 5 Stelle, Italia Viva, Leu, +Europa. Dall’altra, Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia. Contrapposizione frontale dei due schieramenti del nostro sghembo mondo bipolare, nella loro più classica conformazione.

Dopo mesi di lavoro in Commissione, prevarrà la tentazione di confermare e consolidare i fronti contrapposti, cercando di stringere e costringere i tempi della discussione e spedire l’argomento quanto prima a Palazzo Madama?
Contando anche qui di uscirne in fretta? Si tratta, a questo punto, solo di sbrigare una pratica? Oppure possiamo almeno sperare che la discussione nelle aule parlamentari abbia il valore di un confronto effettivamente “coram populo”?

Corriamo il rischio, in questo particolarissimo frangente politico, che un tema talmente delicato venga sacrificato a finalità e dinamiche di tutt’altro genere, le quali, al di là del merito in sé della questione, guardino piuttosto ad un dato di ordine politico generale? Oppure, addirittura, dobbiamo temere che un argomento, il quale, da qualunque versante culturale lo si accosti, mette in gioco valori di fondo della nostra comune umanità, venga “ideologizzato”, cioè trasformato, dall’una e dall’altra parte, in una bandierina identitaria, meramente destinata a segnare il campo della contesa elettorale?

Per parte nostra, non abbiamo altro da aggiungere, dopo avere ripetutamente assunto precise posizioni nel merito, se non per ribadire la nostra piena e schietta contrarietà ad ogni forma di deriva eutanasica. Soprattutto dopo la durissima esperienza della pandemia, sarebbe bene che ogni cultura politica di interrogasse in ordine ad un processo, si potrebbe dire, di “rifondazione antropologica” della propria visione d’insieme. Cercasse, cioè, di rimettere criticamente a tema l’ effettiva considerazione di cosa sia la vita che sorregge e giustifica il proprio impianto valoriale e le politiche di settore che ne derivano. Abbandonando presupposti o pregiudizi ideologici ereditati da altre epoche storiche e, di fatto, ormai inguaribilmente datati.

Intanto, ci sembra lecito sperare che ogni parlamentare maturi, in piena libertà, un proprio personale convincimento e, senza delegare la propria posizione a ragioni di scuderia, si attenga liberamente a tale giudizio. In particolare, i parlamentari cattolici si sottraggano a logiche di schieramento e non temano, per una volta, senza cedere a nessun spirito di crociata, di mostrare una convergenza fondata su un primato della coscienza che sappia prevalere su ogni altra contingente valutazione.

Domenico Galbiati

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