RILIEVI TECNICO- GIURIDICI SUGLI ORIENTAMENTI RIORGANIZZATIVI DEL SISTEMA DI EMERGENZA
TERRITORIALE

PREMESSA

La National Rescue Council – NRC – Associazione Tecnico Scientifica di Formazione e Ricerca,
annovera tra le sue fila numerosi professionisti e specialisti appartenenti al sistema di emergenza
sanitaria territoriale. L’obiettivo mira alla salvaguardia della vita umana attraverso la diffusione di
una cultura formativa e sensibilizzante del soccorso, graduata ad ogni livello sociale. Gli aspetti
scientifici, giuridici, normativi e manageriali del sistema di emergenza territoriale rappresentano il
principale oggetto di interesse e studio di NRC.
Le iniziative di riorganizzazione del sistema di emergenza territoriale sono state numerose negli
ultimi anni, ma l’apparato dei soccorsi rimane incardinato su una norma trentennale più volte
richiamata negli atti legislativi: il cosiddetto “Decreto 118”1
.
Gli orientamenti successivi sono riferiti ai nomi degli estensori: il DDL 224 a firma dell’Onorevole
Cantù, il DDL 228 dell’Onorevole Castellone, la proposta dei Deputati Ciani, Malavasi, Girelli e
Stumpo, nonché il contributo della SIEmS (Società Italiana di Emergenza Sanitaria) sul riordino
territoriale relativo all’integrazione tra 118, NEA 116117 e NUE 112 a firma Bono e Zoli.
Nessuno è riuscito finora a fare meglio del Testo Unico originale, oggi sembra facile muovere
critiche o ritenerlo obsoleto, ma fu davvero dirompente per l’epoca, fin dal suo quinto articolo che
attribuì allo Stato la competenza del soccorso sanitario.

La frammentarietà che ha finora impedito qualsiasi riforma non è ascrivibile al DPR istitutivo del
118, bensì al Titolo V costituzionale che, affidando alle Regioni l’autonomia in materia di salute, ha
creato ventuno sistemi differenti nel nostro paese. Deriva soprattutto da questo il bilancio negativo
in termini di efficienza, efficacia, la disomogeneità è figlia di un’eccessiva burocratizzazione che
moltiplica a dismisura gli incarichi dirigenziali e rallenta di fatto qualsiasi processo decisionale.
È sintomatico che ogni Disegno di Legge o proposta similare dia enfasi alla necessità di uniformare
procedure, organizzazioni e comportamenti, prefigurando standard di impossibile realizzazione.

L’obiettivo sarebbe più semplice svincolando la sanità o quantomeno il sistema di emergenza
sanitaria territoriale dalla competenza delle Regioni, traslando, in un ipotetico atto normativo, il
quinto articolo del DPR/92 in prima posizione, ma un simile orientamento, peraltro invocato da più
parti sulla scia della catastrofe pandemica non pare all’orizzonte. Al contrario il DDL Cantù prevede
l’istituzione del Centro Nazionale per l’Emergenza Sanitaria presso il Ministero della Salute e di
un’ulteriore Agenzia Per il coordinamento del NUE 112, salvo affidare ad AGENAS il monitoraggio
effettivo del servizi. Ciò si traduce in nuove strutture e nuovi incarichi che oltre ad ostacolare
l’uniformità rallentano inesorabilmente i processi decisionali.

SISTEMA PREOSPEDALIERO O TERRITORIALE?
L’incipit dei Disegni di Legge sul tema si manifesta fin da subito: le locuzioni “extra ospedaliero o
pre ospedaliero” compaiono nella maggior parte dei documenti esaminati: nel peso dei termini
impiegati, secondo i moderni Legislatori, il sistema dei soccorsi pubblico non merita dignità propria,
derubricato ad appendice dell’ospedale.
La dissertazione sui prefissi “pre” o “extra” è tra l’altro un puro esercizio filosofico, la realtà dei fatti
dimostra che il sistema è dotato di prerogative e caratteristiche proprie e per questa specificità
l’aggettivo più appropriato è “territoriale”.
Tranne poche eccezioni, come ad esempio il DDL 228 (Castellone), l’orientamento comune prevede
l’impiego del personale sanitario appartenente ai DEA/PS Ospedalieri a bordo dei mezzi secondo
uno schema di rotazione, scelta inevitabile agli albori del servizio dove sussistevano necessità legate
all’avvio dell’intero apparato, ma che oggi meriterebbe un’analisi più approfondita su costi, benefici,
qualità e sicurezza delle cure.

In generale la crisi del sistema di Emergenza territoriale è profonda, ma non irreversibile almeno per
ora; la situazione è soprattutto imputabile alle scelte azzeranti rispetto al sistema delle cure primarie,
se queste strategie siano state attuate consapevolmente o meno è un dettaglio irrilevante.
Prima ancora che con l’ospedale, un primo tentativo di integrazione dovrebbe realizzarsi con i Vigili
del Fuoco e con le Forze di Polizia, storicamente radicati sul territorio; un appunto mosso al DPR del
1992, è proprio il non avere insistito su questo. La nascita formale del NUE 112 nel 1991 rende la
critica pienamente legittima, ma sarebbe ingeneroso ignorare il quadro storico dell’epoca, gli ostacoli
posti dalle associazioni che esercitavano un dominio incontrastato. Dopo trent’anni tuttavia questi
aspetti sono ancora trascurati, prove ne sia che le società scientifiche firmatarie della Carta di Riva e
del Manifesto di Firenze, non ne abbiano minimamente fatto cenno; decisamente riduttiva inoltre è
la narrazione che unirebbe il modo del Soccorso sotto la bandiera del DDL Cantù, ipotesi emersa
dopo gli interventi degli autorevoli relatori presenti alle Audizioni del Senato il 21 settembre 2023,
per la presentazione del DDL omonimo.

NUE 112: UN’OCCASIONE MANCATA
Indubbiamente l’avvento del NUE112 in Italia ha rappresentato una svolta nel mondo del soccorso
pubblico, il ricorso ad un numero unico per qualsiasi emergenza è una delle pagine di civiltà più alte
del diritto comunitario, resa però vana dai corporativismi di bandiera dei singoli enti e da un modello
organizzativo inadeguato alle esigenze collettive.
La modifica di accesso ai soccorsi fino ad allora effettuata con i numeri tradizionali si esprime
nell’interposizione di una nuova struttura tra l’utenza e le Centrali Operative del soccorso pubblico;
si tratta di un centralino di smistamento dove convogliano tutte le richieste di soccorso,
indipendentemente dalla loro pertinenza.
Mentre il cosiddetto “mondo del soccorso”, di cui gli auditi al Senato della Repubblica si sono fatti
unici rappresentanti, esprime lodi incondizionate per il NUE 112, spesso impropriamente
identificato come “nuovo 118”, i cittadini continuano a segnalare i disservizi e i ritardi riportati nelle
cronache degli ultimi dieci anni.
Anche grazie ai Media molti eventi talvolta sfociati in tragedie hanno dato origine ad altre correnti di
pensiero: la Società Italiana dei Sistemi 118 – SIS – ad esempio, invoca il ritorno all’accesso diretto ai
numeri tradizionali, mantenendo parallelamente il NUE112, ma una simile organizzazione
determinerebbe un sistema discriminatorio a due velocità.

Altra efficacia si avrebbe con una gestione multidisciplinare; raramente gli eventi critici sono
competenza di un unico ente: una collisione tra due veicoli ad elevata dinamica coinvolgerà i Vigili
del Fuoco, il Soccorso Sanitario e le Forze di Polizia per la viabilità e gli opportuni rilevamenti.
Anche il fenomeno delle aggressioni al personale richiede un approccio integrato peraltro indicato
dalle norme, per queste ragioni un’ulteriore istanza è giunta dal mondo sindacale, cioè dalle
rappresentanze dei lavoratori impiegati nelle centrali operative della Polizia di Stato, dei Vigili del
Fuoco e del Soccorso Sanitario. Questa posizione si esprime a sostegno di strutture interforze già
assemblate nei grandi eventi, con tutte le professionalità necessarie al loro interno. Contrariamente a
quanto accaduto in altre realtà europee, nel nostro paese non ha mai avuto luogo un dibattito che
coinvolgesse attivamente professionisti e gli specialisti delle Centrali Operative, confronto da cui
avrebbe potuto nascere un modello confacente all’ordinamento dello Stato.

Le CUR – Centrali Uniche di Risposta, definite PSAP1 – Public Safety Answering Point – sono call
center di smistamento presidiati da personale tecnico, preposto alla ricezione delle chiamate e al loro
trasferimento presso il servizio competente.
I PSAP1 mancano di risorse proprie sul territorio: ambulanze, vetture o mezzi pesanti dei Vigili del
Fuoco la cui titolarità è appunto in capo ai PSAP2. Queste condizioni non permettono alcuna
funzione di coordinamento al NUE112 rispetto alle attività delle Centrali di Secondo livello.
Sul versante della dotazione tecnologica rispetto alla prima sperimentazione condotta in Lombardia
nel 2010 sono stati compiuti dei passi importanti; decisamente positiva è la diffusione delll’Advance
Mobile Location – AML che individua la posizione del chiamante con uno scarto di pochi metri e
soprattutto prescindendo dal suo consenso effettivo, ma la tecnologia priva di competenze applicate
rimane vana. Accade frequentemente che il richiedente del soccorso sia da tutt’altra parte rispetto
alla posizione acquisita del chiamante, l’unico fattore dirimente rimane il colloquio telefonico per cui
sono richieste competenze elevate e particolare perizia.

Proprio per questa ragione il Disciplinare Tecnico Operativo del Viminale – DTO – obbliga il
personale dei PSAP2 a verificare o procedere a una ulteriore localizzazione, ma queste strutture di
solito non dispongono della tecnologia in possesso del Call Center Laico 112.
La verifica del target acquisito da parte dei PSAP2 è un’indicazione prudente ma controversa; la
ridondanza dei compiti svolti dovrebbe aprire diversi dibattiti sull’effettiva utilità della CUR 112. Le
norme non impongono un modello organizzativo da applicare per il NUE112 e soprattutto non c’è
alcuna indicazione sul personale che debba operarvi all’interno; I riferimenti legislativi più utilizzati
sono la Legge 124/2015 ed il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, D.lgs 259/2003, in realtà la
questione è un po’ più complessa.

Ottemperando ad una specifica Direttiva Europea -EU 136/2009, il Codice è stato aggiornato con il
Dlgs 70 del 28 maggio 2012 che, oltre a menzionare il ricorso a strutture preesistenti (art 55), afferma
che le chiamate devono essere trattate con “pari rapidità ed efficacia” rispetto ai luoghi dove la
numerazione tradizionale è ancora vigente.
In sintesi nulla osta a soluzioni “interforze” che racchiudano al proprio interno le componenti
pubbliche del soccorso, né a modelli ad integrazione parziale costituite ad esempio da Sanità e Vigili
del Fuoco; questa eventualità è peraltro timidamente contemplata persino nel Disciplinare Tecnico
Operativo precedentemente menzionato.

Le cronache dei disservizi non hanno mai indotto una riflessione sui correttivi applicabili, né sui
criteri basilari del Risk Management e sugli eventi avversi e vi sono almeno quattro problemi
ascrivibili all’organizzazione del 112 italiano:
Un allungamento dei tempi legato alla doppia intervista telefonica, La dilazione dei tempi è
incontestabilmente documentata nei novanta secondi previsti dal Disciplinare Tecnico Operativo per
il contatto telefonico tra utente e operatore. I fattori critici saranno ulteriormente accentuati dal
posizionamento di personale tecnico addetto alla ricezione delle chiamate nei PSAP2,
indicazione contenuta in più orientamenti.

La perdita del contatto diretto con il professionista dedicato ad uno specifico problema; un aspetto
fondamentale legato alla dinamica della comunicazione di crisi, dimostra che chi chiama fornisce di
solito spontaneamente la maggior parte delle informazioni necessarie all’espletamento del soccorso.
Ciò accade con il primo interlocutore e quasi mai con il secondo e questo è un tema particolarmente
importante per le attività investigative. Sorprende che proprio le Forze di Polizia non abbiano
eccepito su questo dettaglio.

Vi è in realtà molto di più: atteso il dovere etico delle Centrali Operative di impartire istruzioni
salvavita o di sicurezza in attesa dei soccorsi specializzati, è necessario che il richiedente sia messo
rapidamente nelle condizioni che lo trasformano nel “first responder” sulla scena. Questo tempo
cruciale è di fatto aumentato dal doppio passaggio e dai gap comunicativi dovuti al contatto con
molteplici interlocutori.

L’aumento della incomunicabilità tra enti. La chiamata vocale e relativa scheda contatto può essere
passata a un solo interlocutore: anche se la richiesta ha una pertinenza multidisciplinare il PSAP2
che la riceve dovrà attivare gli altri enti; da qui i rallentamenti e i problemi di interoperabilità.
Prima dell’avvento del NUE112 in un ipotetico gruppo di astanti testimoni di un incidente stradale,
qualcuno avrebbe contattato la Polizia, altri i Vigili del Fuoco, altri ancora il servizio sanitario; oggi
queste richieste convogliano in un unico punto. Ad esempio in caso di alluvioni vi sarà un
prevedibile aumento di richieste per i Vigili del Fuoco, ma il rischio che una patologia tempo dipendente finisca nello stesso imbuto di una cantina allagata e vi rimanga in attesa è più che concreto.

Aumentano i costi economici con l’istituzione di nuove strutture la cui utilità è tutta da dimostrare;
un censimento delle Centrali Operative italiane ne conta poco meno di un migliaio che, invece di
essere accorpate per funzioni, vengono numericamente incrementate.

IL NEA 116117
Per ciò che riguarda la messa a regime nel numero armonizzato 116117 (numero per le non urgenze
sanitarie), le amministrazioni regionali dove il servizio è stato istituito hanno deliberato il ricorso ad
un ulteriore Call Center, dove un operatore laico stabilisce ciò che è emergenza rispetto a ciò che non
lo è. Se tale funzione fosse invece incorporata in un più ampio progetto di raccordo con il dispositivo
delle cure primarie e socio-assistenziali, verrebbe a determinarsi un supporto di consulenza ai
cittadini e un collegamento con i servizi territoriali.
Si tratta di un bacino di richieste enorme, perlopiù impropriamente assorbite dal sistema di
emergenza sanitaria con un conseguente aumento delle ospedalizzazioni e dei sovraccarichi relativi
ad affollamento e “boarding”, cioè lo stazionamento prolungato dei pazienti all’interno dei
Dipartimenti di Emergenza Ospedalieri.
Il dispositivo delle cure primarie, intendendo con questa definizione l’insieme delle articolazioni
territoriali in grado di erogare cure ed assistenza a domicilio, o comunque con lo scopo di abbattere
il sovraffollamento dei dipartimenti di emergenza ospedalieri, rappresenta il terreno legislativo per
organizzare la più indolore delle “Spending Rewiew, ma anche in questo caso nessun orientamento
politico ha finora inteso perseguire questo obiettivo.
L’attivazione del nuovo servizio NEA 116117, indipendentemente dalla sua organizzazione interna,
ha indubbi risvolti positivi, ad esempio la possibilità di misurare l’effettivo carico di lavoro della
medicina territoriale. Quante richieste si esauriscono con un consulto telefonico? Quante visite
domiciliari vengono effettivamente portate a termine? Quante di queste ultime esitano in una
chiamata al sistema di emergenza?
Quante chiamate al NUE112 avvengono senza che il medico abbia effettivamente visitato il paziente
che ne ha fatto richiesta?
Esula da questa trattazione ribadire gli obblighi dei Medici di Medicina Generale e della Continuità
Assistenziale contenuti negli Accordi Collettivi e nelle norme vigenti, ma è innegabile che l’avvento
della nuova organizzazione in capo al NEA116117 delinei finalmente i parametri per quantificare
l’efficacia e l’efficienza dell’intero dispositivo.

EVOLUZIONE INFERMIERISTICA E IMPIEGO DEI TECNICI ALLA RICEZIONE NEI PSAP2
Va premesso che le Centrali Operative sono da sempre state considerate luoghi selettivi, esercitando
peraltro scarsa attrazione tra i lavoratori. Ciò spiega in parte, pur senza giustificarle, l’inerzia, il
disinteresse e la disiformazione di fronte a iniziative di Legge che sostituiscono i professionisti con i
tecnici in nome di un’economicità finanziaria e dei comportamenti.
Secondo l’orientamento del DDL 224, della SIEmS e delle Società Scientifiche che hanno plaudito
all’iniziativa di Legge Cantù, l’evoluzione infermieristica” si tradurrebbe nella supervisione di
personale tecnico adibito alla processazione telefonica, cioè alla raccolta dei segni e dei sintomi riferiti
dal richiedente, attività peculiari del Triage.
L’impiego di tecnici con funzioni di supporto nelle Centrali Operative 118 era stato previsto nelle
norme istitutive del servizio, ma queste attività erano intese a sostegno delle funzioni primarie e non
in sostituzione delle stesse. Le indicazioni nei DDL attribuiscono al personale tecnico funzioni
giuridicamente non delegabili né tecnicamente supervisionabili.
Ipotizziamo cinque tecnici che processano contemporaneamente altrettante richieste di soccorso in
una Centrale Operativa con alti volumi di lavoro; potrebbero essere controllati solo se ciascuno di
loro fosse affiancato da un professionista che verifichi l’aderenza alle procedure e intervenga
tempestivamente in caso di evento avverso o near miss.
Il contributo della SIEmS (Bono Zoli), contraddice l’introduzione sull’ autonomia delle professioni
sanitarie, con una posizione incommentabile, attribuendo al medico della Centrale Operativa funzioni
di supervisione nei confronti dei professionisti infermieri.
L’intento di superare le dicotomie si scontra con la subalternità a protocolli e a figure mediche,
quando la responsabilità autonoma degli infermieri è già statuita da tempo. L’impianto normativo e
la giurisprudenza hanno più volte chiarito che i responsabili clinici non rispondono dell’operato e
della formazione degli infermieri.
L’inserimento di figure non sanitarie alla ricezione delle telefonate nei PSAP2 avviene per la prima volta nel sistema di emergenza lombardo nel 2015, ciò comporta un allungamento nella processazione telefonica ed esautora l’infermiere dal compito istituzionale di raccolta dei segni e dei sintomi. Questo meccanismo blocca inoltre la possibilità di filtrare le situazioni non urgenti e indirizzare l’utente verso il medico di famiglia, pediatra di libera
scelta o continuità assistenziale, prerogative di fatto in possesso solo di figure sanitarie.

Un’enfasi eccessiva per i “protocolli” come unica tutela per pazienti e lavoratori, e logiche aziendali
improntate ad uniformare i comportamenti, evitare contenziosi e danni di sistema, hanno
depotenziato le competenze professionali.
Ne è derivata una filosofia improntata all’invio generalizzato dei mezzi di soccorso a chiunque ne
faccia richiesta, anche quando non sarebbero effettivamente necessari; anche i soccorsi sul campo
risentono di queste impostazione.
Questi meccanismi favoriscono un intasamento dei Pronto Soccorso; nella recente riforma della
Lombardia, è stata istituita la Centrale Medica Integrata – CMI – il cui funzionamento presuppone
l’invio di un mezzo che, giunto a domicilio, si rapporterà con un medico in remoto per lasciare a
domicilio il paziente.
È una strada costosa e non sufficiente per controbilanciare l’eventuale risparmio economico
dall’impiego di ruoli tecnici rispetto ai professionisti. La funzione infermieristica nelle Centrali
Operative è ribadita nella quindicesima raccomandazione ministeriale: “Morte o grave danno
conseguente auna non corretta attribuzione del codice di triage nella centrale operativa 118 e/o
all’interno del pronto soccorso”.
Detta menzione identifica “de facto” chi è responsabile di questo processo e sarebbe di per sé
sufficiente ad aprire un dibattito sull’abuso della professione infermieristica, le Centrali Operative
rivestono funzioni strategiche nelle missioni di soccorso espletate; la maggior parte di queste in Italia
sono gestite da infermieri, ma incuranti di questa enfasi manifesta per i tecnici né la FNOPI, né le
Società Scientifiche coinvolte hanno finora proferito verbo.
I teorici di questo orientamento sostengono la natura non sanitaria dell’attività di processazione
telefonica o call taking, sottolineandone la diversità rispetto al triage ospedaliero in ragione di una
valutazione obiettiva e strumentale del paziente. La valutazione telefonica si tradurrebbe nella
compilazione di una check – list dettata da programmi informatici che non lascerebbero alcun
margine discrezionale nell’attribuzione della priorità di intervento.
Questa interpretazione conferma una scarsa conoscenza delle Centrali Operative da parte degli
estensori, viola le norme vigenti e le declaratorie contrattuali che attribuiscono al professionista
l’autonomia di azione, correlata al contesto specifico. Non a caso gli atti normativi varati negli ultimi
venticinque anni non accostano più il termine “protocollo” alla figura dell’infermiere, il cui compito
non si esaurisce nella risposta telefonica e nella contestuale compilazione di una griglia che genera
automaticamente un codice colore.

Il giudizio di sintesi potrebbe orientarsi verso una codifica prioritaria di grado superiore o inferiore
esattamente come affermato dalla Conferenza Stato Regioni attraverso i Mattoni del Sistema
Sanitario Nazionale.
Sul punto è intervenuta persino la Corte dei Conti della Regione Friuli Venezia Giulia1
che analizzando il programma Emergency MedicalPriority Dispatch (impiegato in Piemonte, Liguria e
Valle D’Aosta) ha evidenziato una maggior precisione nella codifica assegnata da professionisti
senza l’impiego dello strumento, rispetto all’adesione rigorosa al protocollo. Il professionista (per la
cui definizione si rimanda al Codice Civile) deve interagire con un interlocutore in condizioni di
stress emotivo, cogliere, processare e rielaborare informazioni riferite senza che siano state richieste,
ma fondamentali per l’espletamento della missione. Nell’attività di emergenza i codici ad elevata
priorità costituiscono il problema organizzativo minore perché vengono individuati nell’immediato;
i fattori critici sono correlati alle situazioni apparentemente tranquille che solo un approfondimento
di indagine può rilevare come rilevanti e meritevoli di intervento tempestivo.

L’infermiere pertanto non si limiterà ad impartire istruzioni di natura tecnica a distanza, ma
contestualizzerà situazioni specifiche dove è richiesta una competenza di natura professionale per
cogliere le informazioni cruciali e correlarle tra loro.
Le istruzioni sanitarie peraltro non sono esclusivamente erogabili all’utenza, anche il personale di
soccorso inviato sul campo, il cui contatto in determinate situazioni deve essere costantemente
mantenuto, può beneficiare di questi provvedimenti.

Queste attività richiedono capacità di analisi e sintesi, dalle quali dipende l’appropriatezza
dell’intervento, la riduzione del rischio di ritardi e delle attivazioni improprie.
I casi di sovrastima o sottostima , cosiddetti under Triage e Over Triage sono due facce della stessa
medaglia. Funzioni complesse che presuppongono competenze e professionalità acquisite nel
percorso di studi accademici, nell’esame abilitante, nella formazione continua e nei criteri di
accreditamento per l’accesso all’attività di Centrale Operativa fissati da ogni realtà locale.
Gli immancabili richiami ai paesi anglosassoni in termini di paragone sono fortemente discutibili: gli
Stati Uniti d’America differiscono dal sistema italiano per organizzazione e ordinamento giuridico e,
almeno secondo i criteri della WHO – OMS, non rientrano tra i garanti dell’assistenza sanitaria
universale, condizione imprescindibile per un sistema di emergenza europeo. I due sistemi
comparati divergono radicalmente: il 911 americano aggrega Centrali Operative di emergenza
sanitaria, Pubblica Sicurezza e Vigili del Fuoco.

La processazione telefonica non si basa su un’esclusiva raccolta di parametri precompilati, ma
sull’ascolto attivo e sulla correlazione dei segni e sintomi medesimi, attività che richiede competenze
specifiche, non confacenti ad una rigida mansione esecutiva.
Già la Suprema Corte di Cassazione sezione IV penale con sentenza numero 8254 del 2 marzo 2011
ha sancito che l’adesione a un protocollo, seppur correttamente eseguito, non solleva il professionista
da responsabilità, pochi anni più tardi la Legge Bianco- Gelli affermerà in modo definitivo questi
concetti.
Tranne qualche autorevole eccezione, non si ha notizia di alcun procedimento disciplinare, penale o
civile negli ultimi venticinque anni in cui il firmatario di un protocollo sia stato chiamato a
rispondere circa l’appropriatezza di quanto aveva imposto e firmato.
Laddove si siano verificati eventi critici che coinvolgessero, seppur in minima parte i dirigenti
interessati, costoro hanno invocato a gran voce quell’autonomia infermieristica che fino ad un
minuto prima disconoscevano, in virtù di un controllo sull’operato di professionisti autonomi su cui
non avevano più competenza.

L’esempio più indicativo è la sentenza della IV sezione della Cassazione Penale 2541/2016,
sinteticamente ricordata con la dicitura “il primario non risponde dei piani di lavoro e della formazione
degli infermieri”. L’importanza della Sentenza è rappresentata dal riconoscimento dell’ avanzamento
delle competenze, l’attuale sistema di abilitazione all’esercizio professionale permette alle
professioni sanitarie di poter crescere e adeguare le proprie attività alle mutate esigenze
organizzative.
Atteso che sono professioni sanitarie quelle previste in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo
Stato per attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione.  Un ultimo aspetto, forse il più
rilevante è il pronunciamento della Corte Costituzionale.
che afferma in modo inconfutabile l’abuso di professione e delegittima le Leggi regionali che “inventano” nuove figure sanitarie.

Il tema non riguarda solo il tecnico preposto alla ricezione delle chiamate, ma funzioni riconducibili
allo svolgimento di professioni sanitarie, come la «capacità di riconoscere le principali alterazioni delle
funzioni vitali attraverso la rilevazione di segni e sintomi fisiologici», e «le procedure in caso di TSO .
La Corte Costituzionale delegittima quelle Regioni che hanno istituito la figura di autista soccorritore,
in contrasto con il limite imposto dall’art. 117, terzo comma della Costituzione, secondo il quale
l’individuazione delle figure professionali, con relativi profili e titoli abilitanti è riservata per il suo
carattere unitario allo Stato in modo esclusivo.

SCENARI PARTICOLARI: E-CALL
I progetti legislativi menzionano il Regolamento UE 305/2013 del 26/211/2012 inerente le chiamate
“E-call” per introdurre la virtuosa integrazione del c.d. Set 118 (Servizio di Emergenza Territoriale
118). In molti casi le vetture di nuova immatricolazione, nell’eventualità di un crash stradale inviano
un segnale di allarme alle compagnie assicuratrici, che a loro volta inoltrano la richiesta al NUE 112.
Quando il NUE112 provvederà a girare la segnalazione al servizio di emergenza sanitaria
competente ne deriverà l’invio di un’ambulanza sulla scena senza che nessuno abbia verificato il
bisogno effettivo, né conferito con il richiedente o gli astanti. Il sistema si attiva con qualsiasi tipo di
urto indipendentemente dall’entità; una buca sul manto stradale o la collisione con un mezzo
pesante sono la stessa cosa.

Nella quasi totalità dei casi il mezzo sopraggiunto non trova nessuno; la commistione di un servizio
a pagamento che impiega risorse pubbliche per erogare le sue prestazioni supera addirittura il
telesoccorso i cui operatori verificano quantomeno l’effettivo bisogno del paziente. A distanza di
dieci anni dalla sua attivazione occorrerebbe effettuare un bilancio accurato degli effettivi costi e
benefici, La maggior parte delle situazioni per cui questo protocollo è stato creato esita in un nulla di
fatto, spesso il paziente e la vettura non vengono neppure trovati dai soccorsi. Per evitare di affidarsi
alle percezioni personali sarebbe utile avere dei dati certi su quante missioni generate attraverso il
sistema e-call siano state effettivamente giustificate.

Le Centrali Operative dotate del protocollo di interrogazione EMPDS – Emergency Medical Priority
Dispatch inserendo una scheda specifica per queste situazioni hanno codificato un indice di
sovrastima piuttosto elevato con un ricorso al codice Giallo palesemente ingiustificato. Per arrivare
ad un codice a bassa criticità sono necessarie almeno dieci o undici domande.

L’INTEGRAZIONE TRA OSPEDALE E TERRITORIO
L’integrazione del personale appartenente ai servizi di emergenza territoriale con i colleghi del
Pronto Soccorso non trova alcun riscontro scientifico in termini di competenze o mantenimento delle
stesse.
Dovrebbero essere chiare le differenze tra un’emergenza affrontata all’interno delle mura ospedaliere
ove ci si avvale di plurimi specialisti presenti e un’uguale situazione gestita dal singolo in ambiente
esterno, in presenza di astanti o in sinergia con il personale degli altri enti del soccorso pubblico.
Le competenze specifiche non sono acquisibili semplicemente dismettendo i camici ospedalieri e
indossando una divisa da soccorritore, al contrario il mantenimento della performance professionale
si effettua in collaborazione con gli altri enti istituzionali. E’ peraltro offensiva nei confronti dei
professionisti che vi operano all’interno l’identificazione del servizio di emergenza territoriale come
attività di riposo rispetto al pronto soccorso.

I dati AGENAS degli ultimi anni evidenziano un calo degli accessi nei DEA accompagnato ad un
contestuale aumento delle missioni del Soccorso Sanitario territoriale.
Nel giugno 2015, il Ministero della salute ha emanato un decreto sugli «standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi che individua soglie minime di volume di attività per alcune
condizioni cliniche, soglie che rappresentano un requisito per l’accreditamento della struttura con il
servizio sanitario nazionale, con l’obiettivo di garantire a tutta la popolazione italiana parità di
accesso agli interventi di provata efficacia e sicurezza.

Non a caso la sintesi del Programma Nazionale Esiti – PNE – pubblicata nel 2023, include indicatori
la cui associazione tra volume di attività e sicurezza delle cure è ampiamente dimostrata in
letteratura. Questo concetto è estensibile all’emergenza territoriale laddove sia presente personale
specificamente dedicato e vi sarebbero almeno quattro fattori da analizzare nei contesti come quello
descritto.

Gli infermieri dell’emergenza territoriale operano su scenari dinamici ad alta variabilità e
possiedono una capacità di adattamento maggiore rispetto a chi lavora su scenari statici tipici degli
ospedali: nell’arco di un turno possono lavorare in strada tra la folla, mentre nella successiva si
trovano a domicilio, in un supermercato, nei sotterranei della metropolitana o su scenari montani. Il
personale dell’emergenza vicaria abitualmente l’assistenza domiciliare integrata – ADI- nelle fasce
notturne in cui questa è assente. Sono inoltre maggiormente avvezzi a cogliere alterazioni
parametriche d’allarme e ad intervenire rapidamente e in modo autonomo.

L’infermiere del Pronto Soccorso ha una visione clinica certamente ampia, ma dispone di risorse
maggiori e il suo habitat operativo è sempre lo stesso.
È decisamente più facile processare i volumi di attività dell’emergenza territoriale, riferiti a pazienti
interamente presi in carico dalla valutazione telefonica all’ospedalizzazione, previa stabilizzazione e trattamento sul campo. Invece per ciò che riguarda i passaggi totali del DEA, i dati sono comunque grezzi, perché contemplano anche utenti in transito che si recano presso reparti specialistici (pediatria, ginecologia ostetricia o ambulatori…) senza essere fisicamente presi in carico.

Gli infermieri dell’emergenza territoriale si orientano maggiormente al lavoro in autonomia e a
conferire i pazienti in DEA in tempi addirittura più rapidi rispetto agli equipaggi con medico ed
infermiere, inoltre garantiscono le cure immediate a costi più contenuti. Sul versante delle attività e
delle competenze messe in campo sarebbe poco opportuno da parte di un infermiere ospedaliero, in
qualunque reparto si trovi, procedere all’intubazione di un paziente, potendo disporre di specialisti,
diagnostica e risorse di supporto in breve tempo, per l’infermiere del 118 questa è invece
un’eventualità frequente.

Gli infermieri dell’emergenza territoriale sono spesso gli unici interlocutori di pazienti, familiari e
attori del soccorso. Questa condizione ha sviluppato competenze comunicative e logistiche
nell’espletamento dei soccorsi che non sarebbe stato possibile acquisire da parte di personale che
effettuava, uno o due turni al mese sul territorio ed i restanti in Pronto Soccorso. Le
competenze trasversali nei rapporti con gli attori del soccorso pubblico e nei processi decisionali
rilevanti sono ancora più marcate all’interno della Centrale Operativa.

Gli infermieri dell’emergenza territoriale hanno tempi di addestramento più lunghi rispetto ai
colleghi del Pronto Soccorso. Questi ultimi, nella fase di inserimento lavorativo, possono contare su
una rete di protezione tessuta dallo stesso apparato ospedaliero, rete di cui i colleghi del territorio non
possono fruire. I territoriali spesso lavorano da soli con tempi di formazione richiesti di gran lunga
più elevati. Un ulteriore passo in avanti è avvenuto con la specializzazione accademica istituita
dall’Università di Torino fin dal 2017 e della Libera Università Mediterranea – LUM dal 2020 in
collaborazione con la National Rescue Council – NRC, l’impiego di specialisti ridurrebbe di un terzo i
tempi di formazione sul campo.

Sarebbe più facile assumere infermieri da impiegare immediatamente in Pronto Soccorso, ma
impossibile operare una scelta analoga nel sistema di emergenza territoriale perché verrebbero meno
le tutele e le caratteristiche necessarie; un infermiere del Pronto Soccorso non può essere sostituito da
un collega dell’emergenza territoriale, vale esattamente la regola inversa.
Questa condizione è dovuta allo svolgimento senza soluzione di continuità delle attività proprie di
ciascun professionista e non è modificabile con pochi turni al mese in un luogo di lavoro differente da
quello abituale, ma vi è una ulteriore ragione per cui l’integrazione territoriale e ospedaliera nel
campo dl soccorso sanitario è fallimentare: i pilastri del soccorso pubblico sono rappresentati dalle
Forze di Polizia, dal Soccorso Tecnico Urgente dei Vigili del Fuoco e dal Soccorso Sanitario. I primi
due ricadono sotto la competenza del Ministero dell’Interno, quindi dotati di uniformità intrinseca
per livree, procedure e competenze. Il Soccorso Sanitario è invece gestito a livello locale in modo
difforme, disomogeneo e foriero di diseguaglianze inaccettabili.

La competenza dello Stato anche per il terzo ente, come già anticipato in apertura, contribuirebbe a
garantire quegli standard di uniformità invocati da più parti, impossibili da garantire laddove si
ritornasse in modo diffuso alla commistione tra ospedali e territorio.

L’IMPIEGO DI ALGORITMI NELLA PRATICA ASSISTENZIALE INFERMIERISTICA
Un altro fattore meritevole di analisi approfondita attiene all’impiego di algoritmi clinico assistenziali
da parte degli infermieri dell’emergenza territoriale. Occorre distinguere due campi di applicazione:
il primo riferito all’attività delle Centrali Operative dove la processazione telefonica è di norma
regolata secondo procedure rigide (non passibili di interpretazione), nel secondo caso, la medesima
filosofia viene trasposta sul territorio.

Bisogna innanzitutto rileggere la dicitura contenuta nell’articolo 10 del D.P.R. 27/03/1992,
riguardante l’attività infermieristica “…secondo protocolli decisi dal responsabile medico del servizio”,
poiché redatta in periodo precedente all’abolizione del mansionario in epoca dove i professionisti, a
differenza dei tempi attuali, non lavoravano “per competenze”.

Tale interpretazione è supportata anche, loro malgrado dalle posizioni della Federazione Nazionale
Ordine dei Medici Chirurghi Odontoiatri – FNOMCEO e dai principali Sindacati di categoria medica,
che anche in tempi recenti si sono fermamente opposti all’impiego di protocolli e algoritmi che
giustificassero la presenza dell’infermiere a bordo delle ambulanze senza il medico.

In senso estensivo questo concetto vale anche per le Centrali Operative, gestite prevalentemente dai
professionisti che per definizione sono autonomi e lavorano secondo le proprie competenze a
differenza di un mero esecutore di ordini.

Il secondo campo di applicazione si fonda sull’esecuzione di terapie su situazioni predefinite secondo
le indicazioni del medico della Centrale Operativa, un orientamento denominato Remote Medical
Control -RMC basato sulla prescrizione telefonica a distanza, pratica tuttavia priva di riscontro
deontologico.

L’Art. 12 del Codice di Deontologia Medica afferma che la prescrizione di un accertamento diagnostico e/o
di una terapia…omissis…non può che far seguito a una diagnosi circostanziata o, a un fondato sospetto
diagnostico, l’articolo 18 impone al medico di affrontare i problemi diagnostici con il massimo scrupolo,
dedicandovi il tempo necessario per un approfondito colloquio e per un adeguato esame obiettivo, avvalendosi
delle indagini ritenute necessarie, ancora più chiaro è l’articolo 22 attestante l’obbligo di valutare soltanto
dati clinici direttamente constatati”.

Per queste ragioni il richiamo all’evoluzione e all’autonomia infermieristica citato nei disegni di Legge recenti, laddove accostato al RMC appare nei fatti fortemente contrastato. Particolare attenzione merita il contributo della SIEmS (Bono Zoli) quando ripristina il concetto della “supervisione medica” sull’operato degli infermieri: sul punto va ricordato che l’obbligatorietà della presenza fisica del medico in Centrale Operativa è frutto di un accordo di
categoria, ma non è accompagnata dalla declinazione delle funzioni del medico stesso, verso il quale
non può esserci alcuna subalternità gerarchica da parte degli altri professionisti sanitari.
Se nelle Linee Guida 1/1996 viene menzionata una generica “supervisione” sul personale
infermieristico (all’epoca ausiliario), la scelta di allora volgeva ad un trasferimento di informazioni,
funzionale a chi avrebbe fisicamente preso in carico il paziente nei momenti successivi.
Se il ricorso ai cosiddetti Algoritmi clinico assistenziali può identificarsi come impiego di strumenti funzionali alle esigenze contingenti che presuppongono un bagaglio di conoscenza pregresso,
tutt’altra questione verrebbe a configurarsi laddove gli stessi venissero intesi alla stregua di un
“protocollo”, cioè di una sequenza di azioni rigide dal quale non è possibile deviare.
Questa interpretazione è però irrazionale, al sanitario non può essere demandata un’azione
protocollare burocratica trasformandolo in un rigido e sordo esecutore, tale orientamento
confliggerebbe con le norme vigenti e non rappresenterebbe alcuna forma di tutela. Vale il principio
sancito dalla Direttiva EU/55/2013, interamente recepita dal DLGS 15/2016 che. all’articolo 30
comma f, attesta per l’infermiere: “La competenza di agire autonomamente per il mantenimento in vita in
condizioni di crisi e catastrofi”.

In tema di tecnicismi giuridici occorrerebbe domandarsi per quale ragione una insegnante scolastica5
somministri in autonomia farmaci salvavita a minori che necessitano di trattamento tempestivo,
mentre un professionista dell’emergenza per analoga misura dovrebbe attendere il benestare di una
figura distante dalla scena.

IL TERZO SETTORE E LA SICUREZZA SUL LAVORO
Anche la ridefinizione dei rapporti con il terzo settore è oggetto dei DDL riorganizzativi; questa
andrebbe indirizzata verso uno spostamento delle competenze ed in subordine verso una maggior
attenzione per ciò che attiene la sicurezza sui luoghi di lavoro. Posto che il rapporto con le
Organizzazioni di Volontariato in molte Regioni è inestricabile, è necessario un accurato
bilanciamento tra i termini “collaborazione e subalternità”. In molte Regioni il sistema di emergenza
sanitario possiede un’articolazione pubblica esclusivamente all’interno delle Centrali Operative,
mentre non ha alcuna dotazione per ciò che riguarda la flotta dei mezzi sul territorio.

La questione della sicurezza si interseca con la rotazione del personale ospedaliero sui mezzi di
soccorso, volta a tralasciare gli aspetti critici della tutela sul lavoro: il professionista che svolge pochi
turni al mese, magari in postazioni appartenenti a organizzazioni diverse sarà certamente meno
incline a pretendere condizioni di tutela pari a chi svolge un’attività dedicata. In quest’ultimo caso le
ricadute positive investiranno anche il personale dipendente e volontario delle singole associazioni.
La scarsa sicurezza sul lavoro è un fenomeno che percorre tutto il paese; le sanzioni non esercitano di
norma alcun effetto deterrente perché spesso sono economicamente convenienti rispetto alla messa a
norma delle sedi.

Se il tema investe gli ospedali, le postazioni territoriali sono in condizioni addirittura peggiori, infatti
laddove le Regioni si avvalgano di personale dedicato questo viene solitamente ubicato presso le
sedi delle Organizzazioni di Volontariato e ciò costringe le Aziende Sanitarie titolari della gestione
giuridica del 118 ad interfacciarsi con molteplici amministrazioni. Non sempre le ODV sono in grado
di garantire la sicurezza del personale: il tema gode di una certa trasversalità con almeno tre fattori
comuni.

I tempi di uscita. Le postazioni di soccorso territoriale non rispondono a criteri progettuali edilizi
che facilitino la rapidità dei tempi di uscita; spesso si trovano in edifici e fatiscenti che possono
dislocare in modo incongruo il personale sanitario rispetto alla posizione dell’ autorimessa dove il
mezzo staziona. Questo fattore allunga i tempi di uscita dell’ambulanza rispetto ai parametri
standard con una sensibile decurtazione dei tempi di assistenza alla collettività e presta il fianco ai
contenziosi giuridici. Il sistema di emergenza sanitaria è l’unico ente di soccorso i cui tempi di
intervento sono scanditi per Legge, successivamente integrati dalla pubblicazione delle Griglie LEA
ministeriali.

Aggressioni, danneggiamenti e furti: alcune zone metropolitane sono particolarmente pericolose,
come dimostrano i furti, i danneggiamenti alle vetture e il rischio di aggressione nei confronti dei
professionisti del settore. La carenza di personale non investe solo la sanità, ma anche le Forze di
Polizia, come denunciato quotidianamente dai sindacati di categoria più rappresentativi.
L’intensificarsi dei controlli sul territorio e dei presidi di sicurezza diventa proprio per queste ragioni
sempre più difficoltoso.

I veicoli terrestri e aerei come luoghi di lavoro. Per gli infermieri e i medici dedicati al sistema i
luoghi di lavoro non sono esclusivamente le sedi murarie, ma veicoli che viaggiano ad alta velocità,
dotati di serbatoi stracolmi di carburante, adiacenti a fonti di ossigeno e apparecchiature elettriche in
tensione per il funzionamento degli elettromedicali.

I primi due problemi sono facilmente risolvibili, ottemperando alle norme vigenti e soprattutto
garantendo sedi adeguate e opportunamente presidiate. Sarebbe indicato in tal senso avviare
interlocuzioni istituzionali con i comandi dei Vigili del Fuoco che oltre ad essere dislocati in
posizioni strategiche che favoriscono l’uscita tempestiva dei mezzi, contano su personale affine al
sistema di emergenza sanitaria per compiti e obiettivi.
Sul terzo fattore critico si può intervenire solo mitigando il rischio attraverso comportamenti
prudenti, guida sicura, strategie di prevenzione, formazione continua e manutenzione dei mezzi.
L’analisi dei DDL nell’esposizione dei vari articoli evidenzia confusione tra intenti e applicabilità;
termini come “centrali operative integrate” si scontrano con la gestione delle chiamate di emergenza
su più livelli. Si invoca un sistema nazionale ancorato alla competenza regionale, non si esplicita la
gestione unitaria delle risorse con il Dipartimento della Protezione Civile per eventi particolari di
soccorso e si incentiva l’ulteriore creazione di servizi di elisoccorso, quando ci si potrebbe avvalere
dell’integrazione con il C.N.VV.F.
Encomiabile l’intento di voler offrire al cittadino un soccorso tempestivo e qualificato, ma per tal fine
bisognerebbe riconfigurare completamente il Soccorso Pubblico italiano e le centrali operative in una
organizzazioni interforze.

CONCLUSIONI
Se il richiamo alla tecnologia citato nel DDL Cantù è una dichiarazione d’intenti o un obiettivo da
perseguire è ineccepibile, le Centrali Operative in diverse parti del mondo non sono più quelle di
trent’anni fa e proprio la tecnologia potrebbe sgravarle da compiti impropri.
Laddove al contrario si voglia illustrare una fotografia di quanto esistente, la situazione dei sistemi
di emergenza è desolante, a differenza di quanto accade sul lavoro ognuno di noi usa dispositivi di
avanguardia nella propria vita privata e non è esagerato affermare che c’è più tecnologia nell’età
dell’infanzia che nelle nostre centrali operative.
Gli atti riorganizzativi non citano la presenza di personale esperto in tecnologie biomediche, la
programmazione dei mezzi e delle risorse umane in base alle caratteristiche territoriali richiede
competenze elevate in materia di geografia antropica, sociale, economica, urbanistica e territoriale
dei tempi odierni. Non si comprende da chi dovrebbero essere svolte queste attività, ma certamente
non da infermieri o medici.
Sarebbe anche tempo di rimuovere la commistione tra enti privati e soccorso pubblico di emergenza,
un’unica organizzazione nazionale è più che sufficiente.
Un investimento di rilievo riguarda le competenze specifiche dei professionisti del servizio oggi
particolarmente trascurate, la specializzazione accademica è requisito fondamentale fortemente in
contrasto con l’abbassamento del livello qualitativo a cui assistiamo; è senz’altro condivisibile
l’istituzione di nuove figure professionali, purché formate secondo parametri normati e uniformi
riconosciuti sul suolo nazionale.
Occorre un salto di qualità legato alla professionalizzazione del soccorso pubblico e quindi anche del
soccorso sanitario, è ipotizzabile riconfigurare la flotta di soccorso con la presenza di infermieri e
soccorritori professionali e con automezzi veloci con a bordo medici di medicina d’urgenza, dislocati
nelle aree intra provinciali? Cosa impedisce percorsi accademici di specializzazione per medici,
infermieri e scuole professionali per i soccorritori con una trasversalità comune agli altri enti del
soccorso pubblico?
Manca, ancora una volta nei disegni normativi futuri l’accenno ai requisiti psico fisici, al
mantenimento della salute professionale e al monitoraggio delle condizioni di salute, da mettere in
capo all’INAIL mediante i suoi centri territoriali, la tutela della salute del lavoratore nel soccorso
sanitario è ben diversa da quella del lavoratore nell’ambito ospedaliero.

Per quanto riguarda l’emergenza intra-ospedaliera il DDL Cantù ed altre iniziative sovrapponibili
già citate entrano in modo improprio nei collegamenti tra la Centrale Remota per le Operazioni di
Soccorso Sanitario – CROSS del Dipartimento di Protezione Civile e il sovraffollamento dei Pronto
Soccorso.
Forse prima di giungere alla straordinarietà degli eventi occorre rivedere la tipologia, le condizioni
strutturali, le disponibilità specialistiche di tutti i presidi ospedalieri italiani, l’adeguato numero di
personale, verificando il reale fabbisogno e la distribuzione di unità di personale con limitazioni o in
carico a servizi organizzativi e dirigenziali.
L’assenza di strutture edificate al passo con i tempi con le relative evoluzioni distribuite equamente
sul territorio nazionale, che non compromettano tempi e qualità della presa in carico, metteranno a
dura prova anche il sistema ospedaliero. Non avrebbe alcun senso che il sistema di emergenza
territoriale colmi anche questa lacuna.
Si tratta di progetti normativi che verosimilmente richiederanno plurimi emendamenti in cui settori
delicati e complessi continuano ad essere analizzati con preoccupante superficialità.

Stefano Agostinis