Anche il dottor Andrea Fanti, protagonista della fiction televisiva di successo “Doc – Nelle tue mani”, rinasce più forte, vero e appassionato nella sua vita di uomo e nella sua professione di medico dopo una tremenda esperienza di dolore, una prova che ingiustamente lo aveva ferito gravemente nel corpo e nella sua intima sfera di ricordi personali, affetti, relazioni con il mondo.

Ora siamo tutti alle prese con la pandemia. Siamo storditi, increduli, sospesi, e ci sembra di vivere in un film di fantasia, attori di una trama che soltanto il più futurista dei cinema di fantascienza poteva riservare alla nostra immaginazione. Siamo attoniti, impauriti e sofferenti, preoccupati per un futuro che non riusciamo a capire e a rappresentare, di fronte a serie incognite che sono fonte quotidiana di una inquietudine diffusa, nei pensieri, nei cuori, negli sguardi.

Eppure … non c’è alternativa alla vita piena, alla vita di ciascuno, alla vita di tutti, insieme. Certo, il contagio da coronavirus ci è arrivato alle spalle, improvviso, inatteso. Ha sconvolto normalità e progetti, percorsi e visioni, salute e socialità. Ha modificato radicalmente le nostre vite, le nostre abitudini, le nostre certezze.

Ci stiamo accorgendo che il cambiamento è già in atto. Per ciascuno di noi. Non occorre attendere il tempo che verrà, la stagione in cui l’emergenza sanitaria potrà dirsi conclusa. Siamo già diversi, forse non riconoscibili ai nostri stessi occhi.

Il tempo                                                                                                                                                               

Avevamo la vita in mano, scandita dalle agende che segnavano il calendario fisso del domani, la nostra appropriazione sicura del futuro, la garanzia che ci saremmo stati comunque. Sempre dinamici, in movimento, di corsa, per inseguire obiettivi e risultati. Ora l’orizzonte è quotidiano, e ci siamo ormai abituati a relativizzare quello che potrà accadere, e a dare più valore alla concretezza del presente, senza distrarci, senza disperderci, senza false illusioni. Con profondità e lentezza, dentro spazi limitati, riprendendo necessariamente il filo del pensiero, delle idee, dei significati.

La salute                                                                                                                                                              

Eravamo invincibili nella nostra fisicità di alto profilo, convinti che una questione sanitaria come la pandemia planetaria non ci avrebbe mai raggiunti, sicuri che i nostri traguardi di scienza e di welfare ci avrebbero risparmiato da ogni attacco. Adesso siamo invece alla prese con la fragilità intrinseca della nostra natura umana, e abbiamo rimesso proprio la salute al centro delle preoccupazioni di tutti e di ciascuno, al primo posto dell’impegno per il bene comune, in cima  alle priorità degli obiettivi di “governance” di una comunità nazionale sana, coesa e unita.

La morte                                                                                                                                                  

Avevamo allontanato la morte dal palcoscenico della vita, l’avevamo quasi espunta dai nostri riti quotidiani, l’avevamo avvolta in un silenzio dimentico della drammatica verità del nostro esistere. Ora proprio la morte è divenuto il tema inatteso delle nostre giornate, un numero statistico di confronto, un elenco lunghissimo di decessi, una terribile realtà con la quale confrontarci costantemente. E si è tramutata in un generale rimpianto  per tutti coloro che ci hanno lasciati in solitudine, nel profondo dolore per il distacco da chi non c’è più, nella tristezza infinita per quelle bare allineate e costrette a viaggiare sui camion militari, partendo dalla martoriata Bergamo in una sera di marzo. Come ci ha raccontato quella foto, simbolo per sempre di una tragedia italiana che ha commosso il mondo.

Per questo motivo  abbiamo ripreso il senso autentico della nostra umanità, il significato della nostra finitezza, precarietà, caducità terrena. E il pensiero della morte, molto di più di prima, ci aiuta a stabilire le priorità, a mettere in  ordine i valori che contano, le scelte di bene, l’amore per gli altri. Come scriveva il grande poeta Umberto Saba:”Ed è il pensiero della morte che, alla fine, aiuta a vivere”.

Passaggio di speranza                                                                                                                                          

Mentre guardiamo alla Settimana Santa che porta alla Pasqua di Resurrezione, avvertiamo ancora più forte il senso di questo cambiamento in atto dentro di noi, questo “passaggio” – nella radice letterale di Pasqua – che guarda alla luce e alla speranza, nonostante tutto. Piegati, ma non spezzati dalle fatiche e dal dolore, dai sacrifici e dalle paure. Saremo più forti e più veri. Le cose nuove accadono, sotto i nostri occhi. La rinascita comincia spesso al tempo di un dolore innocente, e con la voglia di ripresa e di riscatto, di autenticità e di vero bene. Oggi siamo al tempo del Venerdì Santo. Ma la Domenica di Pasqua arriverà presto: “E’ risorto, non è qui”.

Marco Zabotti

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