Da la Repubblica del 4 maggio 2019

LA LEGGE CONTE
(L’ALLENATORE)

” Ah, i cervelli in fuga! Riportarli in patria è l’ossessione
di ogni governo, da molti anni a questa
parte. Anche se dopo i proclami non solo i
cervelli fuggiti non rientrano, ma addirittura
quelli che dovrebbero essere trattenuti continuano
a fuggire. Tutti ci hanno provato, dallo Stato alle
Regioni. Tutti scontrandosi un po’ con la burocrazia,
ma soprattutto con un sistema che non progetta il
futuro. A cominciare proprio dai luoghi dove si dovrebbe
progettare proprio quello: le Università.
Lo sostengono le principali organizzazioni internazionali,
come l’Ocse: che, riconoscendo come i nostri
atenei stiano risalendo nelle classifiche internazionali,
l’emigrazione intellettuale purtroppo non si ferma.
Al punto che l’Italia è tornata a scalare anche le classifiche
dell’emigrazione, con un terzo di chi scappa che
ha una laurea in tasca. Il risultato è che dopo aver speso
164 mila euro per formare un laureato e ben 228 mila
per un dottore di ricerca, il beneficio va ad altri Paesi.
Che un governo autodefinitosi del cambiamento
non si occupasse della spinosa questione sarebbe stato
inconcepibile. Ecco allora nel decreto crescita appena
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un bell’articolo,
per l’esattezza il numero 5, il cui titolo non lascia spazio
a dubbi: “Rientro dei cervelli”. Si tratta solo di stabilire
quali. Perché per come il suddetto articolo è formulato,
legittimo è il sospetto che possa favorire una
platea ben più ampia dei giovani laureati in fuga. C’è
scritto che chi trasferisce la residenza in Italia dopo essere
rimasto fuori per almeno due anni, e si impegna a
risiedere nel nostro Paese per almeno due anni, paga
le tasse sul 30 per cento del reddito. E appena il 10 per
cento se la residenza è in una delle Regioni meridionali.
Sempre che, naturalmente, la prestazione lavorativa
sia prestata «prevalentemente nel territorio italiano
». Scritta così, potrebbe benissimo essere battezzata
norma “Conte”: dove per Conte non si intende il presidente
del Consiglio Conte Giuseppe, ma Conte Antonio,
ossia l’ex allenatore di Juventus, Nazionale italiana
e Chelsea. Se ora decidesse di tornare ad allenare in
Italia, per esempio la Roma, chi potrebbe impedirgli
di beneficiare di questa legge? Mettiamo che venga ingaggiato
con un contratto di due anni, dopo essere stato
due anni nel Regno Unito: rientrerebbe perfettamente
nella norma. E pagherebbe le tasse solo sul 30
per cento del suo compenso che prevediamo milionario.
Non solo lui, d’accordo. Anche Josep Guardiola, o
José Muorinho, visto che la legge non distingue fra i
cittadini italiani e gli altri. Oppure calciatori che militano
in club esteri e rientrassero in Italia, o semplicemente
giocatori stranieri.
Sono esempi che possono far sorridere. Ma neanche
troppo. Il rientro dei cervelli è una faccenda troppo
seria perché una norma fatta in questo modo possa
favorire chi con quella sacrosanta intenzione non c’entra
un bel niente. Questa rischia di essere una manna
ancora più appetitosa di quella prevista a suo tempo
dalla legge del governo Renzi per favorire il rientro
non dei cervelli, ma dei cosiddetti paperoni. Ricordate?
Pagavano una tassa fissa di 100 mila euro sui guadagni
realizzati all’estero, di qualunque entità fossero:
ma sui proventi nel nostro Paese pagavano il 100
per cento delle imposte, e comunque dovevano essere
stati residenti all’estero in precedenza per almeno
nove anni. All’Agenzia delle entrate arrivarono nel
2018 circa 280 domande, di cui i due terzi da Paesi europei
con in testa Inghilterra, Svizzera e Francia. Doveva
servire soltanto a far tornare in Italia gli italiani ricchi
espatriati, con o senza cervello fino. Da una legge
che proprio ai cervelli invece dovrebbe rivolgersi, e
non al portafoglio o ai garretti, ci si doveva aspettare
decisamente di più.

Sergio Rizzo