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Salvini, Rodomonte e l’aria di elezioni – di Guido Puccio

“L’Europa non rompa, altrimenti ci governiamo da soli”. E’ l’ultima sortita di Matteo Salvini dopo l’invito della Commissione Europea a continuare con le riforme e a tenere sotto controllo la spesa pubblica. Anzi, la penultima: rivolgendosi sempre a Bruxelles, il capo della Lega ha anche sbottato “che si attacchino al tram”. Battute da bar, ovviamente, e di buona beva.  Per non dire della intenzione di oggi di andare lui a Mosca, da Putin visto che il segretario generale dell’ONU non ha portato a casa niente e nemmeno altri capi di Stato o di governo.

I due commissari europei Gentiloni e Dombrovskis avevano raccomandato nei giorni scorsi l’attuazione delle riforme previste a calendario in questi giorni: quella fiscale, riferite al catasto, ferma alla Camera; quella sulla concorrenza che si è appena sbloccata al Senato e quella del lavoro. Giustamente il Presidente Draghi ha chiesto al Parlamento di approvarle e in caso di lungaggini ha previsto il ricorso al voto di fiducia. Tanto più che a breve passeremo all’incasso della tranche di 20 miliardi di euro previsti dal Recovery Fund.

Mentre Bruxelles ci invita a rispettare gli impegni si profila anche il rinvio al 2023 del “patto di stabilità” che, come è noto, impone la riduzione in prospettiva del debito e alcuni limiti alla spesa pubblica, e ciò in considerazione di quanto consegue agli eventi bellici in Ucraina. Dovrebbe quindi essere normale, in un Paese civile, vedere il Parlamento, nel pieno rispetto delle sue prerogative, fortemente impegnato a dare attuazione alle riforme e le forze politiche a loro volta impegnate a rimuovere intralci e difficoltà.

L’occasione da non perdere resta infatti quella di utilizzare tutte le gigantesche risorse finanziarie europee del PNRR in fase di attuazione. Purtroppo all’orizzonte c’è altro: la campagna elettorale per le imminenti elezioni amministrative e soprattutto quella per le elezioni politiche del prossimo anno. Con la classe politica che ci ritroviamo queste scadenze rischiano di prevalere su tutto: dalla credibilità acquisita a livello internazionale dal nostro governo, alle nuove emergenze che conseguono alla guerra; dalle esigenze di disporre di risorse energetiche, alle necessità di tenere sotto controllo l’inflazione.

Tanto più che a luglio la BCE finirà il programma di acquisti di titoli sul mercato secondario e al più tardi a settembre aumenterà i tassi di interesse. Tutto ciò significa che dovremmo tornare ad affrontare i mercati. Lo faremo da soli, onorevole Salvini? E che cosa ne pensano i suoi validi colleghi come Giorgetti, Fedriga, Garavaglia e altri?

C’è una regola non scritta che nel nostro Paese vale più che altrove: quando si avvicinano le elezioni per alcuni leader di partito le convenienze e lo spirito di parte prevalgono sugli interessi generali. Avveniva anche ai tempi della cosiddetta prima Repubblica, con personaggi di ben altro spessore, alto senso dello Stato e delle istituzioni repubblicane. Figuriamoci oggi con i personaggi che ci ritroviamo nell’Italia senza i partiti e dove contano solo i leader.

Non importa se siamo il Paese con il debito più alto: cinquecento miliardi in più negli ultimi otto anni. Non importa se la produttività cresce dello 0,1% all’anno (nei Paesi del G7 la media è 0,9% e in Germania 0,7%). Non importa se il tasso di occupazione è di dieci punti sotto la media europea (in Italia lavorano 23 milioni di persone, in Francia sono 34 milioni). Quello che importa è altro: dimostrare che la vecchia diffidenza nei confronti dell’Europa c’è sempre e non perdere l’occasione per spararle grosse, come  Rodomonte nell’Orlando Furioso. Meglio se con battute da bar, con o senza mohito.

Aveva ragione Ciriaco De Mita, che ci ha lasciati in questi giorni, quando sovente sosteneva che “chi vuole far sembrare semplice una situazione complessa, quasi sempre non l’ha capita”.

Guido Puccio

 

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