Ho ricevuto da Savino Pezzotta l’allegata lettera che discute del tema dei “cattolici e la politica”, con la preghiera di socializzarne il contenuto, invito che accolgo molto volentieri in quanto, come sempre accade per gli scritti di Savino, provoca e aiuta a riflettere.
Rodolfo Vialba

Caro Rodolfo

Ho seguito il dibattito vero, sentito, appassionato agitato concretamente il sentire di molti amici e che chiede come il pensiero, la cultura e l’azione politica che trae ispirazione dal cristianesimo può contare di più oggi, in questa società, in questa situazione politica. Dico subito che una riflessione a tutto tondo sull’impegno dei cattolici in Politica nel nostro tempo e estremamente utile. Lo si può rilevare seguendo i vostri vari interventi, ma sbaglieremmo se riducessimo le nostre interrogazioni alla proposta di riedizione di un “partito di ispirazione”, che peraltro non condivido. La crisi politica che è frutto di una crisi ideale e morale accentua la domanda chiede ai cattolici quali tipo di presenza voglia esprimere i cattolici in politica.
Debbo però confessare che in molti interventi ho rintracciato più una nostalgia astorica, che ho letto come più democristiana che cattolica. Per la fortuna del nostro paese e della nostra Chiesa non abbiamo mai avuto un partito cattolico e la Dc era semplicemente un partito che faceva riferimento ai valori cristiani senza essere battezzata. Comprendo che nell’attuale confusione politica possa sorgere la nostalgia di un tempo in cui le posizioni politiche apparivano chiare e definite da una sorta di bipolarismo plurale che faceva perno su due grandi aggregazioni che comunque anche nell’asprezza della loro dialettica ideologica, politica e sociale davano l’idea di una sorta di stabilità e di ordine.
Non è più così e forse questo non è un male perché obbliga a scegliere con maggior consapevolezza e lo stesso elettorato cattolico si è abituato a vivere e a scegliere dentro questa dimensione plurale, anche se oggi non ha ancora trovato la condizione di stabilità e di ordine necessario per definire un quadro di governabilità e di alternanza democratica.
La storia ci insegna che il partito di ispirazione cristiana non è stato omogeneo nella sua genesi e nella sua evoluzione storica, anzi potremmo dire che sono esistite diverse forze politiche di ispirazione cristiana alcune delle quali non si sono ritrovate nel filone del cosiddetto cattolicesimo democratico, vorrei riferirmi alla Democrazia Cristiana di Romolo Murri, al Ppi di Luigi Sturzo, alla Dc di De Gasperi e alle sue declinazioni durante la costruzione della Repubblica e a quella di Aldo Moro nel tentativo drammaticamente interrotto con il suo assassino di pervenire alla democrazia compiuta.
• La prima, quella di Murri, è fallita di fronte a una gerarchia eccessivamente sospettosa dell’autonomia politica dei laici; ma anche per i tratti populismo messianico che la proposta murriana conteneva e che finiva per tendere verso una teologia politica ipotizzando di fare dei cattolici l’avanguardia dell’emancipazione e della giustizia in un processo di civilizzazione che trasformava la Chiesa, sia pur indirettamente in una sorta “di instrumentum regni” del progetto politico “democratico;
• La seconda, il PPI che si differenziava dal murrismo per l’idea di laicità, venne spazzata via dal fascismo e dalle sue divisioni interne. Non possiamo dimenticare che innanzi all’aggressione esterna operata dal fascismo, la dirigenza di quel partito, delle diverse aggregazioni cattoliche e di parte della gerarchia invischiata in una visione di regime, più che in una visione moderata, nel moderatismo non seppe riconoscere il pericolo rappresentato dal fascismo e a riconoscersi nel sistema concettuale elaborato da Sturzo. Questo spinse i popolari a fare parte del primo Governo Mussolini e a mettere le basi per la dissoluzione del partito.
• La terza, quella degasperiana, fu il partito di mediazione e di raccolta, attraversato da profonde differenze, di cui il filone moderato-conservatore fu il catalizzatore predominante e in larga parte egemone anche per l’0mbra che il PCI e la sua collocazione internazionale proiettava sulla politica nazionale e internazionale dell’Italia.
• La quarta, quella di Moro e di Zaccagnini e Martinazzoli fu la più complessa e si trovò ad agire in una situazione difficile, poiché si trattava di cogliere politicamente la modernizzazione sociale ed economica che si era realizzata in Italia.
Sono convinto che tra il progetto di Moro, e quello dei suoi immediati successori, e quello interpretato da De Gasperi esistevano differenze profonde a cui contribuivano le diverse personalità e, soprattutto, il mutarsi della congiuntura politica ed economica.
Comunque, va sempre tenuto presente che l’esperienza democristiana che non fu esclusivamente esperienza cattolica ma anche liberale e democratico- riformista e che, anche attraverso la sua vivace dialettica interna, consentì al laicato di crescere in autonomia e di togliersi dalla tutela clericale. Questo fu un bene per i cattolici che si impegnavano in politica, per la Chiesa Italiana che poteva agire in libertà e apertura, come del resto aveva indicato il concilio Vaticano e il pontificato di Giovanni XXIII.
Va anche detto che De Gasperi non vedeva nella unità politica dei cattolici un dato permanente ma lo legava alla contingenza storica: la costruzione di una democrazia liberal-democratica di cui il nostro Paese non aveva esperienze e il contrasto, per queste ragioni, dell’ipotesi comunista e alla presenza dentro il mondo cattolico di posizioni conservatrici e laburiste e di riformismo sociale ( non a caso un grande intellettuale cislino come Vincenzo Saba ha più volte parlato e scritto di laburismo cristiano) che convivevano ma che mal si omogeneizzavano tra loro.
L’idea che oggi nel 2019 si possa ipotizzare la creazione di un partito di ispirazione cristiana non mi sembra realistica, anche se comprendo il malessere di molti di noi innanzi a una politica che sembra andare in direzione opposta ai valori in cui continuiamo a credere, basti guardare ai temi e alle azioni che vengono diffuse e attuati su accoglienza e migrazioni. È stato da più parti sottolineato e in particolare nell’analisi dei risultati elettorali che i cattolici hanno votato per partiti anti-solidali, di destra e un poco xenofobi ai confini con il razzismo.
Capisco che a fronte di questa situazione ad alcuni amici venga da pensare, in tutta onesta, che sarebbe necessario organizzare una presenza politica di ispirazione cristiana. È una idea che non mi convince. Oggi molti cattolici aderiscono e votano partiti che non sono molto vicini alle indicazioni della Dottrina Sociale della Chiesa. Inoltre, vi sono molti cattolici che pensano di essere nel giusto nell’appoggiare la Lega e non pensano di essere incoerenti con i valori della Chiesa, ma pensano di essere realisti o ritengono di essere deboli e di doversi difendere e che una cosa è la politica un’altra è la morale o la fede.
Credo che anche le «terze vie»: costruire coordinamenti dei movimenti, oppure dar vita a un Movimento politico che non sia un partito ma qualche che gli assomigli, sia abbastanza sterile.
È difficile scendere nel merito delle singole proposte. Soprattutto per chi come me molti di questi sentieri ha cercato di percorrerli e ne ha dovuto costatare l’impraticabilità.
Che fare? Questa è la domanda cui bisogna cercare di rispondere con onestà e chiarezza. È tempo di ridefinire un modo di presenza nuova e segnata da una laicità profonda e vissuta e che sia in grado di provocare una diversa attenzione al valore del messaggio evangelico. Ci dobbiamo rendere conto che molte persone abbandonano i riferimenti e l’adesione al cristianesimo e questo è il vero problema che abbiamo come credenti e che molte volte è dovuto alle nostre debolezze e incoerenze. Da queste costatazioni che merierebbero un maggior e più rigoroso approfondimento, ne derivano due modalità di azione:
1. Sul terreno più propriamente religioso e di evangelizzazione.
Sul terreno etico e culturale sul quale sono in discussione i valori di fondo senza i quali la politica declina. Sono convinto che c’è una tradizione di pensiero e di proposta c che va recuperata, aggiornata e rilanciata e mi riferisco al personalismo sociale, in cui l’intreccio tra il personale e il politico sono cosi legati da consentire di evitare l’individualismo, il collettivismo, il mercatismo e il populismo;
2. Sul terreno dell’azione concreta, facendo i conti con la situazione concreta, si devono individuare le priorità su cui intervenire (povertà, immigrazione, sviluppo sostenibile, ambiente e relazioni umane, questioni del lavoro e dell’occupazione, dell’intervento pubblico, disuguaglianze e sicurezza, sostegno della famiglia, istruzione e formazione, politiche industriali,) ma l’elenco potrebbe continuare. Andrebbe affrontato il tema della politica estera e dell’integrazione europea. Credo che abbiamo anche il compito di contribuire a ridare credibilità alla democrazia.
Queste sono, in definitiva, le modalità dell’impegno che il mondo cattolico deve fare proprie. Un impegno che, stante la situazione di difficoltà che la politica attraversa, diviene un dovere ineludibile, se si vogliono ricostruire le basi di una convivenza civile partecipata e solidale.
Personalmente e senza pretese di verità credo che l’area dove trovare le modalità di una presenza sia quella riformista; quello che va evitato è di accettare la riduzione a una minorità identitaria, ma avere la capacità di accettare, in autonomia di pensiero e di proposta, di compartecipare attraverso mediazioni – faticose ma necessarie – a esperienze più grandi, soprattutto oggi che dobbiamo contribuire a fermare l’onda sovranista.

Savino Pezzotta

16 agosto 2019