Si torna a parlare di scuola a seguito dei decreti varati nei giorni scorsi dal Governo. E si torna, inevitabilmente, a parlare della scuola paritaria troppe volte liquidata come scuola “privata” e sottovalutandone l’importante ruolo che svolge. Si parla di un comparto produttivo fondamentale per la vita del Paese, di quasi 900.000 studenti, 180.000 tra docenti e operatori scolastici, 12.000 sedi scolastiche distribuite su tutto il territorio nazionale. Un sistema scolastico che sgrava lo Stato di un costo di circa sei miliardi di euro.

Recentemente, suor Anna Monia Alfieri ha giustamente ricordato qualche giorno che “la scuola pubblica italiana si compone di due rami, diversi per natura giuridica ma uguali nei fini e chiamati ad intrecciarsi, in una sana collaborazione, per il bene della società attraverso la formazione dei giovani. Se questa vocazione comune fosse finalmente compresa da tutti, non leggeremmo ancora di inutili polemiche, lo Stato risparmierebbe, i risultati nella didattica sarebbero di gran lunga migliori, allineandosi agli standard europei. Occorre decidere di quale idea ci vogliamo pascere e gongolare: o di un’ideologia trita e ritrita o dei risultati raggiunti dagli studenti italiani. Detto diversamente: occorre capire se vogliamo guardare sempre al passato o proiettarci nel futuro, meglio nel presente europeo, visto che in Europa, in modalità seppur diverse, i genitori sono liberi di scegliere la scuola per i figli”.

INSIEME da tempo è intervenuto sul tema ricordando come la legge n. 62/2000 sulla parità scolastica, nel dare attuazione al principio pluralistico fissato dall’articolo 33 della Costituzione, abbia configurato un sistema nazionale d’istruzione fondato sull’integrazione tra scuole statali, paritarie e scuole degli enti locali. Con l’obiettivo dichiarato  di rispondere al problema della libertà d’insegnamento.

Le scuole pubbliche paritarie, dunque, non sono al di fuori del sistema nazionale di istruzione, ma ne fanno totalmente parte: sono tutte le istituzioni scolastiche non statali e in esse sono comprese anche quelle degli enti locali; e questo nell’orizzonte di una piena applicazione del principio di sussidiarietà.

Eppure, esse che pur accolgono quasi il 12% degli alunni, continuano ad essere discriminate, ricevendo meno dell’1% dei finanziamenti statali destinati all’istruzione, con ulteriori tagli già previsti. L’ingiustizia sta nel fatto che tali scuole non sono sostenute economicamente dallo Stato, mentre, pur essendo private quanto alla gestione –con i relativi oneri a carico delle famiglie-, sono del tutto pubbliche quanto al servizio educativo offerto.

Anziché procedere, come nel resto d’Europa, verso un consolidamento del sistema pubblico integrato, si va verso l’eliminazione di fatto della scuola non statale, per mancanza di sostegno finanziario alle strutture o per impossibilità delle famiglie di pagare la retta.

La disparità tra le risorse messe a disposizione dallo Stato, destinate alle scuole pubbliche statali rispetto alle pubbliche paritarie, risulta ancora più stridente se confrontiamo la realtà italiana con quella degli altri Paesi europei.

Tra i Paesi che hanno risultati superiori alla fascia media nelle classifiche PISA, i due terzi dispongono di un finanziamento includente le scuole non governative, e tale che favorisca almeno due delle tre principali modalità di aiuto pubblico alle paritarie: finanziamento dei docenti, finanziamento dei costi operativi e sovvenzione dei costi di investimento in strutture e attrezzature.

Negli anni seguiti all’emanazione della legge sulla parità, gli interventi di finanziamento sono stati assai incerti nei tempi di erogazione e nel quantum. E ciò, mentre risulta evidente che la scuola pubblica paritaria non solo non rappresenta un costo, bensì risulta un finanziatore eccellente che fa risparmiare allo Stato circa 6 miliardi di euro annui.

Ne deriva che solo le famiglie abbienti possono esercitare il loro diritto di scelta rispetto alle numerose altre (secondo alcune ricerche, almeno l’8%) che invece si vedono preclusa questa possibilità, con effetti di frustrazione e di malcontento di fronte a quella che viene percepita come una palese discriminazione

È pertanto necessario, ponendo al centro lo studente, individuare un costo standard di sostenibilità da applicare ad ogni allievo della scuola pubblica italiana, sia statale che paritaria, compresa nel sistema nazionale d’istruzione. In questo modo si realizzerebbe la libertà di scelta educativa in un pluralismo formativo, non soltanto a costo zero, ma con un miglioramento dell’offerta educativa.

Il finanziamento alle scuole – tramite la famiglia – trova fondamento non nel sostegno diretto a “imprese private”, ma nel fatto che lo Stato ha riconosciuto costituzionalmente e con la legge n. 62 del 2000 il diritto dei genitori alla scelta educativa in una pluralità di offerta formativa pubblica e garantita, che può essere, come per la sanità, a gestione statale o non statale: “pubblico” infatti non è sinonimo di “statale”.

Per INSIEME, non si tratta di aggiungere una nuova spesa per lo Stato, ma di impiegare in modo più efficace e moderno quella attuale. La proposta libererebbe risorse pubbliche per addirittura 17 miliardi di euro all’anno, pari a un risparmio di imposta annuo per ogni cittadino di circa 400 euro, peraltro ricollocabili in altra forma nel sistema scolastico.

Le criticità del sistema italiano d’istruzione si sono acuite con l’emergenza determinata dalla pandemia Covid-19. Se è vero, come ripetono i mass media, che dopo la pandemia “nulla sarà come prima”, non solo per molte famiglie ma anche per tante imprese, ciò è sicuramente vero per la scuola pubblica paritaria.

È essenziale precisare che la scuola pubblica paritaria è costituita, in buona parte, da una popolazione scolastica fatta da famiglie che non ce la fanno a pagare la retta mensile. Si tratta di una scuola che abita zone povere e risponde a situazioni di disagio del nostro territorio, che agisce in termini di sussidiarietà rispetto al diritto all’istruzione, di cui è depositario qualunque bambino nato in Italia e che, senza dubbio, rappresenta il vero obiettivo sociale rivoluzionario di un Paese civile e democratico.

Questa scuola ha radici culturali e antropologiche profonde, riflette la flessibilità culturale della nostra gente, la sensibilità e la multiformità dell’impegno civico.

Il suo annientamento – forse il progetto altro che sta alla base di tante resistenze politiche/ideologiche – rappresenterebbe un marcato impoverimento culturale del Paese, per questo chiediamo a tutte le forze politiche di sostenere il pluralismo culturale della società italiana, pluralismo che passa attraverso la scuola, tutta la scuola.

La maggioranza delle scuole paritarie si colloca nell’Italia centro-meridionale dove peraltro, storicamente le scuole pubbliche statali non riescono a garantire il diritto all’istruzione. Così, in troppe zone le scuole statali sono insufficienti e vengono meno le paritarie, quando le scuole statali esistenti non possono comunque essere raggiunte da molti studenti per la reale mancanza dei mezzi di trasporto. Il Centro-Sud, già economicamente fragile, è destinato a soccombere culturalmente. Anche in Italia settentrionale, tuttavia, la situazione non è molto diversa.

Chi saranno le principali vittime di tale preoccupante prospettiva? Gli studenti delle periferie, perché quelli residenti nei centri storici che hanno le scuole nei pressi delle abitazioni o che, possono accompagnati dai propri genitori, non saranno coinvolti da questo problema. Chi abita nelle periferie rimarrà a casa con una didattica a distanza che non potrà raggiungere, come di fatto non ha raggiunto, tutti. È questa una ingiustizia che va scongiurata, scegliendo subito soluzioni concrete per le nostre famiglie.

Se il Covid-19 ha imposto alla classe politica di misurarsi con l’incompiuto e iniquo sistema scolastico italiano s’impone anche una coralità oltre ogni schieramento politico per non condannare tutta la scuola italiana a non ripartire.

L’emergenza epidemiologica ha squarciato il velo dei costi, con la scuola statale che costa 8.500 euro per alunno alle famiglie italiane contribuenti (esclusi i più poveri e i disabili) e la scuola paritaria che presenta rette che vanno tra i 4.000 e i 5.500 euro annui. Circostanza che rafforza la necessità di rivedere le linee di finanziamento del sistema scolastico italiano, il nodo irrisolto degli ultimi 20 anni di parità sulla carta.

 

 

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