“Il pensiero, la meditazione, lo studio, la prova del dolore e del sacrificio, l’ esempio del carattere, la forza della convinzione valgono assai di più di cento conferenze o di mille articoli di giornale……”. Ed ancora: “L’ esempio dei giorni aspri del primo Risorgimento deve farci convinti che nessuna forza armata o potere di principi o di dittatori valgono a contenere la diffusione delle idee e ad impedire che si affermino in istituti politici quando esse sono mature. E non occorrono i molti a questo fine”. Così Don Luigi Sturzo, quasi un secolo fa, nella lettera ai “popolari”, scritta dall’ esilio londinese, nel gennaio del ‘26, a ricordo del settimo anniversario di fondazione del Partito Popolare Italiano.

Queste due frasi possiamo farle nostre, per quanto sia così differente il contesto in cui oggi operiamo.
Sono un monito, un incoraggiamento, ma soprattutto un programma che giunge da lontano, dalle radici della nostra storia, conserva una straordinaria attualità e si sintetizza nella ricerca costante, nella costruzione paziente della libertà, la “libertà vera”, come la evoca Don Sturzo.

E’ questa capacità di declinare un progetto politico, nelle forme operative e concrete del “partito di programma”, riconducendolo in ultima sintesi alla libertà, cioè al valore originario e fondativo per tutti – credenti e non-credenti – della inalienabile dignità della persona, a fare del “popolarismo” una cultura politica che non patisce l’ usura del tempo.

Il “popolarismo” è la cultura più adatta a leggere, interpretare, governare il tempo storico della complessità e l’età della conoscenza, in quanto non è una ideologia, non soffre la camicia di forza di un pensiero ossificato, dà forma, al contrario, ad un sistema aperto, saldamente incardinato in una costellazione di valori e di principi che lo mantengono fermo nella sua idealità e, ad un tempo, lo rendono capace di imparare induttivamente dal vissuto delle esperienze concrete in cui si trova immerso.

In fondo, viene mortificato se costretto dentro la classica tripartizione “destra-centro-sinistra”, che, soprattutto in una fase storica segnata da profonde trasformazioni come la nostra, non è sempre in grado di dar conto di una articolazione di temi, argomenti, suggestioni che sfuggono ad una classificazione che, per quanto abbia tuttora, in linea generale, la sua ragion d’essere, non può più rispondere a schemi convenzionali rigidi ed inamovibili.

Non a caso, le sue forme storiche – dal PPI di Sturzo, alla DC di De Gasperi e Moro – evolvono e passano, secondo la contingenza del loro momento, mentre l’ impianto personalista e liberal-democratico della sua cultura politica permane e trascende le fasi storiche che via via subentrano.

Domenico Galbiati

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