Quando il 1 maggio 2019 papa Francesco lanciò l’appuntamento per “L’Economia di Francesco”  sottolineò esplicitamente l’urgenza di “sviluppare l’idea di un’alleanza per cambiare l’economia di oggi e per dare un’anima all’economia di domani “. Negli ultimi 15 mesi, più di 2000 giovani economisti e imprenditori di 120 paesi hanno lavorato, in modo saggiamente organizzato, per parlare dei pilastri di un’economia basata sulla cultura della cura, della creazione di vero valore e della fraternità universale, andando oltre la mentalità dello scarto ancora prevalente e la globalizzazione dell’indifferenza.

Vorrei sottolineare alcune delle tante rilevanti implicazioni derivanti dal caloroso e paterno invito di Papa Francesco ad andare avanti verso un diverso tipo di economia, inclusiva e non esclusiva, umana e non disumanizzante, che si prende cura dell’ambiente e non lo depreda.

Primo. L’idea oggi prevalente nella scienza economica si basa su un concetto sbagliato di valore, secondo il quale esso si identifica solo con il prezzo di mercato. Una tale nozione riduzionista di valore ha importanti conseguenze sul modo in cui viene strutturato il sistema economico. Per esempio: beni relazionali, beni di cura, beni comuni, beni di gratuità ecc. non entrano nella metrica del PIL. Eppure, non v’è chi non veda che si tratta di beni essenziali per la nostra prosperità. Una mentalità “estrattivista” e tecnocratica impedisce di distinguere i valori pubblici – quelli che sono collettivamente creati da una pluralità di attori – dai beni pubblici che vengono prodotti e distribuiti dall’ente pubblico.

Secondo. Le imprese devono abbracciare un fine ultimo per il loro agire, oltre a realizzare solo profitti; devono considerare il benessere di tutte le parti interessate. Gli investitori devono concentrarsi sul lungo termine e considerare esplicitamente l’impatto sociale e ambientale dei loro investimenti. Le organizzazioni della società civile devono lavorare insieme per affrontare le sfide globali attraverso pratiche di organizzazione della comunità. Dobbiamo comprendere la nostra “civiltà aziendale” alla luce dei fallimenti del pensiero economico dominante per giungere a categorie adeguate al nostro mondo “aziendale”, in cui la proprietà appartiene ad entità giuridiche astratte piuttosto che a persone fisiche. Oggi, i leader dell’economia stanno capendo che concentrarsi sulla sola massimizzazione del valore per gli azionisti non ha futuro. La tendenza è quella di andare verso il cosiddetto “impatto sociale totale”, secondo cui le imprese considerano l’impatto delle proprie attività sulla dimensione sociale ed ambientale, oltre che su quella economica.

Terzo. È urgente riordinare la finanza, il che richiede che i sistemi di contabilità finanziaria includano metriche sociali e ambientali e che la valutazione dell’impatto diventi una norma di comportamento. In effetti, la ricerca del profitto non è di per sé un problema. Il vero problema sta nell’incompletezza del calcolo del profitto, cioè di cosa viene tralasciato. E le omissioni oggi sono insopportabili. La finanza liberalizzata gioca un ruolo chiave nel capitalismo contemporaneo, che a sua volta contribuisce a creare crescenti disuguaglianze. L’epidemia di Covid-19 non ha solamente rivelato le nostre false sicurezze, ha anche esacerbato le profonde faglie dell’economia globale. Registriamo bensì il valore di quanto raccogliamo dalla natura, ma non provvediamo alle compensazioni necessarie per far fronte al suo degrado.

Quarto. I governi devono riaffermare il loro ruolo fondamentale nel fissare le regole del gioco economico in vista del Bene comune e non degli interessi di particolari gruppi di attori. Senza regole, la globalizzazione diventa una giungla. Il mercato globale pone problemi, ma può diventare invece la soluzione se cambiamo le regole del gioco. Non è accettabile, né sostenibile, un’economia in cui il mercato e il potere politico permettono a individui e imprese privilegiate di “estrarre” una grande quantità di rendita da tutti gli altri. La debole concorrenza, la debole crescita della produttività, le disuguaglianze elevate e crescenti, il degrado della democrazia stanno danneggiando i cittadini. Le democrazie devono cooperare tra loro per riscrivere le regole, specialmente per ciò che riguarda il regime del commercio internazionale.

Quinto. Volere fare la cosa giusta è qualcosa di diverso dal sapere la cosa giusta da fare; e questo a sua volta è qualcosa di diverso dal fare effettivamente la cosa giusta. È una responsabilità specifica degli studiosi e delle istituzioni accademiche quella non solo di vedere il mondo così com’è, ma anche d’immaginare il mondo come potrebbe essere. Il pensiero economico tradizionale soffre oggi di gravi peccati di omissione: ignora molti argomenti e problemi importanti quando sono difficili da affrontare secondo il modo standard di fare ricerca. Abbiamo bisogno del pluralismo nelle nostre Università e nei nostri centri di ricerca, dal momento che terreni diversi richiedono l’impiego di veicoli diversi. (Una barca a vela è inutile per attraversare un deserto!) Occorre quindi rivedere a fondo le regole vigenti per l’accesso alle pubblicazioni scientifiche da cui dipendono le possibilità di carriera dei giovani economisti accademici.

Sesto. Lo sviluppo umano integrale è un processo trasformazionale in quanto mira a migliorare la qualità della vita delle persone aumentando le loro capacitazioni. L’approccio allo sviluppo umano integrale (Cfr. Laudato Si’) differisce dagli approcci convenzionali allo sviluppo che soffrono di pratiche paternalistiche perché sostituiscono i propri valori a quelli delle persone che si cerca di aiutare. Tali pratiche possono bensì favorire la crescita del reddito e della ricchezza, ma non promuovono un autentico sviluppo umano. L’Economia di Francesco richiede una nuova economia che tratti i beni comuni della salute, della fiducia sociale, della pace e della dignità come principi generali.

Per concludere: siamo ben consapevoli delle sfide esistenziali dei nostri tempi e sappiamo che non ci sono risposte facili. Ma sappiamo anche che il “senso di possibilità” dipende non solo dalle opportunità e dalle risorse, ma anche dalla speranza. Ci sono due modi sbagliati – avverte Papa Francesco nell’Evangelii gaudium – di affrontare le grandi sfide odierne. L’uno è cedere alla tentazione di rimanere al di sopra della realtà attraverso l’utopia; l’altro è non resistere alla tendenza a rimanere al di sotto della realtà attraverso la rassegnazione. Dobbiamo evitare tali insidie. Ciò che significa speranza oggi è proprio questo: non considerarsi né come mero risultato di processi fuori dal nostro controllo né come realtà autosufficienti che non hanno bisogno di abbracciare lo spirito di fraternità.

Stefano Zamagni

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