Come ci insegna la “Laudato si’”, viviamo in un mondo in cui davvero “tutto si tiene”. La realtà in cui siamo immersi e che noi stessi siamo è, ad un tempo, straordinariamente compatta eppure meravigliosamente plurale ed articolata, in quanto coerente, cioè non contraddittoria, fin dalla sua prima origine. Per questo l’analogia rappresenta un importante e potente strumento conoscitivo che può evocare connessioni illuminanti e suggestive anche tra ciò che accade in natura e ciò che avviene in ambito sociale.

Viviamo un tempo in cui il linguaggio della scienza s’impone e forse la politica che, ben lontana dall’ essere una scienza esatta, ha pur sempre una sua intrinseca geometria, dovrebbe osare tentarne una contaminazione.
Concorrendo, in tal modo, a decifrare processi nei quali la connessione tra più eventi e la sovrapposizione tra differenti griglie di lettura rendono quanto mai problematico comprendere se ciò che accade risponda o meno ad una logica che, a sua volta, consenta di avvicinarne il senso.

Integrare categorie interpretative che fanno riferimento a discipline diverse può suggerire, magari nella forma della metafora o secondo un’intuizione, piste che meritano di essere esplorate. Del resto, sicuramente scienze della natura e scienze dell’uomo condividono la presenza, nei rispettivi contesti, di sistemi chiusi e di sistemi aperti, di percorsi deduttivi che derivano le loro preposizioni da una declinazione meccanica dei loro assiomi e di altri percorsi induttivamente aperti ad apprendere dall’esperienza.

Ad esempio, Henry Poincarè, grande matematico francese a cavallo tra ‘800 e ‘900, ha mostrato come, se consideriamo due corpi celesti che, legati gravitazionalmente, sono in reciproco movimento, le equazioni della meccanica classica consentono di descriverne le traiettorie, che sono, dunque, ampiamente predicibili.
Se si passa a tre corpi celesti di cui si conoscano posizione iniziale, massa e velocità, le rispettive traiettorie sono descrivibili solo per un breve tratto temporale, dopo di che assumono un andamento apparentemente caotico, nel senso che la potenza di calcolo delle equazioni di cui disponiamo non sono in grado di prevederne l’evoluzione nel tempo. Diventano, cioè, impredicibili ed apparentemente disordinate.

La diversità che corre tra i due sistemi è, ad un tempo, più complessa e più sottile. E soprattutto si presta a fungere da modello interpretativo che, se non altro, evoca quel che può accadere anche nella dinamica della rappresentanza politica. Il sistema che potremmo chiamare bipolare, cioè a “due corpi”, risponde solo a cause efficienti che lo precedono o meglio sono già contenute nei suoi presupposti originari. Il suo sviluppo, pertanto, altro non è, che una proiezione temporale di tali presupposti, incapace di andare oltre una loro ripetizione scontata e , dunque, di arricchirsi “imparando”, incorporando, cioè, quei fattori di novità che pure premono al suo contorno.
In sostanza, si tratta di un sistema chiuso e cieco che si autoreplica senza posa, secondo una tensione – si potrebbe dire un reciproco e conveniente adattamento – tra attrazione e repulsione che, di fatto, ne rende solo apparente la dinamica. Siamo in presenza di un apparato statico, incapace di leggere ed interpretare il “milieu” in cui pure insiste.

Se si passa anche solo a “tre corpi”, ed a maggior ragione ove se ne aggiungessimo altri, accanto ed oltre le cause efficienti, si potrebbe dire che subentrino cause formali e cause finali. Si configura, quindi, un sistema che risponde ad un disegno articolato e soprattutto, dà conto di una intenzionalità che si manifesta nella forma di un “attrattore” che, quasi trascendesse i suoi confini, sembra assorbirlo in una dimensione che va ben oltre, arricchendoli, i suoi presupposti originari. Cioè un sistema aperto e creativo, in grado di apprendere dal contesto ed interpretarlo, al punto di saper agire a ritroso, via via ampliando criticamente i suoi stessi assiomi.

Con tutto il beneficio di inventario pur indispensabile, questo schema per quanto elementare e rozzo, può, in qualche misura, dar conto della distanza che corre, anche sul piano della rappresentanza democratica, tra sistemi bipolari, chiusi a riccio su sé stessi e sistemi plurali ed aperti, capaci di ascoltare la “novità” che preme sul nostro tempo.

Domenico Galbiati

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