Se manca il nuovo docente di sostegno titolare o il posto è vacante, può essere un calvario trovare il supplente annuale da nominare, in una sequenza di supplenti temporanei che si avvicendano, a volte per mesi, in attesa dell’arrivo dell’“avente diritto”, come lo definisce l’ineffabile terminologia burocratica (che non si sofferma sul vero “avente diritto”, la persona con disabilità che ha il diritto di studiare nelle migliori condizioni possibili).

Per capire gli effetti di questa girandola diabolica, occorre tenere presente che i docenti di sostegno che aspirano ad una supplenza sono iscritti sia in una graduatoria provinciale (per le supplenze annuali) sia in diverse graduatorie di istituto (per le supplenze brevi).

Un docente nominato su supplenza d’istituto può essere chiamato altrove per supplenza annuale; il supplente che lo sostituisce può essere chiamato a sua volta per supplenza annuale in un altro istituto, e così via, in un gioco dei quattro cantoni che a volte dura due o tre mesi prima di stabilizzarsi.

Ma al peggio non c’è mai fine: la ricerca del docente di sostegno supplente che avrà il posto fino alla fine dell’anno scolastico, che può durare mesi, va sempre a buon fine? Purtroppo no: e allora – e sembra un paradosso – l’alunno con disabilità viene affidato a un docente non specializzato, che non ha una preparazione specifica e che non ha chiesto di insegnare ad alunni disabili.

Lo scrivevamo quasi sette anni fa (Dossier Mobilità docenti di sostegno 2017, fece clamore con articoli in prima pagina sui principali giornali italiani), da allora si sono alternati cinque Governi.

Non è cambiato nulla.

A proposito, il costo per gli insegnanti di sostegno è di 5 miliardi l’anno. Da allora sono stati spesi quindi 35 miliardi di euro solo per stipendi, e il risultato è quello descritto. Si vuole proseguire così?

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