I recenti episodi di violenza priva di motivi, o comunque di assai difficile spiegazione, di cui si sono resi responsabili giovani e giovanissimi in Italia (il più eclatante quello del diciassettenne di Paderno Dugnano, ma ve ne sono molti altri, e anche l’assassinio “casuale” di Sarah Verzeni) e nel mondo (negli USA un quattordicenne ha appena ucciso quattro persone, due studenti e due professori), rendono di estrema attualità la necessità di studiare e comprendere meglio le ragioni per le quali tanti giovani di queste ultime generazioni – apparentemente le più fortunate e appagate dal punto di vista del benessere materiale – giungono a uccidere per soddisfare quello che essi avvertono come un bisogno insopprimibile, una risposta alla loro crisi esistenziale.
Una problematica che, soprattutto a partire dalla pandemia del 2020 e 2021 coi suoi effetti di segregazione domiciliare e sostituzione della comunicazione sociale in presenza con quella telematica a distanza, è diventata oggetto di crescente attenzione da parte di studiosi (psicologi, neuroscienziati, filosofi sociali, analisti socio-politici), che offrono le loro chiavi di lettura di un fenomeno che secondo molti affonda le radici nel declino del modello educativo tradizionale da una parte, e nella più complessiva crisi del principio di autorità dall’altra.
Che fare? Negli Stati Uniti, dove negli ultimi anni sono molto cresciuti gli studi sulla mental health (salute mentale) degli studenti – secondo la CDC (Centers for Deseases Control and Prevention), la principale agenzia pubblica che si occupa del problema, il 40% degli studenti di high school (14-18 anni) soffre di depressione – la questione è entrata nello scontro politico elettorale tra Trump e Harris: la candidata democratica rilancia la proposta, che vorrebbe bipartisan, di limitare drasticamente la vendita delle armi, a partire da quelle da guerra; Trump, con il sostegno della lobby dei fabbricanti di armi, si oppone proponendo al contrario modalità di difesa armata delle scuole e un piano di interventi di massa sulla salute mentale degli studenti.
Due approcci, come si vede, profondamente diversi: per i democratici gli studenti devono essere educati a non usare le armi, per i repubblicani (almeno per quelli che la pensano come Trump) vanno curati in massa per evitare che i “malati” le usino a scuola. Fuori, secondo loro, usarle è un loro “diritto”.
E in Italia?
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