Pace (stabile o fragile), ma anche guerra (a bassa o alta intensità) sono i potenziali esiti degli assetti del sistema internazionale. Le dichiarazioni, i messaggi diplomatici, ma anche i minacciosi movimenti di truppe sul terreno ci ricordano in questi giorni di Natale che anche in Europa (intesa qui in senso ampio) quel dilemma fondamentale esiste oggi ai confini tra la Russia e l’Ucraina. E’ un dilemma che richiama con severità tutti gli attori politici rilevanti ad assumersi le loro responsabilità.

Che cosa si deve fare per sanare la ferita aperta nel nostro continente? Una risposta seria e non puramente velleitaria deve partire da una comprensione attenta degli elementi che definiscono quella realtà: le instabilità strutturali, le paure, le risorse, le ambizioni degli attori presenti.

Partiamo dal dato essenziale: il crollo dell’Unione sovietica e della sua ferrea presa su una metà importante dell’Europa, di cui celebriamo in questi giorni l’anniversario, ha posto fine alla guerra fredda tra i due blocchi, ha ridisegnato ampiamente i confini e gli equilibri del nostro continente, ma non è stato seguito da un assetto di pace solido e mutuamente accettato tra le due realtà politiche principali del continente – l’Unione Europea e la Russia. Permangono invece importanti aree di attrito e di reciproca sfiducia che sono suscettibili di innescare tensioni e anche conflitti armati. L’Ucraina e il conflitto (ipocritamente definito a bassa intensità ma in realtà con migliaia di morti) in corso nelle sue regioni orientali del Donbass è oggi il caso più significativo.

Esaminiamo sinteticamente gli elementi principali che compongono e complicano il quadro. I paesi ex-sovietici (le tre repubbliche baltiche, l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia) o già satelliti dell’URSS (Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania) che, riacquistata la propria indipendenza, temono il ritorno di un controllo russo e in ottica difensiva hanno invocato e ottenuto (con l’eccezione di Georgia e Ucraina) la protezione della NATO. La Russia per la quale, come per altre potenze europee del passato, la perdita dell’impero, non ancora metabolizzata, alimenta un forte spirito di rivalsa nazionalistica che si collega con la presenza di forti minoranze russofone in paesi confinanti (Estonia e Ucraina) che si percepiscono come minacciate. La presenza di stati fragili come l’Ucraina, la Georgia e la Moldavia, che ai confini della Russia hanno difficoltà nell’affermare la propria sovranità e nel gestire le proprie complessità interne, e possono offrire (come è già avvenuto) il destro ad interferenze e sconfinamenti del grande vicino. E infine l’Unione Europea che, allargatasi fino ad incorporare parti rilevanti dell’ex-impero sovietico in un grande e prospero mercato, non è in grado di dare a questa importantissima realtà la capacità di agire come soggetto internazionale (capace di politica estera e di politica di difesa) e quindi di giocare con tutto il peso che le spetterebbe la partita di un assetto di pace europeo.  Ecco che deve quindi affidare la sua sicurezza alla NATO, cioè ad una organizzazione che, pur con tutte le sue benemerenze storiche, non è oggi un soggetto capace di guidare la risposta al problema dell’ordine europeo, anche perché il predominio statunitense la rende troppo legata alle specifiche pre-comprensioni americane delle sfide globali.

Questo stato delle cose, che vede l’assenza di un solido quadro di riferimento e di accordi comune, aumenta significativamente i rischi di errate percezioni delle intenzioni reciproche da parte degli attori in gioco, alimenta ambizioni territoriali incompatibili con la pace e incentiva azioni preventive che possono generare escalation conflittuali non facilmente controllabili. Superare il conflitto in atto richiede allora uno sforzo congiunto certamente non facile e faticoso per correggere queste condizioni.

Alla mossa militare di Putin, che può essere interpretata come una minaccia di ulteriori azioni di forza ma anche come una richiesta, certo rude, di affrontare i problemi sul tavolo, l’Unione Europea con i suoi stati membri, tra i quali l’Italia può e deve avere un ruolo propositivo rilevante, deve rispondere con fermezza unita ad un attento discernimento. Precondizione per questo è riconoscere di non poter sottrarsi alla propria responsabilità di contribuire a costruire un ordine pacifico europeo più saldo che coinvolga tutti i principali attori in gioco.

Questo richiede però che l’UE impari a pensarsi, quantomeno sulla scena europea, come un soggetto politico di caratura internazionale e non solo come un attore economico-commerciale e che quindi diventi capace di fissare con chiarezza gli obiettivi strategici da raggiungere. Tra questi di primaria importanza è quello di “ingaggiare” seriamente la Russia come partner essenziale per la costruzione di quell’ordine. Elementi cruciali di questo ingaggio, che deve avere una architettura simmetrica, sono da un lato il riconoscimento della legittima esigenza della Russia di godere di una fascia militarmente depotenziata ai suoi confini occidentali (e quindi che non venga spinta oltre la presenza della NATO), dall’altro la assicurazione da parte della Russia di solide garanzie della sovranità e integrità territoriale degli stati liberati dall’impero sovietico (in primis l’Ucraina) senza le quali la richiesta di protezione NATO ritorna necessariamente in gioco. Data la delicatezza di questo “scambio” è necessario che tutte le parti interessate (vedi Ucraina e stati baltici) siano parte degli accordi.

A cascata da questi assi portanti discenderanno poi altri elementi complementari di grande rilievo: la garanzia di forme di autonomia per le minoranze linguistiche che però non minaccino l’integrità territoriale degli stati nei quali sono comprese; la costruzione di un’area di cooperazione economica con l’Unione Europea che includendo l’Ucraina non crei condizioni di esclusione per la Russia; la rinuncia da parte di questa ad usare i rifornimenti di materie prime per ricattare i paesi consumatori; un maggiore rispetto dei diritti politici da parte del regime putiniano.

Questo difficile confronto per la pace non può certo essere condotto senza la partecipazione anche degli Stati Uniti, ma l’Europa non può delegare ad altri un ruolo di guida politica di un processo che riguarda innanzitutto il suo futuro.

Maurizio Cotta

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