Dai tempi della crisi del 2007  in Italia, e non solo,  è diffusa la sensazione di  trovarci  all’interno di un ciclo economico caratterizzato da tassi  crescenti di disoccupazione, di diffusa insicurezza sociale, di riduzione del potere di acquisto. Aleggia un profondo pessimismo sulla capacità delle forze riformiste di realizzare un riequilibrio degli assetti retributivi e del potere contrattuale a favore del lavoro.

Non è condivisibile una visione così negativa. Al contrario, nella realtà, ancora una volta il capitale si dimostra dinamico, introducendo cambiamenti a medio-lungo termine nei processi di produzione, portatori di nuova ricchezza, subordinando ai propri interessi quelli del mondo del lavoro, come nel caso della trasformazione in atto nel settore automobilistico.

Una felice espressione sintetizza i profondi cambiamenti strutturali   he stanno avvenendo nel settore automobilistico: oggi l’auto è un computer su quattro ruote. Ci si riferisce alle auto elettriche ed ibride. Il settore automobilistico, dando torto ai super esperti, non è un’industria obsoleta, in declino irreversibile, bensì un’industria in via di sviluppo ad alta tecnologia. Le imprese del settore trovano il vantaggio competitivo e il ritorno degli investimenti in ricerca e sviluppo ( R&S) in alti profitti  mediante massicci investimenti   da parte delle fabbriche di parti e componenti elettronici. In prima linea ci sono i produttori europei, in particolare, l’industria tedesca.

Elettronica, informatica, meccanica si mixano in un unico prodotto, promuovendo una nuova fase di progresso tecnologico che sta ristrutturando il settore. Infatti, l’integrazione verticale, che ha caratterizzato il precedente ciclo fordista, ha esaurito la sua efficacia. Il produttore di auto è diventato un semplice assemblatore di parti e di componenti prodotti da altre imprese, rivoluzionando la propria tradizionale organizzazione manifatturiera.

Il punto principale di partenza dell’innovazione tecnologica del settore è stato il risparmio di combustibile. Si mira a spezzare, cioè, il legame tra l’auto e il petrolio, per crearne un altro: quello con l’energia elettrica e l’elettronica. Ridimensionando la teoria che voleva il totale passaggio dalla industria manifatturiera a quella dei servizi, si è, invece, aperto un ciclo di medio-lungo periodo di applicazioni digitali alla manifattura automobilistica, che promuove un nuovo sviluppo di ricchezza.

Tutto ciò, come già sottolineato, sta comportando nel settore auto uno spostamento del baricentro dal costruttore, che diventa sempre più un semplice assemblatore, al produttore di componenti, soprattutto digitali. L’80 % circa del valore di un’automobile è dato, appunto, dalla componentistica. I costruttori di componenti realizzano le loro “performance”, in quanto, vendendo i loro prodotti a tutti i costruttori di auto, attuano economie di scala che il singolo costruttore finale non può ottenere. Così, contemporaneamente, si riducono i costi di produzione, aumentando anche la qualità della vettura e il suo valore aggiunto. Tutto ciò grazie all’alta tecnologia contenuta nei componenti.

Il primo costruttore di componenti elettronici per auto è la società tedesca “Bosch “.   Tra i primi dieci produttori mondiali , tre sono tedeschi, tre statunitensi, due giapponesi, uno canadese e uno francese. L’Italia, con la Magneti Marelli, si trova al 23 posto ( dati 2018, Automotive News).

Il dinamismo tecnologico, ancora una volta, produce i suoi effetti sull’intensità e sulla direzione dei processi di accumulazione: la prospettiva è avere, da un lato, poche case automobilistiche, (i grandi assemblatori); dall’altro, invece, molte imprese ( grandi e piccole) produttrici di componenti. In un recente passato, la struttura produttiva del Novecento faceva prevedere un oligopolio delle grandi imprese automobilistiche. Oggi ,invece, assistiamo ad un allargamento della base industriale. Il capitalismo mostra nuova vivacità, contrariamente a chi profetizzava il suo declino.

L’accumulazione capitalista ha aperto un ciclo di lungo periodo, che dipende dall’applicazione delle scienze matematiche, fisiche, chimiche, della intelligenza artificiale. La ricerca scientifica e tecnologica svolge un ruolo sempre più decisivo, L’auto è decisamente un computer su quattro ruote: un sistema di sensori, di robotica, di “information technology”.

Dunque, un “know how” di alto contenuto scientifico rivoluziona uno dei più importanti settori della manifattura mondiale, grazie all’attività di numerosi intraprendenti industriali, soprattutto in ambito europeo e all’opera di lavoratori sempre più  qualificati.

Questi soggetti hanno dato impulso, come già detto, alla creazione di  un’area  di piccole e medie aziende fondamentali per l’implementazione del tessuto industriale. Si sta sviluppando, in particolare, una catena del valore fatta da reti di fornitori con autonomia tecnologica in grado di immettere autonomamente innovazione nel prodotto finale, l’auto.

In queste reti, è importante l’arricchimento tecnologico che l’impresa persegue con la ricerca continua di una più elevata produttività. Infatti, la tecnologia digitale applicata all’auto ha innescato una nuova onda lunga di sviluppo economico, dove si realizza una stretta correlazione tra investimenti in R&S e formazione di alti profitti. Quindi, siamo di fronte ad una vivace primavera del Capitalismo.

Lo scenario dell’auto  non si presenta, invece, molto favorevole per il fattore lavoro. Secondo i dati di “Automotive World”(2021), la creazione e la distruzione contemporanea di posti di lavoro dà un saldo negativo per l’occupazione. Da qui, l’urgenza di politiche attive in materia di formazione professionale permanente e di riconversione professionale del lavoratore; nonché di redistribuzione dei profitti. Tutto ciò contrasta con la tesi, sostenuta dai neoliberisti, che l’introduzione di vincoli sociali al mercato possa azzerare il benessere conquistato, perché il capitalismo è una forza dotata di proprie leggi , che non possono essere ingabbiate da interventi pubblici.

Studiosi come Fred L. Block  ( “Capitalismo, il futuro di un’illusione”) dimostrano che il Capitalismo non è un monolite, ma può convivere con regimi finanziari e sistemi di welfare molto diversi tra loro; un esempio significativo, in tal senso, sono la Germania e gli Usa. È, cioè, permeabile a recepire anche gli interessi dei lavoratori, con riforme  sul loro potere  contrattuale e sulla loro partecipazione agli utili.

Malgrado stia attraversando una congiuntura difficile , come quella attuale, il capitale dimostra di saper operare sugli assetti a medio-lungo termine mediante la trasformazione dei processi di accumulazione,( il settore dell’auto insegna).  Non fanno, altrettanto, le forze politiche rappresentative del mondo del lavoro.

La scelta politica di fondo da fare riguarda ridisegnare il ruolo geopolitico del modello neoliberista, che vuole, come già scritto, che le forze del mercato operino libere senza condizionamenti sociali, con le  conseguenze  negative sulle disuguaglianze sociali. Riteniamo, invece, necessario che dal mondo del lavoro sia proposta  un’apertura, più incisiva dell’attuale, alle istanze sociali, in un contesto di rinnovata equità e coesione sociale.

Roberto Pertile

About Author