C’è una rinnovata attenzione che da più parti, perfino talvolta dallo stesso mondo laico, si avverte nei confronti di una terza fase dell’ impegno politico dei cattolici-democratici nel nostro Paese – dopo le stagioni storicamente superate della Democrazia Cristiana e dello stesso Partito Popolare di Sturzo. Una presenza pubblica, cioé, alternativa alla sinistra ed antitetica alla destra.
Perché essa abbia una effettiva possibilità di successo sono necessarie, in via preliminare, almeno due condizioni.
La capacità, anzitutto, di costruire un progetto politico di chiara e forte ispirazione cristiana che sappia dar conto di una visione che sia coinvolgente e in grado di offrire le risorse morali e civili, in carenza delle quali non verremmo a capo neppure di una situazione economica irrisolvibile sul piano dei meri provvedimenti di ordine tecnico.
Un progetto che attesti con franchezza la propria identità originaria dentro un orizzonte concettuale fondato sui principi della Dottrina Sociale della Chiesa e ne sappia mostrare e dimostrare criticamente – argomentando laicamente, sul piano della competizione politica – l’intrinseco valore umano e civile e la forte consonanza con il dettato costituzionale, così da rappresentare una piattaforma di condivisione, di comune impegno e di azione congiunta, anche per tutti coloro che provengono da fedi e da frontiere ideali e culturali diverse dalla nostra.
Del resto, come sostiene Jean Luc Marion: “Il momento dell’universale diviene così la responsabilità principale dei cattolici. Il momento cattolico non costituisce una possibilità per i cattolici, ma un incarico troppo pesante perchè non domandino l’aiuto di tutti”.
Occorre poi – in ordine al “costume”, cioè sul piano dell’ atteggiamento e della responsabilità personale con cui affrontare questo nuovo tornante della nostra storia – mettere in campo l’attitudine sincera a comportamenti soggettivi di schietta gratuità, di disincanto e di forte disinteresse personale.
Altrimenti, se restiamo invischiati in un reticolo di rivendicazioni, di rivalse o di rivincite, di ambizioni mai sopite e di reciproche gelosie, di pretesa di nuovi allori da aggiungere al carnet dei successi personali già conseguiti, non andiamo da nessuna parte.
In secondo luogo, si rende indispensabile distinguere nettamente e consapevolmente tra sostanza e forma.
Si tratta, cioè, esattamente al fine di non impedire la continuità e lo sviluppo, coerente alla “cifra” del nostro momento, della cultura politica del cattolicesimo-democratico, di attuare una operazione di chiara, netta e definitiva discontinuita’ sul piano delle forme storiche contingenti – e, quindi, necessariamente circoscritte nel loro proprio tempo: il PPI di inizio ‘900 e la stessa DC di De Gasperi e Moro – che l’ hanno, appunto, incarnata nelle stagioni specifiche per ciascuna di esse.
A sua volta, tutto questo passa attraverso due determinazioni di cui dobbiamo farci carico.
Sempre che abbiamo in animo davvero un disegno ambizioso ed una sfida difficile, piuttosto che un gioco a rimpiattino con le aspirazioni, tardive o terminali, di determinate vicende personali. E’ più che mai necessario un intelligente ” pensare” politico.
Anzitutto, è necessario che nessuno pensi più di lucrare su nome e simbolo della Democrazia Cristiana.
Lo Scudo Crociato appartiene alla storia che provvederà a darne il giudizio che merita, quale emblema di una ricchissima e straordinaria stagione politica sulle cui scelte strategiche sono tuttora fondate la democrazia e le condizioni di liberta’ personale e collettiva del nostro Paese.
Nome e simbolo della Democrazia Cristiana vanno depositati – non certo sepolti – ad esempio, presso l’Istituto Sturzo, cioè in un luogo che non si limiti a custodirli passivamente o a stivarli nelle stanze di una memoria polverosa, bensì ne tenga vive le suggestioni che, in sede di studi storici e di riflessione, sono tuttora in grado di offrire.
Del resto, questa sorta di “accanimento terapeutico” con cui taluni vorrebbero mantenere in vita il nome della Democrazia Cristiana è strumentale e soprattutto avvilente per una grande storia che non ha bisogno di ricorrere ai “tempi supplementari” per dar conto di sé e del suo valore.
A prescindere dalle confuse vicende giudiziarie che sulla proprietà dello Scudo Crociato si sono abbattute da un quarto di secolo a questa parte, nel merito della legittimazione politica, chiunque pretendesse quasi, rivendicandone il nome, di intestarsi la storia della Democrazia Cristiana non farebbe che del millantato credito.
Infine, noi abbiamo assolutamente bisogno – oltre a rivendicare la nostra autonomia ed a garantire le competenze necessarie all’azione politica – di lanciare la leva di una nuova classe dirigente, fatta di giovani politici trentenni e quarantenni che vogliano mettersi alla prova.
A questo punto – per segnare davvero un netto passaggio di discontinuità – è necessario e doveroso che chiunque di noi abbia davvero a cuore un progetto di riproposizione della nostra cultura politica, in questa fase difficile e confusa della nostra vicenda democratica e, nel contempo, sia stato, nel corso della propria esperienza politica, eletto in una assemblea legislativa – Parlamento o Consigli Regionali, ma possiamo limitarci a chi sia stato a Montecitorio o a Palazzo Madama, a prescindere dall’ età o dallo stato di servizio – dichiari espressamente di non richiedere e di non accettare nessuna candidatura e nessun ruolo politico o istituzionale nella fase nuova che vogliamo concorrere a far nascere.
Non si tratta, beninteso, di replicare, per altro verso, l’idiozia della “rottamazione, ma, al contrario – oltre al valore simbolico del gesto – di attestare come chi abbia raggiunto un certo livello di impegno politico – in una stagione in cui la selezione delle classi dirigenti non era “amicale”, ma severamente “darwiniana” – sia necessariamente in grado di “fare politica”, senza aver bisogno a tal fine di un incarico istituzionale o di un ruolo, ma più semplicemente, e forse più efficacemente, riflettendo, scrivendo formando e sostenendo le generazioni dei più giovani.
Ci vuole chi, se ne e’ ancora capace, se ne ha voglia e se ci crede, alzi la palla e chi, invece, la schiacci a terra.
Mi auguro che almeno chi intende concorrere all’impegno che Politica Insieme sta sviluppando, possa condividere questo appello.
Domenico Galbiati
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