Premessa:  Quello della politica estera è un campo dei più difficili, tanto da esser stato chiamato nella Francia di de Gaulle “le domaine réservé”: solo il Capo dello Stato, insieme ad una ristretta cerchia di collaboratori, poteva occuparsene. Per tutti loro la posta in gioco era delle più alte e toccava l’identità, gli interessi massimi e la sopravvivenza stessa della nazione. La politica estera serve infatti a proteggere gli interessi vitali di un Paese, definirne l’immagine ed il ruolo nel mondo oltre che consentirgli di forgiare il proprio destino.

Dalle nostre parti Sforza, ultimo ministro degli Esteri ad aver percorso tutti i gradi della carriera diplomatica, era solito dire che gli italiani sapevano bene che per essere un buon sarto, un buon calzolaio od un buon artigiano serviva preparazione, mentre erano invece convinti di poter fare tutti il ministro degli Esteri. Sarei piuttosto curioso di sapere cosa avrebbe da dire sull’attuale inquilino della Farnesina e la sua banda di strapagati consulenti partenopei, il cui stipendio è indirettamente proporzionale alla loro competenza. Nessuno di loro sembra ricordare che l’Italia è stata fatta e disfatta dalla politica estera.

Sino al termine della Prima Repubblica, l’Italia ha sempre avuto una politica estera tutto sommato lungimirante e saggia. Era fondata su due pilastri: l’unità europea e l’Alleanza Atlantica. Sotto questo ombrello si è avuta una crescita politica, economica e sociale senza precedenti. Oggi però di politica estera non ne vuole più parlare nessuno. Partiti, stampa, Parlamento e televisione non dedicano molto tempo alle faccende internazionali: si vuole un Paese che viva nella libertà, ma non si è poi disposti a fare sacrifici per difenderla.

L’assenza di politica estera in Italia:  È da tempo in atto una grave crisi politica interna e nessuno sembra aver voglia di aggiungervi altri problemi. Oltre ad avere una classe politica che non brilla per competenza, si ha poi un’opinione pubblica provinciale, poco addestrata alle questioni internazionali e del tutto digiuna di certe nozioni. Non deve stupire se la politica estera diventa così una sorta di specchio per le allodole e finisca generalmente col riflettere logiche interne. Come accade anche per le questioni relative alla Difesa, manca da noi un serio dibattito sulle faccende mondiali. Assenti pertanto quegli strumenti necessari per proiettare all’esterno quelli che sono i nostri punti di vista ed interessi. Il Paese non è dunque attrezzato perché oltre che di un dibattito approfondito, manca dei mezzi necessari.

A tutto ciò si aggiunge una questione generazionale: i giovani di oggi non sono cresciuti negli anni in cui l’Italia ancora qualcosa contava. Questo aiuta a chiarire perché il Paese abbia finito col perdere interesse per le questioni internazionali ed abbia bandito il linguaggio della politica estera: non vi è più alcun dibattito serio sul ruolo che si vuole avere nel mondo e, non a caso, si finisce con lo scivolare sempre  più ai margini degli affari mondiali.

Anche se abbiamo un Ministro degli Esteri, la Politica Estera sembra averla fatta finora soltanto Palazzo Chigi. I nostri dirigenti purtroppo non la capiscono e non fanno che balbettare ed improvvisare quando posti di fronte a qualche serio problema.

La politica estera definisce il ruolo che un governo ed una classe dirigente assegnano al loro paese nel mondo: uno Stato che rifiuta o non è capace di condurre una politica estera tradisce i suoi vitali interessi. A beneficio dei nostri governanti vorrei aggiungere che l’unica attività che può dare ad un Paese un’importanza maggiore di quella derivante dalla sua forza reale è condurre un’abile ed efficace politica estera. Al contrario, nulla è più destinato a distruggere la reputazione di un Paese quanto la povera politica estera dei suoi governi.

Insieme a quella politica, è anche in corso da noi una non meno grave crisi economica. Chi è al governo manca degli strumenti intellettuali necessari, di una visione più ampia e perciò impegna gran parte del tempo a dar precedenza alle questioni finanziarie, all’economia, al commercio e alle banche: si parla soltanto di controllare le spese, ricostruire l’economia, attrarre investimenti, cercare nuovi mercati, contare nella finanza e negli affari. Tutto ciò ha valore, ma non basta.

In politica estera sbaglia chi crede che l’economia e la finanza siano essenziali: ne sono un aspetto importante ma non certo determinante. La posta in gioco è assai più alta e le sue implicazioni vanno ben oltre le faccende economiche e finanziarie. La Storia lo sottolinea, in quanto è un cimitero di popoli che non hanno saputo guardare all’avvenire: necessario è dunque mettere un Paese sulla scia della Storia e fondere quelli che sono gli ideali e gli interessi nazionali con quelli che si vanno delineando.

A farla breve, quando si fa politica estera, o si guarda lontano o non si fa nulla.

Se questo, magra consolazione, rispecchia l’agire dell’Italia, non posso certo lusingarmi neppure dell’Europa. Come nel caso nostro, negli ultimi anni il continente non è stato capace di elaborare politiche coordinate e risposte adeguate ai grandi temi e alle sfide che ci circondano. Questa carenza di politica estera rischia di essere fatale. Drammatica è l’assenza dell’Europa nei grandi centri di crisi, preoccupante soprattutto il distacco tra le risorse effettive dell’Unione e la sua influenza politica.

Si potrà parlare di una vera Unione solo quando avremo una Politica Estera efficace e questo traguardo verrà raggiunto quando a questa saranno dedicati i mezzi necessari per poterla applicare e fare sì che venga rispettata. Tralasciando le questioni economiche, che in politica estera non sono fondamentali, col cambiamento dello scenario internazionale avvenuto negli ultimi trent’anni è necessario guardare avanti e non tirare a campare come è d’abitudine fare dalle nostre parti. Sarebbe tempo di prestare attenzione ai problemi internazionali così come si stanno delineando e non vagheggiare.

L’Italia è oggi marginale e fuori da tutto perché di politica estera non ha capito nulla.

Un problema anche europeo:   Questa mancanza non è soltanto nostra: è condivisa da quasi tutto il continente, le cui classi politiche sono interessate soprattutto a garantire una vita agiata all’interno di uno Stato assistenziale. Poco si sente dire su come l’Europa debba segnare un suo modo di stare nel mondo ed affermare i suoi interessi. L’impressione è che tutti stiano a guardare senza cercare di elaborare grandi disegni per il futuro e rendersi conto che solo salvando il tutto sarà possibile salvarne le parti.

La sensazione è che per molti ancora l’Europa sia oggi più fonte di problemi che di opportunità. Piuttosto che pensare ad una comunità che sia superiore e sovrana, ogni membro dell’Unione tende a seguire i suoi interessi nazionali, lasciandosi dietro quelli che dovrebbero essere gli ideali più alti, le strategie ed i propositi necessari. Di fronte alla mediocrità e alla miopia di buona parte delle nostre classi dirigenti, costrette ad affrontare situazioni ed ostacoli a loro ben superiori, ricordiamoci sempre che sarà Europa tutto ciò che Europa vuole essere e che le scelte di politica estera non sono unicamente atti diplomatici, ma scelte fondamentali di civiltà e di vita.

Un suo posto nel mondo l’Europa ce l’ha, così come ha dei problemi, degli interessi e delle sfide dei quali dovrà pure occuparsi. L’improvvisa epidemia di Coronavirus rende ancora più urgente adottare politiche comuni per poter meglio affrontare le minacce che ci circondano e che spesso provengono da fuori. Diventa perciò urgente ripensare in modo più sensato la costruzione europea, facendo mostra di immaginazione e delineando i contorni di un continente veramente europeo in grado di tutelarsi da molti problemi e definire una direzione più coerente. La costruzione dell’Europa esige anche la sicurezza dell’Europa.

Questo diventa tanto più urgente, in quanto lo sguardo degli Stati Uniti si sta gradualmente spostando verso l’area del Pacifico, ove si va delineando in modo sempre più chiaro una forte rivalità con la Cina. E’indubbio che Europa e Stati Uniti resteranno vicini, ma vi saranno delle divergenze e per Washington il rapporto transatlantico potrebbe forse diventare meno essenziale. Da Berlino intanto sentiamo dire che così come è oggi, l’Europa non è in grado di garantire la propria sicurezza collettiva come è stato fatto finora dagli Stati Uniti.

Questo della difesa è un problema di primaria importanza. Col mutare dei tempi l’Europa dovrà inevitabilmente ripensare molte cose, visto che non potrà più dipendere come una volta dallo scudo difensivo americano. Sarà necessario disegnare nuovi rapporti con gli Stati Uniti ed aggiornare la relazione transatlantica definendo nuove direzioni per la Nato. Non si può dare all’Europa una dimensione unicamente economica: perché funzioni ed abbia capacità di convincere bisogna dargli prima possibile una dimensione politica e militare.

A molti non piacerà, ma se non si vuole diventare una colonia di qualche altra potenza, od una meschina ed insignificante penisola dell’Asia, diventerà necessario approfondire un dibattito sulla politica estera che contempli anche un diverso futuro per la Nato. Vi sono nel mondo nuovi terreni di tensione e di sfide ai quali non sarà possibile non adeguarsi e saper rispondere: presto diventerà inevitabile allargare il discorso ad un sistema di difesa europeo, che comporti anche la costituzione di una forza nucleare autonoma per evitare ingerenze od egemonie di altri all’interno del contesto europeo.

Sarebbe bene ricordare che nel mondo senza forze armate non si conta niente e che  per oltre settant’anni abbiamo affidato la nostra salvaguardia agli Stati Uniti. Si è speso poco per la difesa e molto per diffondere il benessere. Oggi questo non è più possibile e da europei è tempo di rivedere e affrontare quelle che sono le nostre responsabilità. Dobbiamo mostrare coraggio ed imparare a contare su noi stessi, il mondo non è un posto facile e se il sole sta tramontando sull’Italia, spero  non sia lo stesso per l’Europa.

Se si vuole essere autonomi bisogna dotarsi dei mezzi necessari, altrimenti non resterà che trovare rifugio dietro lo scudo di qualcuno.

La questione nucleare:  Se si vuol discutere di politica estera, si deve inevitabilmente parlare di nucleare: la politica estera è infatti politica militare. Chi non capisce questo, sogna. La politica internazionale si fa a livello nucleare mentre l’Europa è oggi solo economica: perché funzioni e sia convincente non ci si può limitare a questa dimensione, ma bisogna dargliene una anche politica e militare. Questi sono temi dei quali si preferisce non parlare, ma di fronte alle sfide e ai pericoli del futuro l’Europa dovrà pur dotarsi di una solida e credibile struttura militare e sviluppare gradualmente un potenziale difensivo, dotato di una sua componente nucleare.

Memori di quel che affermava Benedetto Croce su chi non fa politica estera, ogni paese dovrà impegnarsi a fare la sua parte, altrimenti si sarà destinati a servire o a perire. Aggiungerò che uno Stato che rifiuta o non è capace di condurre una propria politica estera finisce col tradire sé stesso insieme ai suoi più vitali interessi.

La moneta unica ed il processo di integrazione economica non sono sufficienti: senza una politica estera e di difesa comune l’Europa non sarà mai capace di definire una sua identità politica. Per svolgere un ruolo nel mondo, lasciarvi un’impronta ed ottenere una rappresentanza qualificata nelle iniziative che riguardano le questioni internazionali, è necessario che sia in grado di offrire un contributo efficace all’equilibrio mondiale e alla pace. Questo significa fare politica estera.

Se a queste sfide non si darà risposta non saremo in grado di assolvere alle nostre responsabilità di europei. Se ai nostri confini non saremo in grado di stabilizzare nulla, il nostro destino sarà scivolare verso l’irrilevanza. Solo portando a termine il progetto di unità politica si otterrà quella massa critica necessaria per svolgere un ruolo efficace in campo internazionale, garantire la nostra sicurezza collettiva, difendere la nostra identità ed i nostri interessi.

La tendenza sembra purtroppo essere ancora quella di temporeggiare ed equivocare piuttosto che affrontare i problemi. Volgendo lo sguardo in giro, quasi ovunque saltano agli occhi mancanza di fantasia, assenza di volontà e vocazione sovranazionale. In poche parole, un’incapacità di elaborare risposte adeguate e coordinate nei confronti del resto del mondo.

Credo che anche gli Stati Uniti di questo si rendano conto e purtroppo non fanno abbastanza per spingerci all’unità. Se si dovesse continuare di questo passo, anche loro ne risentiranno e saranno meno in grado, o meno disposti, ad intervenire nei vari centri di crisi.

Una buona politica estera mostrerà a noi occidentali che si è ancora capaci di portare un contributo originale alla costruzione di un mondo migliore. Come detto prima, vince chi guarda all’avvenire. La sfida epocale per il progresso e la sicurezza del nostro continente è quella di costruire una politica estera e militare comune.

 Verso un nuovo orizzonte?A questa inerzia europea tre Paesi sembrano opporsi e dare l’impressione di voler reagire. Si tratta della Gran Bretagna, potenza nucleare con una visione strategica del mondo; della Francia, altra potenza nucleare dell’opinione che l’Europa debba rifondarsi per affrontare i suoi elementi di fragilità ed infine la Germania, che più di una volta ha dato prova di voler emergere dalle limitazioni che il suo passato sembrava imporgli. In numerose occasioni si sono alzate voci a Berlino per reclamare che l’Europa dovrebbe assumersi maggiori responsabilità per la sua sicurezza.

Queste tre nazioni sanno che, data la sua appartenenza al gruppo di democrazie più ricche del pianeta, l’Europa un suo peso nel mondo può vantarlo: resta tuttavia una potenza di seconda categoria anche se con interessi globali. Sanno anche che la loro prosperità come quella dell’intero continente dipende da un ordine internazionale stabile. Posso sospettare siano anche coscienti che forse i giorni migliori dell’atlantismo sono ormai alle spalle.

A francesi, inglesi e tedeschi un’Europa in queste condizioni interessa poco: non fa più politica estera, ne è diventata oggetto e con la sua latitanza dalla scena internazionale appare sempre meno credibile. Quando deve proteggere i suoi interessi vitali è assente, fa difetto di volontà e manca di una forza di proiezione e di intervento.

Non troverei sorprendente che questi tre paesi siano prossimi a fare insieme una fuga in avanti perché ai loro occhi l’Unione non c’è. Sui problemi più importanti credo possa dirsi che siano in contatto tra loro e spesso agiscano anche insieme: hanno capito che si è nell’era nucleare e si stanno mettendo d’accordo perché si sono accorti che da soli non hanno modo di farcela e che l’Europa non fa più politica estera ma ne è diventata oggetto.

Questo potrebbe significare che all’interno dell’Europa si sta creando una collaborazione a tre in vista della costituzione di un deterrente nucleare comune.

Cerchiamo di esaminare i fatti nei dettagli.

Il Trattato di AquisgranaFirmato il 22 Gennaio 2019 dal presidente francese Macron e dal cancelliere tedesco Merkel, questo trattato riconferma gli impegni sottoscritti dal Patto dell’Eliseo del 1963. All’epoca l’Italia fu invitata a farne parte ma la miopia della nostra politica non colse l’occasione. Ci ripensò poi, ma de Gaulle fece trovare la porta sbarrata.

A Roma oggi non è giunto nessun invito, riprova della continua perdita di prestigio del Paese: messa di fronte alla nostra debolezza politica ed economica, Parigi si è rivolta unicamente a Berlino.

Sottovalutare l’importanza di questo trattato è stato l’ennesimo grave errore da parte di chi ci governa.

Al di là della Brexit, francesi e tedeschi hanno sottolineato la convinzione che un’Europa ci debba essere e hanno deciso di portare il loro rapporto ad un livello più alto lanciando il segnale che se per il momento non è possibile far l’Europa in molti, si comincerà intanto col farla in pochi.

Com’è avvenuto con la firma del trattato dell’Eliseo, anche quest’accordo metterà in moto un’agenda e non vi è da sottovalutarne anche l’alto valore simbolico: sottolinea un impegno di Parigi e di Berlino a voler procedere sul sentiero dell’unità. Si tratta di una fuga in avanti perché nonostante vi siano una moneta comune ed una struttura amministrativa di considerevole importanza, si sono entrambe accorte che l’Europa non esiste.

Questo nuovo trattato richiede tra l’altro una stretta cooperazione in materia di politica estera e di difesa. Contiene anche l’affermazione che Parigi appoggerà l’ingresso della Germania nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i cui membri permanenti sono tutti militarmente e giuridicamente nucleari.

Il trattato di Aquisgrana si legherà anche a due accordi firmati nel 2010 tra Francia e Gran Bretagna il cui fine è quello di un’ampia collaborazione militare aerea, terrestre e marittima, oltre che accorpare i rispettivi deterrenti nucleari. Uno di questi è segreto ma ne esiste un riassunto che è stato distribuito alla Camera dei Comuni. Questo sito è stato il primo a tradurli e pubblicarli qui in Italia.

Francesi ed inglesi si sono accordati per una simulazione comune riguardo il funzionamento dei loro arsenali nucleari al fine di assicurarne la sicurezza ed il funzionamento e, quando necessario, portarvi le dovute innovazioni.

Verrà inoltre costruito in Francia un nuovo centro di simulazione nucleare. Parallelamente verrà allestito in Inghilterra un Centro di ricerca nucleare comune. Il trattato prevede inoltre lo studio e la messa a punto congiunti di una nuova generazione di armi quali missili, sistemi anti-mine, piattaforme satellitari e quella che viene considerata l’arma assoluta, nuovi sottomarini nucleari.

A spiegare questi sviluppi è la carenza di questi tre Paesi, presi individualmente, riguardo gli stanziamenti di bilancio: diventa sempre più difficile sostenere il peso di un arsenale nucleare adeguato alle necessità di oggi. Ciò è particolarmente vero per i sommergibili nucleari di Francia e Gran Bretagna, il cui costo è enorme. Gli stanziamenti per tutto questo settore penalizzano quelli destinati al resto delle forze armate e al mantenimento dei loro livelli di preparazione. Per affrontare il futuro non resta loro che aggregarsi.

Tornando ad Aquisgrana, il trattato non manca di riferimenti all’Unione Europea e alle politiche del continente anche riguardo quella estera e militare. In un successivo discorso alla Scuola Militare Francese del Febbraio 2020, il presidente Macron ha fatto capire che il progetto delineato da questi accordi era aperto anche alla partecipazione di altri paesi del continente.

Da noi del tutto ignorati, questi accordi sono l’ulteriore riprova della miopia dei nostri politici, ignari che questo avvicinamento tra Francia, Germania e Gran Bretagna tocca fortemente gli interessi del nostro Paese e ne evidenziano l’isolamento.

Quando nel Novembre 2018, in pieno Parlamento tedesco, il presidente francese Macron affermava che era necessario un esercito europeo e la Merkel pochi giorni dopo gli faceva eco a Bruxelles, con il trattato di Aquisgrana il cerchio sembra chiudersi. La Francia già possiede un suo arsenale nucleare, cosa che implica che un esercito europeo privo di un suo deterrente atomico non avrebbe senso.

Vorrei ricordare come già da qualche tempo sia in corso a Berlino un dibattito sull’adesione del paese ad una forza nucleare europea. Credo ce ne stia abbastanza per pensare che all’interno dell’Europa si stia creando una collaborazione a tre in vista della costituzione di un deterrente nucleare comune.

Se ciò è corretto, emergerà un’Europa di prima fascia di cui l’Italia non farà parte. La partita si giocherà su tavoli nei quali non saremo più presenti. Qui da noi, tanto per cambiare, nessuno sembra accorgersi di cosa si sta delineando e che per via di ciò il Paese resterà definitivamente fuori dalla stanza dei bottoni. A farla breve, il trattato di Aquisgrana è l’atto più clamoroso della messa in disparte dell’Italia.

Altre considerazioniAbbiamo visto che Francia e Gran Bretagna già sono potenze nucleari, entrambe con una visione strategica del mondo. La Germania non lo è ancora, ma economicamente e finanziariamente è la più forte: perché dunque dovrebbe restarne fuori? Va anche sottolineato che la Francia è oggi debole e che non procederà in questo campo senza la spalla tedesca. Berlino inoltre un suo ruolo nel nucleare già ce l’ha: fa parte del consorzio Besse II ed insieme a Francia e Gran Bretagna produce uranio arricchito a Tricastin con il sistema della centrifugazione, tecnologia che è stata lei a fornire.

Questi trattati non giungono del tutto a sorpresa. Nel Gennaio del 1957 il ministro degli Esteri inglese Selwyn Lloyd propose ai suoi di far diventare il paese una potenza nucleare tramite una stretta collaborazione con l’Unione Europea Occidentale (UEO). Lo scopo era quello di creare una terza forza atomica in alleanza con gli Stati Uniti.

Quasi del tutto ignorato dalla storiografia, il negoziato del 1958 per la produzione congiunta di armi nucleari che fece seguito al fallimento della Comunità Europea per la Difesa (CED). Venne avviato nel corso dei trattati di Roma che portarono alla costituzione del Mercato Comune e dell’Euratom firmati nel Marzo del 1958.

A questo negoziato segreto presero parte i ministri della Difesa di Francia, Italia e Germania. All’epoca Roma aveva un’importante politica nucleare e veniva invitata a partecipare ai progetti di più alto livello. Sin dagli anni ‘50 infatti, l’Italia è stata presente in ogni iniziativa nucleare, soprattutto nei settori sensibili. Perseguiva anche una politica estera che le consentisse di ridurre la distanza dalle altre potenze europee e assumere un ruolo di rilievo nel sistema internazionale. Questo negoziato segreto non andò in porto per l’opposizione degli Stati Uniti e l’arrivo al potere del presidente francese de Gaulle.

A queste iniziative sarebbe da aggiungere il trattato di Saint-Malo del Dicembre 1998. Francia e Gran Bretagna vi affrontarono il tema di una politica comune di difesa e di sicurezza per l’Unione Europea al fine di garantirne la stabilità. La direzione era quella di un’autonomia del continente in campo di politica estera e di sicurezza per rispondere a crisi esterne. La capacità di proiezione che ne sarebbe derivata avrebbe rappresentato un aspetto fondamentale dell’identità europea.

A seguito della caduta del muro di Berlino, della dissoluzione dell’Unione Sovietica e la riunificazione tedesca, lo scenario di sicurezza del continente è cambiato in modo radicale e oggi, di fronte all’inerzia dell’Europa, da Parigi, Londra e Berlino vediamo emergere una volontà di potenza. In quanto all’Italia, è ormai un interlocutore inaffidabile e non in grado di prendersi le proprie responsabilità.

Da tener conto in questo percorso di tutta una serie di incognite riguardo il futuro delle relazioni transatlantiche, del dispositivo strategico degli Stati Uniti e della sicurezza europea. Fino a che punto è oggi credibile la garanzia nucleare americana? Sarà presto tempo di aprire un dibattito su tutto ciò, dibattito che dovrà abbracciare anche il futuro della NATO: l’Alleanza dovrà adeguarsi ai tempi, assumere un più ampio respiro e non essere più vista unicamente come baluardo contro la Russia. Dovrà allargare lo sguardo all’Asia e al Pacifico ed assumere anche un ruolo politico.

E’ fuor di dubbio che in attesa di un ipotetico disarmo nucleare non è opportuno che l’Europa rinunci all’opzione di una sua arma atomica. Questa cooperazione tripartita in campo militare sottolinea una volontà di non restare perennemente a rimorchio di Washington e dare una risposta all’avvilente latitanza dell’Europa dalla scena internazionale.

Conclusioni:   La politica estera garantisce ad un Paese la difesa dei suoi interessi, la sua sopravvivenza, il suo posto nel mondo e ne definisce l’identità. Se la sbaglia, un Paese rischia di scomparire.

La politica italiana non si è resa conto che dall’Agosto del 1945 il mondo è cambiato per entrare in una nuova era, quella nucleare. Sarebbe utile ricordare anche quel gran baccano che ha finito col portarci al referendum del 1987. C’è stata in giro grande ignoranza, paura e timore di grane: nessuno si è reso conto del declassamento che questa scelta avrebbe comportato e dell’occasione che si sarebbe perduta. L’Italia è l’unico paese al mondo che ha rinunciato ad ogni attività nucleare, inclusa quella civile.

Di quest’ignoranza oggi paghiamo il prezzo e l’inazione che ne deriva è per noi il rischio più grande, soprattutto in quegli angoli del mondo ove i nostri interessi richiedono stabilità e coerenza prima di ogni cosa. A buon esempio di ciò basti guardare ai recenti eventi in Libia e all’agire di paesi che in più di un modo mostrano  di voler rivedere gli assetti dell’ordine internazionale.

Sia l’Italia che finora l’Unione Europea si sono mostrate incapaci di politiche coordinate e risposte adeguate di fronte ai centri di crisi. Negli ultimi cento anni gli eventi hanno fatto sì che il nostro continente non sia più al centro del mondo. E’ tempo oggi di tornare a pensare a ciò che più conta: una politica estera e di difesa comune. Alternative non ve ne sono.

Negli Stati Uniti queste ultime elezioni, malgrado l’ostruzionismo di Trump, sono state nuovamente un grande esempio di democrazia e capacità di rinnovarsi. Ciò significa che nella competizione delle idee gli americani stanno ancora vincendo, così come rimarranno gli unici ad avere la capacità di aggregare e formare vaste alleanze. Malgrado le incertezze e le difficoltà, non hanno ancora rivali nel proiettarsi contemporaneamente all’esterno in termini militari, finanziari, industriali e, soprattutto, ideologici.

Dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda un ordine mondiale è tramontato. La Storia non è finita ed è oggi necessario elaborarne uno nuovo. L’Italia non ha più un peso e l’Unione Europea ha scarsa capacità di influenzare gli eventi. Le sfide sono immense, le classi dirigenti mediocri, se non talvolta del tutto inadeguate. Il tempo avanza, le cose si trasformano, tendono a mescolarsi e cambiare.

Per far fronte alle incognite del futuro servirà un ingente sforzo di rinnovamento intellettuale e morale. L’Europa non decolla e qui da noi, invece di rendersi conto che motore del mondo è avere idee diverse, chi tende a pensar troppo e al di fuori dagli schemi viene crocifisso. Ne consegue una rigidità intellettuale ed una superficialità di analisi che non ci possiamo più permettere e finirà col costarci cara.

Potrà sembrare un paradosso, ma in campo internazionale il problema forse oggi più grave è quello dell’assenza dell’Europa dalla scena internazionale. Se dovesse protrarsi a lungo, questa situazione finirà col logorare anche gli Stati Uniti e indebolire tutto l’Occidente: non è possibile concepire una NATO capace di reggersi su di una gamba sola, così come non sono da sottovalutare le conseguenze psicologiche di questa solitudine sulle classi dirigenti americane.

A seguito del trattato di Aquisgrana e dei precedenti accordi franco-britannici del 2010, vediamo da parte di Londra un interesse a partecipare alle iniziative militari europee, anche al fine di evitare di rimanere tagliata fuori dall’ambito della produzione di nuove armi. Malgrado la Brexit, non è intenzione della Gran Bretagna isolarsi dall’Europa.

In questa dimensione nucleare sembra evidenziarsi il procedere verso un’integrazione militare con l’adesione di Francia, Germania e Regno Unito in vista di una politica difensiva europea. Quest’integrazione a tre dovrebbe portare ad un consorzio per la produzione congiunta di armi nucleari e far sì che gli europei siano alleati degli Stati Uniti senza esserne dei satelliti.

Si tratta di resuscitare l’idea della CED e far compiere all’Europa un significativo passo avanti, sviluppando l’embrione di una forza atomica pur mantenendo gli Stati Uniti come punto di riferimento imprescindibile. L’America non può essere sicura che con un’Europa libera, democratica ed in grado di reggersi da sola.

Questo consorzio servirà a coordinare la ricerca e lo sviluppo nel settore delle armi a tecnologia avanzata, progetto mirato a raggiungere un livello di indipendenza militare che rafforzerebbe la posizione contrattuale delle tre nazioni e potrebbe essere un punto di partenza verso una futura unione politica e militare europea.

Se noi europei vogliamo esercitare la nostra sovranità dobbiamo cooperare. Solo unendoci saremo in grado di esplicare quella sovranità nazionale che altrimenti si andrebbe perdendo: nessuna delle 27 nazioni dell’Unione ha dimensioni e mezzi tali da poter resistere da sola alle pressioni di altri Paesi e voce sufficiente per farsi sentire sui tavoli delle trattative e affrontare le sfide del futuro, tenendo in mente che l’intera costruzione della difesa europea ruota intorno all’irrisolto problema della forza nucleare di Parigi e di Londra.

Anche se per il momento non emerge una visione strategica globale per fondare una politica estera e di sicurezza comune, resta indubbio che da uniti la nostra forza sia molto maggiore e così il nostro peso negoziale. Una politica estera e di sicurezza comune sono la sfida epocale per il progresso e la salvaguardia del nostro continente: il percorso di noi tutti non può essere che questo.

Edoardo Almagià

 

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