Due logiche opposte sembrano attraversare molta parte della cultura e del sentire comune: da un lato, il sempre più proclamato rispetto per la natura, i suoi equilibri, il nesso strutturale con l’”umano”; dall’altro, l’intervento manipolatorio sempre più invadente  sul “naturale” dell’ “umano”.

La sensibilità ecologica  è un tratto fondamentale della nostra contemporaneità.  Essa  è in gran parte il frutto della presa di coscienza del sempre più drammatico deterioramento degli equilibri ambientali del pianeta. Si fa strada una nuova visione del rapporto fra  l’uomo e la natura che mette in discussione un paradigma secolare che ha ispirato in particolare la modernità, ma che affonda le radici nella tradizione biblica e cristiana.

L’ebraismo e il cristianesimo hanno desacralizzato il mondo della natura, introducendo una cesura rispetto alla visione pagana: il mondo non è più pieno di dei; al contempo  l’uomo, pur essendo parte e vivendo nella natura, si distingue da essa ontologicamente. Il racconto della Genesi delinea un ben preciso rapporto fra uomo e natura: l’uomo  plasmato dall’argilla, ha in  sé un “soffio” che lo colloca ad un livello superiore  ed è chiamato ad essere il custode della natura. Fondamentale è questa differenza ontologica che guiderà la storia dell’Occidente. Prescindendo dalla questione dibattuta circa la sua  filiazione più o meno diretta dalla radice ebraico-cristiana, con la formazione del mondo moderno , che vede affermarsi la scienza sperimentale, di nuovi orientamenti filosofici( F. Bacone, Cartesio), dell’economia capitalista,  la natura è vista come serbatoio  di risorse ed energie da spremere ed utilizzare al servizio del progetto umano. Essa non appare più né legata al mondo del sacro da guardare con  venerazione e tremore, né come giardino da custodire, privata com’è di ogni rimando simbolico.

La radicalizzazione di questo processo ha portato all’attuale saccheggio delle risorse del pianeta e alla messa in discussione degli equilibri fondamentali della terra. Di qui gli allarmi per incombenti sconvolgimenti e catastrofi, ma anche l’emergere di nuovi atteggiamenti e sensibilità, l’affermarsi di di un diverso modo di concepire e vivere il rapporto uomo-natura. Non si tratta solo di cura e rispetto, di semplice sensibilità ecologica. In alcune, per ora, minoranze avanza una visione nuova, che attenua se non  elimina la differenza ontologica tradizionale: l’uomo è natura, sia pure ad un grado più complesso,; soggetto  propriamente è l’intero sistema , considerato come un unico organismo vivente, al quale occorre attribuire piena dignità sia come totalità che come singole parti. Di qui la denuncia dell’azione manipolatrice e prevaricatrice dell’uomo che si attribuisce indebitamente una posizione di superiorità. Al fondo di tale posizione si cela una forma di neopaganesimo che prende congedo dall’eredità ebraico- cristiana. Tale visione, per ora propria di minoranze più o meno radicali, tende  a diffondersi sempre più, in maniera più o meno consapevole e riflessa. Vari sono  gli indizi di questo: un animalismo radicale, la rivendicazione di diritti degli animali oltre il rispetto a la tutelai, l’opposizione ad ogni intervento dell’uomo sulla natura…

Ma tale atteggiamento sembra coesistere con un altro di segno opposto. Quella manipolabilità, artificialità che si vuole negare al rapporto con la natura è rivendicata e promossa nei confronti  della “naturalità” dell’uomo stesso. Gli interventi sul  nascere e il morire( fecondazione artificiale, utero in affitto, prolungamento forzato del processo di morte, eutanasia),tentativi più o meno chimerici di potenziamento delle funzioni  corporee e mentali, interventi sul patrimonio genetico,  transumanesimo sono altrettante conquiste ritenute inevitabili e approvate. E’ ben vero che queste opposte   posizioni sono  seguite da opposte tribù più o meno radicalizzate. Quel che importa però è che inavvertitamente modellano il sentire comune nel quale la contraddizione non è avvertita o solo vagamente percepita. Al tempo stesso  le due tribù rischiano di trasformarsi in tifoserie dogmatiche e fondamentaliste, con conseguenze dirompenti  per la coesione sociale e il dialogo democratico. Segnale di questo sono le polemiche accese che hanno accompagnato la vicenda del  Covid e dei relativi vaccini. Purtroppo l’apparato e le dinamiche dell’apparato tecnico-produttivo , che in realtà assecondano ed anche promuovono ambedue le tendenze ,finiscono per essere il vero soggetto  del cambiamento.

Nonostante tutto, è necessario sperare che , sia pure per gradi e ad un livello più diffusa  si faccia strada la consapevolezza della necessità di un nuovo umanesimo che sappia armonizzare e gestire con responsabilità il difficile equilibrio fra le due dimensioni costitutive dell’umano: finitezza  e trascendenza. La posta in gioco è oggi come ieri antropologica.

Gianclaudio Tagliaferri

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