Uno dei principi fondativi di Insieme è la collegialità, su questa base, al momento della fondazione del partito, il 4 ottobre 2020, si è deciso di avere tre coordinatori, espressione delle anime che hanno contribuito, con grande coraggio, alla formazione di un soggetto politico che si basa sui principi espressi dalla Dottrina Sociale della Chiesa, dalle encicliche Laudato Si’ e Fratelli Tutti. La politica basata sul rispetto della persona, dell’ambiente e degli animali, sull’innovazione, sulla solidarietà, sullo sviluppo sostenibile deve essere per noi una stella polare da seguire e perseguire con convinzione e tenacia.

A giugno Insieme andrà al suo primo congresso nazionale e il principio della democrazia deliberativa e partecipativa deve restare principio fondativo, ma le pratiche democratiche non dipendono dal numero di coordinatori, dal titolo che si dà loro o dal numero di componenti degli organismi che, al contrario, possono provocare un’impasse che nella politica di oggi può essere un colpo mortale ad un soggetto politico e alla sua organizzazione e comunicazione. Comunicazione che oggi deve essere immediata, visto che la notizia dopo poche ore diventa vetusta.

La capacità di coinvolgimento, di ascolto, il diritto alla partecipazione e a vedere prese in considerazione le proprie idee non dipendono dai numeri, ma dagli iter decisionali che si mettono all’opera. Oggi i segretari dei partiti, quando parlano in tv, radio, esprimono le proprie idee facendole passare per quelle del partito. Non tengono conto delle idee espresse dagli iscritti, dalla minoranza, ma solo delle proprie oppure, nel caso migliore, di quelle della maggioranza che li sostiene, senza ascoltare mai quelle della minoranza, come se la verità stesse solo da una parte.

Ecco la rivoluzione a cui dovrebbe prestarsi il partito, le idee dei dirigenti a qualsiasi livello, dovrebbero esprimere le idee della collettività, sempre all’interno del quadro dei valori e dei principi generali espressi nello Statuto. La domanda a cui si deve rispondere è: come si può riuscire a garantire un modello che rientri all’interno dei principi di democrazia partecipativa e deliberativa senza che questo iter faccia diventare il partito un ente burocratizzato dai tempi elefantiaci?

Non è facile rispondere a questa domanda, ma ci proverò descrivendo un modello di organizzazione che in parte corrisponde a ciò che prevede lo Statuto, ma in parte è intriso di proposte che serviranno, si spera, ad innescare una discussione sul tema. Intanto, come è stato dimostrato dalla storia degli ultimi trent’anni, il modello del segretario capo, scelto attraverso un congresso per mozioni, si è rivelato fallimentare, per due motivi: il primo è che chi ha
sostenuto la mozione vincente ha preso tutto, segreteria, gruppi dirigenti, tutto, come se i componenti della maggioranza fossero, al di là di tutto, i migliori e le minoranze fossero i peggiori; il secondo motivo riguarda le mozioni in sé e per sé; nella mia lunga esperienza mi è sempre capitato di ascoltare chi votava una mozione dire che nell’altra vi erano notevoli segni di innovazione, ma che, per un motivo o per un altro, avrebbe votato l’altra mozione. Con la conseguenza che si sono formate maggioranze e minoranze, spesso non per motivi “legittimi”, ma solo per posizionamenti, per creare gruppi di potere in grado di chiedere posti in lista per il solo fatto di essere minoranza.

Un congresso a tesi permetterebbe, sempre all’interno dei paletti dei valori del partito, mettere a confronto tesi contrapposte, argomento per argomento, e rendere liberi gli iscritti di votare per una o per l’altra, secondo le proprie personali convinzioni, senza essere legati alla fedeltà verso una persona piuttosto che verso un’idea. Una volta votate le tesi, si proseguirebbe con la votazione per la scelta del segretario (o coordinatore che sia), del consiglio generale il cui numero deciso nello Statuto è idoneo. Una volta votato il segretario, questi sceglie la segreteria i cui componenti sono coordinatori dei gruppi tematici nazionali i cui componenti sono: i coordinatori dei gruppi tematici regionali, le persone che ne vogliono far parte e persone esperte in materia, con un riconosciuto valore morale, cooptate dal
coordinatore.

Questo tipo di organizzazione dev’essere riportato a cascata sui livelli regionali, provinciali e comunali, dove possono esistere più centri di presenza. Ogni gruppo tematico, in un’ottica che risponda da un lato alle competenze di ogni livello di ente locale e, dall’altro, a quell’ottica di flusso top-down e down-top che risponde alle esigenze di coinvolgimento, partecipazione e comunicazione dovrà, sempre all’interno delle tesi votate durante il congresso ed ai
principi dello Statuto, dovrà essere l’artefice principale dei progetti del partito e dei relativi programmi.

La differenza tra progetto e programma? Semplice, il progetto riguarda la visione generale sul modello di città, regione, società; il programma è la declinazione di quel progetto nei singoli territori, programma che può variare da luogo a luogo. Esempio per rendere ulteriormente più chiara la questione: se il progetto di città ideale prevede una offerta adeguata di servizi per le famiglie come gli asili per quelle impossibilitate a rivolgersi ai privati, in una città può darsi che questa offerta sia già adeguata e, quindi non si avrà nel programma questa richiesta, in un’altra, invece sarà comprensibile inserire tale richiesta.

Ciò è necessario al fine di evitare il fenomeno che accade in altri partiti, per il quale in una regione lo stesso partito presenta su un determinato argomento una proposta, in un’altra la proposta è di segno esattamente opposto. La coerenza progettuale deve essere un principio da perseguire, i cittadini devono essere in grado di riconoscere un partito, i suoi progetti, i suoi ideali, i suoi principi in maniera inequivocabile.

Un modello di tal genere, dove tutti hanno il diritto di essere ascoltati, dove esiste un partito capace di ascoltare tutti, senza avere maggioranze e minoranze precostituite che nascono spesso per motivi legati o a posizioni di potere oppure per incapacità di ascolto dalla parte maggioritaria del partito, è un partito che rivoluziona l’idea di partito degli ultimi trent’anni, un partito forte, le cui correnti, sono correnti di idee e non di posizionamento, un partito che, ad un certo punto, ed in tempi ristretti, vota sui documenti programmatici e progettuali che diventano patrimonio del partito nella sua interezza. Un partito, i cui iscritti diventano essi stessi, strumenti di diffusione delle idee.

I miei studi, la mia esperienza di segretario di un circolo di partito che ha applicato questi principi e che non
interveniva in tutte le iniziative dello stesso, ma dava a tutti i componenti della segreteria la visibilità che meritavano, così fornendo all’esterno un’immagine di forza progettuale e programmatica e di dirigenza diffusa che poi si tramutava in voti, mi portano a sostenere questo modello.

Il problema della democrazia partecipativa non è nel numero, ma nei principi e negli iter decisionali che, dopo una prima fase che sta portando il soggetto politico al primo congresso e che giustamente ha visto in campo tre coordinatori, oggi sarebbero resi troppo macchinosi dalla presenza di tre coordinatori. Un partito in cui esiste una dirigenza diffusa, che abbia un’unica voce all’esterno, ma che abbia la capacità di confrontarsi all’interno in maniera ampia, trasparente, un partito dove i dirigenti, al contrario dei soggetti politici di oggi, siano portatori delle idee della collettività, non delle proprie idee personali, dando un senso della comunità profondo, dove le correnti non esistono perché non ce ne è bisogno, non vi è bisogno di posizionamenti, è un partito che attira e che supera esperienze fallimentari dei partiti padronali che hanno comportato il fallimento della politica, della collettività.

Luca Lecardane

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