Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Andrea Tomasi, coordinatore del Dipartimento sull’Innovazione di Insieme. Ieri è stata pubblicata la prima parte ( CLICCA QUI )

4. LINEE GUIDA PER UNA POLITICA A SOSTEGNO DELL’INNOVAZIONE

L’innovazione non può essere un risultato pianificato, ma nasce in un contesto favorevole che può essere progettato per creare le condizioni in cui l’innovazione si può sviluppare.

Alcune scelte richiedono una chiara strategia di medio-lungo periodo: puntare sullo sviluppo originale di nuove tecnologie o sulla capacità di integrare tecnologie esistenti per innovare la produzione di beni e servizi? In tempi di risorse limitate, probabilmente non sono perseguibili entrambi gli obiettivi, in particolare se si considera lo sbocco sul mercato, quando solo il mercato mondiale può giustificare certi livelli di investimento.

Per implementare efficaci programmi di sostegno all’innovazione occorre inoltre identificare in modo certo chi coordina la strategia e chi ne sovrintende l’attuazione. La “tradizione” italica di moltiplicare organismi pletorici e frammentare i centri decisionali rappresenta un grave freno all’innovazione.

Modello cinese e modello americano. C’è un modello europeo? E l’Italia?

I cinesi hanno costruito un sistema capitalista non democratico. Il capitalismo di stato si avvale dei “vantaggi” di una disponibilità notevole di capitale per investimenti, della possibilità di indirizzare dirigisticamente le linee di sviluppo industriale e di un mercato ampio e in crescita (popolazione di 1,4 miliardi con una classe media di 300 milioni di persone).

Negli scorsi decenni e ancora oggi la Cina ha investito in formazione, facilitando lo studio all’estero di quasi 700 mila studenti all’anno, la maggior parte dei quali rientra in patria al termine degli studi.

Lo stereotipo dei cinesi “che copiano” non regge più. L’industria cinese è ai primi posti nel mondo (nelle prime 500 aziende il numero di quelle cinesi pareggia quello delle americane, e i fatturati sono globalmente molto vicini), con una forte presenza nelle tecnologie digitali e con tassi di crescita significativi.

Negli Stati Uniti la libertà d’impresa è un caposaldo del modello economico, istituzionale, culturale. Ciò ha reso culturalmente accettabile il rischio imprenditoriale, incentivando la nascita di nuove imprese e rendendo sopportabile un eventuale fallimento. E’ molto forte inoltre una tradizione di capitalismo di investimento, che ha fatto maturare competenze nell’ambito di una attenta definizione dei business plan e della valutazione dei progetti di impresa, e una legislazione fiscale che favorisce gli investimenti.

In Europa la mediazione tra i due sistemi inclina verso la tentazione regolatoria, temperata dalla promozione di progetti considerati strategici finanziati con procedure rigorosamente stringenti.

Nella scelta dei progetti occorre considerare che il mercato interno europeo, per quanto ricco, non è tale da compensare iniziative industriali di ampio respiro, se non in settori di nicchia.

Al momento a livello europeo gli aspetti regolatori si sono concentrati sulla tutela dei dati personali (GDPR) e il contrasto alla comunicazione ostile e alla diffusione di notizie false, nell’ambito della regolamentazione dei servizi digitali (Digital Service Act). Per quanto riguarda l’ I.A. è stato prodotto il documento “Linee guida etiche per una I.A. affidabile”.

Dopo che le Partecipazioni Statali sono state smantellate, in Italia non abbiamo un sistema industriale pubblico dotato di autonomia e visione strategica, in grado di sopportare nel tempo elevati investimenti e i conseguenti oneri finanziari. Del modello cinese ci rimane solo la tentazione iper-regolatoria, con inefficienze burocratiche amplificate dall’intervento di più centri decisionali. D’altra parte non c’è una cultura diffusa nell’ imprenditoria familiare verso una consolidata attitudine alla stesura di solidi business plan. Infine il sistema del credito spesso non ha le competenze per la valutazione dei rischi nei progetti d’impresa e si limita a “chiudere i rubinetti”.

Occorre anche considerare che la fiscalità premia le rendite, più che gli investimenti.

In rapporto all’ Europa le procedure richieste trovano nella Pubblica Amministrazione, attraverso la quale i fondi vengono erogati, una realtà molto spesso incapace, per cultura e per modalità burocratiche, di adempiere alla gestione e alla rendicontazione con la necessaria osservanza delle scadenze. Questo è anche uno dei punti cruciali per l’attuazione dei progetti previsti nell’ambito del Recovery Fund, argomento approfondito dal relativo Dipartimento.

Start-up e spin-off.

L’innovazione produce di per sé anche la nascita di (nuove) imprese innovative, che possono essere frutto di iniziative imprenditoriali o trasferimento industriale di risultati acquisiti nell’ambito delle strutture di ricerca.   Per le prime (start-up) e per le seconde (spin-off) è comunque imprescindibile l’accuratezza del business plan, per evitare forma mascherate di assistenzialismo economico (iniziative che nascono intorno a un progetto che abbia acquisito un finanziamento pubblico e cessazione in tempo immediatamente successivo).

L’accompagnamento delle imprese innovative.

Le sinergie tra imprese, Università, Enti di ricerca, e PA sono determinanti per creare una rete di competenze favorevole all’innovazione. Le strutture esistenti, Competence Center (robotica, automotive, aerospazio, agricoltura 4.0,cybersecurity, Big Data, MedITech e Cyber 4.0), Digital Innovation Hub, Poli Tecnologici e Incubatori di impresa vanno coordinate con chiare attribuzioni di compiti e vanno interconnesse per creare reti di collaborazione e di servizi condivisi paragonabili alla logica dei distretti industriali che hanno sostenuto in passato le piccole e medie imprese italiane.

Tra i servizi di maggiore utilità per le imprese, in particolare nelle fasi iniziali, il sostegno nella predisposizione di studi di fattibilità, di business plan e di progetti di impresa sostenibili per l’accesso al credito, sia da parte degli istituti bancari che dei fondi di investimento.

Tra le politiche industriali di supporto si sottolinea l’importanza di un quadro ben definito di relazioni internazionali e di collaborazioni in progetti con partner stranieri, per mantenere elevato il livello delle conoscenze e attrezzarsi per le sfide del mercato globale.

L’accompagnamento necessario da parte delle istituzioni pubbliche non può non riguardare gli aspetti fiscali e amministrativi, con una semplificazione delle procedure e una opportuna graduazione delle esenzioni fiscali. Rientra in questo ambito anche l’emanazione di norme legislative chiare e orientate da precise competenze di merito.

QUARTA CONTRADDIZIONE: Le imprese innovative si sviluppano nella libera creatività ma rispondono a stingenti logiche di mercato globale. La legislazione di supporto deve favorire lo sviluppo dell’innovazione e le norme devono esprimere competenze di merito, ma non devono essere invasive e dirigistiche. Il finanziamento dei progetti è indispensabile, ma occorre una attenta selezione, perché l’erogazione di sussidi assistenzialistici e di finanziamenti a pioggia non serve.

  1. AMBITI SIGNIFICATIVI PER PROCESSI DI INNOVAZIONE E TECNOLOGIE-GUIDA

Gli interventi progettuali più rilevanti possono essere considerati in Italia il Piano nazionale innovazione 2025 e in Europa il programma Next Generation EU, o Recovery fund.

Ritengo interessante metterli a confronto con gli studi di analisti internazionali che ogni anno esaminano ad ampio raggio i vari settori tecnologici per individuare le tecnologie più promettenti per il prossimo futuro.

Secondo la società di consulenza Gartner, le tecnologie digitali che avranno maggiore impatto nei prossimi 5-10 anni sono: gli algoritmi e le tecniche di I.A., le interfacce di interazione uomo-macchina, i nuovi materiali sostitutivi del silicio per la costruzione di chip elettronici. A queste si aggiungono le tecnologie e le applicazioni identificate da uno studio del World Economic Forum: le materie plastiche biodegradabili, i fertilizzanti intelligenti, le lenti metalliche miniaturizzate, i farmaci basati su particolari classi di proteine, i robot sociali, la telepresenza collaborativa, la tracciabilità di filiera, lo stoccaggio di energia rinnovabile e reattori nucleari più sicuri.

Il Piano nazionale innovazione 2025.

Le deleghe attribuite al ministro per l’ Innovazione Tecnologica e l’Innovazione  danno alla sua azione la massima autonomia, in maniera più completa rispetto alla precedente esperienza del Ministro Stanca, e alle successive funzioni frammentate tra vari ministeri, in particolare il MEF , lo Sviluppo Economico e la Funzione Pubblica. La prima azione considerata prioritaria è tuttavia la costituzione di una cabina di regia e un comitato per la digitalizzazione della PA, che si affiancano (?) alla struttura tecnica di supporto già esistente, l’ AgID, che ha ereditato i compiti di DigitPA e prima ancora di CNIPA (2001-2009).

Le 20 azioni previste, presentate con titoli accattivanti, in parte ricalcano obiettivi già previsti e non attuati. Se da un lato ciò ne conferma la validità, dall’altro mette in luce le perduranti carenze e le criticità riguardanti le risorse umane, economiche e strumentali a disposizione.

Le principali tecnologie di riferimento saranno intelligenza artificiale, cybersecurity, 5g mentre i settori saranno la mobilità autonoma e sostenibile e la robotica nonché i settori del made in ITaly (settore manifatturiero, turismo, food, moda, design, sociale, digital humanities).

Nei confronti delle imprese il Piano prevede azioni di sostegno alle start-up individuando i settori ritenuti determinanti per il futuro: Mobilità, Robotica, AI, CyberSecurity, a cui è dedicato un finanziamento di 60 milioni sotto la gestione dell’ ENEA.

Se le azioni proposte sono comunque sicuramente da appoggiare, rimane una sensazione di “determinismo legislativo”, che tanto influenza ministri e parlamentari quando si addentrano in temi legati alla tecnologia: l’idea, cioè, che sia sufficiente indicare un obiettivo perché esso sia deterministicamente ottenuto, e che basti la disponibilità di strumenti e mezzi tecnologici per conseguire risultati, prescindendo dalle difficoltà culturali e organizzative. L’idea dei “borghi del futuro”, ad esempio, trascura le necessità infrastrutturali e logistiche per favorire un aumento di popolazione in zone estremamente periferiche, dato che non tutto può essere attuato con le comunicazioni a distanza e che l’infrastruttura di rete è ancora ben lontana da prestazioni ottimali in diverse aree del Paese. Le 20 azioni appaiono permeate dell’idea che digitalizzare la PA e i suoi servizi renda più digitali anche i cittadini, senza tener conto della formazione e della gradualità necessarie per la transizione umana verso un mondo divenuto troppo rapidamente tecnologico.

Il Recovery fund.

 Il piano è oggetto di specifica valutazione da parte del Dipartimento preposto. Ne richiamiamo qui le indicazioni per la presentazione dei progetti, che devono tener conto:

– dei quattro principi guida della strategia annuale per la crescita sostenibile 2021 (sostenibilità ambientale, produttività, equità e stabilità macroeconomica);

– delle raccomandazioni specifiche per paese degli ultimi anni;

– dei sette obiettivi principali: utilizzare più energia pulita, rinnovare, ricaricare e rifornire, collegare, modernizzare, espandere, riqualificare e migliorare le competenze.

Il Piano di rilancio italiano (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) traduce le indicazioni europee in obiettivi strategici: digitalizzazione,  innovazione, competitività; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per la mobilità; istruzione e formazione; equità, inclusione sociale e territoriale; salute. Agli obiettivi si accompagnano un lungo elenco di riforme, quanto mai opportune e che fanno parte del programma di governo da decenni: fisco, mercato del lavoro, giustizia, monitoraggio investimenti pubblici, Pubblica Amministrazione, con una sorta di “ingorgo attuativo” che rischia di pregiudicare la riuscita dei progetti e delle riforme stesse.

Anche nei confronti delle riforme “di sistema” e degli interventi istituzionali si può affermare che le difficoltà si manifesteranno nella fase di concretizzazione della “vision” e della sua “implementation”.

Andrea Tomasi

 

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