Sino a ieri, ogni riflessione su come saranno gli Usa nel dopo-pandemia scontava un duplice ripiegamento, in entrambi i sensi in cui questa espressione può essere intesa: un ripiegamento intellettuale ed introspettivo su sé stessi e sui problemi interni; ed una prudente riduzione del ruolo americano nel quadro internazionale, soprattutto del ruolo militare.

Non sarà invece così, almeno a giudicare dalla personalità dell’uomo, Anthony Blinken, scelto da Biden, ormai presidente eletto, a dirigere come Segretario di Stato un team di politica estera e sicurezza nazionale pieno di veterani di Washington, e di veri e propri revénants come John Kerry.

Già vice-Segretario di Stato sotto Obama, Blinken appare in una qualche misura consapevole della debolezza economica degli Stati Uniti all’alba della terza decade del secolo, ed ha esplicitamente ammesso che “la nostra leva finanziaria è di gran lunga inferiore a quella che era”. Ma ha anche aggiunto di essere convinto “che abbiamo punti di leva per cercare di attuare alcuni sviluppi più positivi”,

Tuttavia, da esperto soprattutto di questioni di politica estera, ma apparentemente poco attento agli aspetti economici, non sembra avere una percezione adeguata della voragine gigantesca che si è aperta all’interno del suo paese. Tra – da un lato – i pochissimi americani che, dagli Stati Uniti e ancor più dai paradisi fiscali, hanno in questi ultimi decenni, partecipato con profitti giganteschi alla trasformazione dell’economia mondiale. E – dall’altro lato – l’enorme massa di coloro che ne sono stati esclusi. Tra gli egemoni globali e la massa dei perdenti rimasti imprigionati nel circuito dell’economia locale, cui la politica di Trump non ha apportato nessun sollievo strutturale, e che appare destinata ad un progressivo esaurimento.

Nel mondo del lavoro quella che si è salvata è stata, infatti, solo una piccola frazione attiva nel campo delle telecomunicazioni e in quello (satellite del primo) della finanza speculativa, mentre prezzo più duro è stato pagato dai lavoratori meno qualificati.

Questa disarticolazione dell’economia è stata poi favorita anche dalla diversa evoluzione dei vari settori produttivi; divergenze cui la pandemia ha dato un’ulteriore forte contributo, interferendo in maniera sbilanciata con l’intensità della domanda e con la variazione dei prezzi.  Un effetto di disorganizzazione, questo, che si tenta furbescamente di tenere nascosto quando si calcola l’impatto del lockdown sul PIL globale, anziché sui diversi settori.

In campo internazionale, perciò, gli altri “punti di leva”, cui si riferisce Blinken, non possono che essere soprattutto militari. Per fare un esempio, infatti, egli ha citato le forze speciali statunitensi presenti nel nord-est della Siria, dislocate in prossimità dei giacimenti petroliferi. “Il governo siriano vorrebbe recuperare il dominio su quelle risorse. Ma noi non dovremmo rinunciarvi gratuitamente”.

Lo schema – ovviamente – dovrebbe essere riprodotto in tutti paesi occidentali, a partire dall’ambiziosa – ai soli propri fini – Germania in testa. Blinken vorrebbe infatti rafforzare la NATO, isolare politicamente la Russia e “fare fronte al signor Putin per le sue aggressioni”.

Per quanto riguarda la Cina, invece, Blinken – seguendo ancora una volta la linea Obama – sembra favorevole alla ricerca di modi per cooperare con Pechino, ma “da una posizione di forza”.

Quel che si prospetta, in altri termini, è un vero e proprio “ritorno alla normalità” – e alla globalizzazione – pre-Trump, senza tenere conto che il grande consenso da questi ottenuto  tanto nel 2016, quanto – pur da perdente – nel 2020, sia il segno di quanto il quadro di una società globale e senza confini è stato e continui ad essere ulteriormente scosso dalle conseguenze dell’epidemia.

Conseguenze ben simboleggiate dalla chiusura delle frontiere che è stata (e rimane) necessaria per tutti i paesi, non solo durante le fasi acute del contagio, anche –e soprattutto – quando esso fosse posto sotto controllo. Come accade già nel caso emblematico della Cina che dopo la indubbia ma fragile vittoria riportata contro l’epidemia  già applica – e avrà più che mai bisogno di mantenere a lungo – un isolamento pressoché totale.

Giuseppe Sacco

 

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