Il Corriere della sera nell’edizione bolognese ha pubblicato un’intervista con Stefano Zamagni. 

Professor Stefano Zamagni, l’assessore regionale Mauro Felicori ha aperto sul Corriere di Bologna un dibattito sulla collocazione dei riformisti, per lui non può che essere «fuori dal Pd». La sindaca di Iv Isabella Conti la pensa diversamente, infatti parteciperà alle Agorà dem volute da Enrico Letta. Azione e Italia viva propendono per la lettura di Felicori. Lei, che ha sempre guardato al centro, come la pensa?

«Pendo che il dibattito, quando è svolto in maniera civile come avvenuto, è qualcosa di positivo. Indica che c’è una vitalità in corso. Entrando nel merito, però, penso che l’argomento sia mal posto».

D) Perché?

«Perché non coglie la natura profonda del problema. L’alternativa tra riformisti, progressiti o altro è fuori tempo massimo. Riformare, lo dice lo stesso etimo, vuol dire ridar forma a un contenuto, che rimane immutato. È una strategia dei partiti conservatori, solo in Italia viene identificata con la sinistra, ma un vero rappresentante della sinistra dovrebbe inorridire. Nella stagione attuale, che riguarda Bologna come il resto d’Italia, l’alternativa reale è tra chi vuole una strategia trasformazionale oppure una riformista. Questo il vero oggetto di un dibattito che non riesce a partire. E mi dispiace».

D) In Italia c’è più bisogno di trasformare che di riformare ?

«Assolutamente, oggi quello che non va sono interi pezzi della macchina. Prendiamo ad esempio il sistema scolastico-universitario, abbiamo fatto decine di riforme che non sono valse quasi a niente, quell’impianto che fa acqua da tutte le parti va cambiato in toto. Vale lo stesso per il sistema fiscale, che scoraggia i soggetti generativi e produttivi per favorire quelli che vivono di rendita, che non è solo patrimoniale ma anche politica, burocratica… Un terzo fronte è il welfare. Finora abbiamo realizzato un welfare delle condizioni di vita, invece dobbiamo trasformarlo in un welfare delle capacità di vita, cioè passare da un welfare assistenzialista a uno abilitante. Non ci si può fermare al sostentamento per tirare avanti, bisogna aiutare le persone a immettersi o rientrare nel mondo del lavoro, a partire dalla sfida rappresentata dalle nuove tecnologie».

D) Bologna, «la città più progressista d’Italia» come non manca mai di definirla il sindaco Matteo Lepore, potrebbe essere un banco di prova per questa trasformazione del welfare?

«Se si vuole si può fare. Il principio di sussidiarietà conosce tre versioni: orizzontale, verticale e circolare. La vera sussidiarietà, quella che può davvero cambiare le cose, è quest’ultima. Il fatto che Lepore abbia creato una delega denominata “sussidiarietà circolare” mi ha sorpreso. Nel modello circolare non ci si limita a consultare per poi decidere: i tre vertici, ente pubblico, mondo economico e terzo settore, decidono insieme priorità degli interventi e modalità esecutive sulla base di protocolli predefiniti. È qualcosa che questa città potrebbe fare e sarebbe un ottimo esempio di strategia trasformazionale. Anzi, qui un esempio c’è già ed è il progetto Insieme per il lavoro. Un esperimento che ha funzionato, si tratta ora di estenderlo ad altri ambiti».

D) E il Pd a guida Letta? Può essere il soggetto promotore della trasformazione di cui lei parla?

«Può, ma per ora non ho visto nulla. Si parla di tattiche, come il campo aperto, ma sono scatole vuote. A me interessano i contenuti. Finora non ho sentito un leader del Pd, qui o a Roma, parlare di strategia trasformazionale. L’unico che ne parla, è un super paradosso, è Papa Francesco. Per questo dicono che è comunista. Invece lui ha capito il vero nodo: le riforme sono pannicelli caldi, dobbiamo trasformare invece quei meccanismi che producono diseguaglianze crescenti».

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