Che abbiano capito di non essere all’altezza? Difficile trovare un altro motivo plausibile che dia conto delle fantasie complottarde che Meloni ed i suoi più fidati consiglieri evocano.

Evidentemente per mettere le mani avanti ed esorcizzare fin d’ora, imputandolo a qualche capro espiatorio, l’eventuale default che temono di scorgere all’ orizzonte. A meno che vogliano adombrare una sorta di “golpe” fabbricato in casa e gestito in proprio. Eppure la prima qualità di un governante dovrebbe essere quella di infondere sicurezza, di creare un clima di fiducia e di impegno comune verso un disegno quanto più possibile condiviso dal Paese.

Dopo un decennio e più in cui si è reso inevitabile il ricorso a governi tecnici, la svolta del 25 settembre del 2022 era stata salutata, dagli stessi vincitori, come l’avvio di una stagione di stabilità , nel segno di governi largamente legittimati dal voto popolare. Questo salutare effetto sembra essersi già vanificato se gli stessi maggiori artefici del governo ricadono nell’abusato gioco dei sospetti, delle vociferazioni, delle studiate provocazioni che trascinano il quadro politico nella palude del chiacchiericcio.

Non bastano più i toni assertivi di Giorgia Meloni per nascondere la tenuta problematica di una coalizione costruita piu’ che su un progetto politico davvero comune, sulla convenienza di potere dei singoli contraenti e, dunque, inevitabilmente percorsa da rime di frattura solo fino ad un certo punto impercettibili.

Chi governa deve farsi carico personalmente, bene o male che vada, della situazione in cui versa il Paese affidato alle sue cure, piuttosto che accampare pretesti. C’è, invece, qualcosa di pericolosamente infantile e, nel contempo, di acrimonioso, nel piagnisteo vittimistico e lamentoso del governo Meloni, nel costante tentativo di incolpare chi l’ha preceduto oppure, in mancanza di meglio, denunciare una specie di redivivo “grande vecchio” che ce l’avrebbe con loro.

Di questo passo si rischia che si sviluppi nella pubblica opinione l’impressione di una aleatorietà evanescente, la sensazione d’essere in balia di eventi fuori controllo, assediati da nemici misteriosi ed occulti e, quindi, un sentimento generalizzato di precarietà e di insicurezza cui si è tentati di porre rimedio appartandosi ciascuno a difesa del proprio “privato” ed abbandonando al suo destino il fatto di concorrere attivamente alla vita pubblica del proprio Paese.

Del resto, di fronte all’oggettiva difficoltà economico-finanziaria in cui versa l’Italia, il Governo – e giustamente dal suo punto di vista – teme la forbice che via via si allarga tra promesse elettorali ed impossibilità a corrispondere. Peraltro, questa divaricazione non è problematica solo per chi ha così generosamente riversato la cornucopia delle promesse elettorali sul tavolo degli italiani, ma è oggettivamente preoccupante per quanto concerne la fisionomia e i criteri di funzionamento del nostro sistema politico, al di là dell’attuale momento. E’ come se l’assetto bipolare e la polarizzazione che ne consegue costringessero destra e sinistra a contemplare la menzogna quale fattore necessario del quadro programmatico che prospettano agli elettori. Dando per scontato che il momento elettorale sia funzionale alla distribuzione del potere, ma nulla abbia a che vedere con le politiche che seguiranno.

In sostanza, il sistema è talmente lontano dall’effettiva realtà del Paese da generare un tarlo che minacciosamente rode le stesse tavole della rappresentanza.

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