Non è bastata la caduta della produzione industriale, per la prima volta dopo il 2014, con pesanti conseguenze in alcuni settori (come automotive, energia e macchine utensili). Anche le esportazioni sono in frenata da almeno due trimestri e soprattutto si è dimezzata la crescita prevista del PIL sulla quale il governo aveva costruito il quadro di finanza pubblica e si dimezzerà secondo la Commissione Europea (e non solo) anche la crescita prevista per l’anno in corso.

Un quadro quindi preoccupante che rischia di riflettersi rapidamente su un maggiore disavanzo di bilancio che induce i più seri analisti a parlare di stagnazione se non di “recessione tecnica” mentre al governo si parla solo di rallentamento, come se avessimo solo ridotto la velocità mentre invece siamo quasi fermi.

Certo, lo stesso accade anche in tutta l’area comunitaria, Germania e Francia comprese, ma noi siamo il Paese che cresce meno ed ha il debito pubblico più alto. E così mentre altri si preparano a manovre di politica economica rilevanti (i tedeschi ridurranno il prelievo fiscale di cinquanta miliardi)  noi misure così espansive non possiamo di certo permettercele.

Eppure, malgrado tutto, non dovrebbero mancare strumenti alla apparenza non così potenti ma ugualmente efficaci.

Li ha indicati ieri, tra gli altri, con particolare chiarezza Pier Carlo Padoan: rilancio effettivo degli investimenti pubblici già finanziati ma bloccati da disaccordi e burocrazia; revisione seria della tassazione che richiede una vera e propria riforma e non i soliti pannicelli non sistemici; aggancio ai programmi europei di crescita verde e sostenibile che sembrano effettivamente decollare.

Altre proposte, sempre nel quadro del possibile e non della solita enunciazione, le ha ricordate la scorsa settimana Carlo Cottarelli: interventi con la autorevolezza della politica sulla burocrazia con semplificazioni imposte e sulla riforma della giustizia civile per rimuovere gli ostacoli agli investimenti stranieri. Quanto alla manovra fiscale, in attesa di una riforma sistemica, riduzione  delle imposte su lavoro e impresa ma per essere realistici anche aumento delle tasse su consumi e patrimoni.

In questo quadro di ricerca di risposte possibili, ben lungi dalle semplici  esercitazioni verbali, è giusto segnalare un recentissimo lavoro licenziato da due economisti di Banca d’Italia, Paolo Sestito e Roberto Torrini ( “Molto rumore per nulla” edito si Amazon Kindle) dove un intero capitolo è dedicato alle opportunità possibili di interventi anche  nelle nostre attuali condizioni.  Alcune di queste opportunità sono purtroppo severe ( come una imposta “una tantum” per ridurre lo stock del debito) ma altre dovrebbero appartenere alla normalità: un vasto programma di manutenzioni straordinarie delle grandi infrastrutture; un piano di innovazioni per l’industria come quello che era stato avviato da Carlo Calenda e poi fortemente ridimensionato; una presenza forte in Europa con alleanze chiare e stabili; l’integrazione dei migranti per fare fronte al calo della popolazione e altre ancora che riguardano il mercato del lavoro e il capitale umano.

C’è quindi la possibilità di organizzare risposte forti di politica economica anche per noi, pure gravati dal macigno del debito pubblico e pure nel quadro del peggioramento in atto nella situazione internazionale. Ed è su queste che in un Paese normale dovrebbe infiammarsi il confronto politico. Altro che parlare tutti i giorni di crisi possibile ed elezioni imminenti.

Guido Puccio

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