In questo scritto si intende affrontare il tema della crisi del rapporto di rappresentanza politica, che si esprime anche attraverso la ricerca di una legge elettorale adeguata ai tempi. La questione è stata affrontata su Politica Insieme in diversi interventi tra cui quelli di Guido Bodrato del 22 gennaio ( CLICCA QUI ) e del 2 febbraio ( CLICCA QUI ), di Luigi Ingegnere del 30 gennaio ( CLICCA QUI ) , di Giuseppe Davicino del 23 gennaio ( CLICCA QUI ).
Viviamo un clima culturale profondamente mutato rispetto ai primi anni del nostro secolo e tanto più rispetto ai primi quaranta anni della storia della Repubblica Italiana. La digitalizzazione della società, la mondializzazione degli scambi economici, modificano le forme della rappresentanza. Nella c.d. Prima Repubblica i partiti politici e le loro articolazioni interne, costituivano le aggregazioni primarie del corpo elettorale. Ma al tempo attuale si assiste all’affermarsi di una nuova cultura della politica che impone una ricerca sempre nuova del senso, che deve attribuirsi al tema della partecipazione.
La stessa proposizione, in termini sia pure rinnovati, dell’alternativa tra maggioritario e proporzionale (in questi anni le leggi elettorali succedutesi hanno variamente combinato le due formule), rappresenta la difficoltà di trovare forme nuove di rappresentanza, le quali non possono esprimersi secondo valutazioni contingenti, legate all’interesse elettorale delle forze politiche.
Davicino pone l’evidenza dell’inadeguatezza del maggioritario di fronte alla crisi economica e all’affermazione di un potere finanziario, che concentra la ricchezza in poche persone, a scapito delle famiglie e del lavoro. Il problema però è quello d’individuare forme nuove di democrazia partecipativa, che si rifondi il sistema delle istituzioni politico-giuridiche del Paese insieme a quello economico, che deve implementare il valore sociale dell’individuo, anche costruendo relazioni nuove tra le persone e tra gli Stati non improntate allo sfruttamento.
Lo stabilire quale sistema di intermediazione politica si intende proporre, importa una ricerca sul concetto di cittadinanza che vogliamo si affermi, di come rendere le istituzioni esistenti inclusive delle diverse culture e delle differenze.
Le questioni giuridiche aperte
L’art. 48 della Costituzione Italiana stabilisce al primo comma che “sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne che hanno raggiunto la maggiore età”. Si aggiunge, al secondo comma: “il voto è personale ed uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. Questa norma va letta in combinato disposto con quella dell’art. 1 Cost. che afferma, al suo secondo comma: “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
L’art. 1 Cost. sancisce il principio democratico, nel senso che “vuole significare che l’esercizio di alcuni dei poteri più elevati, di quelli cioè che condizionano la direzione e lo svolgimento degli altri, è attributo al popolo e lo è in modo ineliminabile” (Mortati, 1975).
L’art. 48 Cost. fissa le condizioni con le quali la sovranità del popolo si esercita (diritto di elettorato attivo); il popolo la realizza attraverso le elezioni dei membri del Parlamento (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica).
“In una democrazia rappresentativa, come la nostra, le elezioni hanno una funzione di legittimazione e al contempo di espressione delle opinioni e degli interessi, assicurando che la determinazione dell’indirizzo politico avvenga attraverso un reale processo di mediazione dei conflitti sociali, nella prospettiva di una integrazione politica complessiva del sistema” (Gianniti e Lupo, 2018). I sistemi elettorali stabiliscono come i voti espressivi della volontà dei singoli si traducano in seggi del Parlamento, per cui debbono essere il più possibile adeguati ad esprimere la volontà popolare.
Nella nostra Costituzione dunque il popolo è rivestito di un potere “costituito” nel senso che esso può esser modificato o rimodulato quando il suo esercizio non corrisponda più all’interesse del Corpo elettorale, ciò facendo valere innanzitutto la responsabilità politica dei Governanti (che sono espressione della volontà delle Camere) mediante nuove elezioni, siano esse indette in modo anticipato o alla scadenza naturale del mandato. Lo scioglimento del Parlamento è prerogativa “sostanziale” e “formale” del Presidente della Repubblica.
Il circuito democratico è dunque costituito dal Popolo, che esprime il Parlamento il quale a sua volta esprime un Governo, che abbia la fiducia delle Camere elettive.
Nello Statuto Albertino la base elettorale della Camera dei Deputati, era omogenea per interessi e cultura. I sistemi elettorali erano di tipo censitario, per cui il Sovrano non incontrava sostanziali problemi a sciogliere il Parlamento, quando si manifestava una crisi politica, ben sapendo che la ricostituzione dell’equilibrio politico- rappresentativo, era facilmente realizzabile essendo la base elettorale espressione di classi culturalmente e economicamente non antagoniste.
Il sistema “c.d. pseudo parlamentare” entra in crisi nell’ultima fase liberale in cui con l’allargamento della base elettorale, la concessione del suffragio universale, irrompono nella vita politica i partiti di massa socialisti e cattolici rappresentativi di milioni di elettori. Si instaura un regime assembleare in cui tutto il potere rifluisce nell’assemblea elettiva incapace di esercitarlo; l’unica cosa che la Camera dei deputati sapeva fare era rovesciare i governi. L’esito di questa situazione sarebbe stato tragico con l’avvento della dittatura fascista e l’esautoramento del Parlamento (Belletti, 2020).
Riferendoci ai nostri giorni, un sistema elettorale coerente impone che si contemperino efficacemente i diritti delle minoranze, che queste possano esprimere il loro orientamento e che esso venga preso in considerazione, che l’opposizione sia rispettata, insieme alla funzione e all’immagine delle Camere elettive. Dice Mario Rossi, su Politica Insieme 3 febbraio ( CLICCA QUI ) “l’obiettivo da perseguire è l’approvazione di un sistema elettorale adeguato alle esigenze della società civile, con leggi che offrano anche alle formazioni politiche minori la possibilità di essere rappresentate nelle istituzioni in cui si legifera e si amministra il bene comune”.
La libertà del mandato rappresentativo
Altra espressione della difficoltà che il principio di rappresentatività incontra oggi nell’ esprimersi, almeno nel senso auspicato dal costituzionalismo classico, è costituito dalla messa in discussione da parte di alcune forze politiche del principio del divieto del mandato imperativo, che si esplica nella norma dell’art 67 della Costituzione. Questa così si esprime “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Un primo tentativo si ebbe con la proposta di legge Costituzionale del 1999 di Armaroli (atto Camera n. 5923); nella legislatura precedente la attuale (XVII), fu presentato il ddl Costituzionale n. 196, d’iniziativa dei senatori PDL Alberti Casellati ed altri, recante norme di “modifica degli articoli 67, 88, 94 della Costituzione in materia di mandato imperativo”.
La libertà in questione costituisce prerogativa della funzione e non mera espressione di un privilegio soggettivo del Parlamentare. Si è affermata con la personificazione dello Stato moderno. Le prime assemblee elettive rappresentavano, nel Medioevo, i singoli borghi e le contee davanti al sovrano; non svolgevano che una funzione di mediazione nei confronti della Corona, ma non avevano un potere giuridico in senso proprio. L’evoluzione successiva è preparata da teorici come Locke e Burke. I Parlamenti divengono organi pienamente politici e sono un potere dello Stato. Si assegnava, a mezzo delle libere elezioni il potere rappresentativo a soggetti che erano per censo e capacità idonei a fare l’interesse complessivo del corpo elettorale. La politicità della funzione implicava, che il mandato fosse pienamente libero e revocabile solo nelle forme di legge. (Lanchester, 2020).
Una revocabilità senza limiti del singolo Parlamentare, conseguente al mancato rispetto del mandato imperativo espresso dalla formazione politica di appartenenza, comporta la trasformazione della funzione parlamentare nell’assemblearismo; la possibilità del condizionamento e la mancanza di libertà del rappresentante, minano alle basi l’efficienza dell’Assemblea e la capacità di fare gli interessi di tutta la Nazione. L’Assemblea elettiva è dunque un Ente autonomo rispetto agli interessi particolari dei rappresentati o delle loro aggregazioni politiche (partiti).
Si deve considerare che vada nel senso della lesione dell’art. 67 Costituzione, la recente riforma afferente il numero dei Parlamentari, con il loro dimezzamento (che il prossimo 29 marzo sarà soggetta a referendum confermativo)
Questo nel senso che influenzerà, in modo negativo la efficienza delle assemblee elettive. Sarà difficile per il Parlamentare singolo svolgere contemporaneamente il lavoro nelle Commissioni e nell’Assemblea. Il procedimento legislativo difetterà di una adeguata istruttoria e il Senato “non potrà che accettare o rifiutare le scelte operate dalla Camera dei deputati, in ragione dell’esiguo numero di senatori e dell’invariato numero delle Commissioni” (Belletti, 2020). Lo stesso autore da ultimo citato afferma, nel suo scritto per l’Associazione Italiana dei Costituzionalisti (fasc. 1/2020) che una tale riduzione del numero dei parlamentari potrebbe produrre “più facilmente maggioranze diverse tra le due Camere anche in presenza di formule elettorali identiche, cosicchè, l’obiettivo diviene ora quello di rendere più simili le due Assemblee” (Belletti, 2020 passim pag. 158).
Conclusioni
Le forme partecipative si evolvono, così come le soggettività e le relazioni interpersonali e intersociali. Fare politica vuol dire aver coraggio ma è anche fare la scelta opportuna. L’istituzione giuridica che la Politica esprime (Parlamento, Governo-Amministrazione), non può cristallizzarsi in atti e comportamenti che non tengono conto dell’evoluzione della realtà sociale e culturale. Gli strumenti, delle istituzioni, spesso risentono di una inadeguatezza rispetto ai tempi. Si tratta di riformulare e non stravolgerne la funzione. Pensiamo alla Legge del Parlamento o all’atto Amministrativo, il cui utilizzo o la cui conformazione, possono spesso non apparire al servizio delle persone o capaci di seguire i cambiamenti della realtà sociale, per consentire di risolvere i problemi e non di crearne di nuovi (vedi quelle leggi formali o decreti trasformati in atti amministrativi con l’inserimento di centinaia di disposizioni e norme, che complicano la vita dell’interprete e del cittadino).
Sono d’accordo con Ingegnere nel riferimento che, nell’articolo del 30 gennaio, fa alle parole di Zamagni, quando questi dice che “il sistema non va riformato ma va rifondato e ricostruito”. Ma non si può non concordare con Bodrato quando afferma che il proporzionale, che ha retto la Prima Repubblica per quarant’anni, non ha impedito certo all’Italia di crescere, anche valorizzando la specificità dei partiti minori. Il Patto Fondativo della Repubblica, esprimeva il rispetto reciproco della regola della pluralità, di tutti i partiti e di tutte le forze politiche, pur nell’ambito di una dialettica politica, spesso caratterizzata da scontri a volte durissimi, tra opposte visioni della vita sociale e delle alleanze internazionali che il Paese doveva assumere.
Oggi la riforma del sistema di intermediazione politica e istituzionale importa che si formuli un nuovo “Patto Democratico”, in cui il Parlamento funga da istituzione di garanzia, in cui le differenze si incontrino, nell’ambito di un grande rispetto per il suo ruolo.
Lo stesso Presidente Francese Macron ha riconosciuto la necessità di una riforma, nel senso della mitigazione del sistema maggioritario, che oggi costituisce il sistema elettorale che dà luogo, in modo prevalente, all’elezione dei deputati dell’Assemblea Nazionale, del paese transalpino. Questo dopo l’esplosione delle rivolte popolari causate dai gilet gialli, dovute a problemi sociali come la costruzione di un sistema scolastico elitario, il venir meno di alcuni servizi sociali di prossimità, il rincaro dei carburanti, ma anche ad una insufficiente capacità dell’istituzione Parlamentare, di fungere da cassa di risonanza (con ciò non stemperandolo) al dibattito e al conflitto sociale.
Quindi, per il nostro ambito nazionale, è auspicabile il rispetto della funzione dell’istituzione Parlamentare come espressione della garanzia, per tutti di mediazione in una sede politica alta. Ciò presuppone una nuova concezione della vita politica che dev’essere intesa come servizio al bene comune e non come ricerca della realizzazione economica e personale del singolo operatore. (Mario Rossi in Politica Insieme 2020) Occorre abbandonare quegli slogan e quegli atteggiamenti che non ineriscono alla migliore espressione della funzione delle istituzioni politiche, ma si traducono in prese di posizioni ideologiche, che mirano a coinvolgere i cittadini sul piano emotivo e non razionale. In fondo la vittoria di Stefano Bonaccini in Emila Romagna ha premiato, più che gli slogan, il buon governo della sua precedente legislatura, rafforzando al contempo il valore dell’istituzione Regionale.
Cesare Augusto Placanica