M’inserisco nel dibattito che ha per tema la riforma del sistema elettorale.
La Corte Costituzionale, riunita il 16 gennaio in camera di consiglio, ha dichiarato inammissibile il quesito referendario proposto da otto consigli regionali (Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata e Liguria), tutti guidati dal centro-destra. Chi ha presentato il referendum intendeva abrogare alcune norme della legge elettorale in vigore, ovvero quelle sulla distribuzione proporzionale dei seggi, in modo tale che il testo non abrogato introducesse un sistema elettorale totalmente maggioritario.[1]
Condividere o meno la sentenza è lecito, offendere è deplorevole! Spiace che Matteo Salvini, segretario della Lega, abbia rilasciato dichiarazioni offensive molto gravi.[2] Non è ammissibile che un deputato della Repubblica possa accusare la Corte di non essere stata garante della costituzione. Inoltre non si possono offendere gli avversari.
Spero che questi fatti inducano a riflettere e dèstino in chi ha passione civile, il desiderio di impegnarsi per migliorare la politica attuale.
Riforme elettorali in cantiere
Che ci sia l’urgenza di rivedere l’attuale sistema elettorale lo documenta anche l’effervescenza di riforme sommariamente annunciate in questi giorni: “Dopo il pronunciamento della Corte – ha detto il ministro delle riforma Federico D’Incà – noi andiamo avanti per superare il Rosatellum e dare al paese una legge elettorale proporzionale con soglia alta che garantisca un sistema politico più coeso, camere più rappresentative e governi più stabili”. Stessa posizione dal leader M5S, Luigi Di Maio: “Seguiamo la strada del proporzionale affinché tutti i cittadini italiani siano effettivamente rappresentati in Parlamento”.
In effetti la maggioranza sta lavorando – in commissione affari costituzionali alla Camera – a una proposta di tipo proporzionale, il Germanicum (con sbarramento al 5 per cento). Invece la Lega negli ultimi giorni ha avanzato l’ipotesi di un ritorno al Mattarellum. Si consideri che fino a nuova riforma resta in vigore il il Rosatellum bis (36 per cento maggioritario e per il 64 proporzionale). [3]
Un nuovo sistema elettorale
L’obiettivo da perseguire è l’approvazione di un sistema elettorale adeguato alle esigenze della società civile, con leggi che offrano anche alle formazioni politiche minori la possibilità di essere rappresentate nelle istituzioni in cui si legifera o si amministra il bene comune.
Abbiamo bisogno di norme che riconoscano all’elettore la facoltà di scegliere fra vari e non pochi candidati posti in lista elettorale.
Approvare o riformare leggi elettorali sono fatti politici di grande rilievo. L’intervento riformatore può creare danni irreparabili alla società. Una legge è utile al paese se è funzionale al bene comune; se invece, ad esempio, l’obiettivo riformatore fosse consolidare nel tempo i vertici di partiti o premiare un partito rispetto ad altri, chi legifera tradisce lo spirito della Costituzione.[4]
Purtroppo, si sono verificati casi in cui una maggioranza parlamentare invece di varare norme finalizzate al bene comune, ha legiferato con l’obiettivo di vincere o di consolidare il proprio potere. Questa prassi non è tollerabile.
Il bene comune
La Dottrina Sociale Cristiana definisce assai chiaramente cosa bisogna intendere per “bene comune”. Riprendo in estrema sintesi questo insegnamento: Gli uomini, nell’atto stesso in cui prendono coscienza della molteplicità dei loro bisogni e delle loro esigenze, avvertono pure i benefici immensi che traggono svolgendo la loro attività gli uni in collaborazione con gli altri; sorge così la società umana allo scopo di attuare il bene comune; di costituire cioè l’ambiente nel quale gli uomini possano vivere nella forma loro conveniente e sviluppare integralmente se stessi. La ragione d’essere della società umana, della politica, è quindi l’attuazione del bene comune.
Gli uomini sono inevitabilmente portati alla convivenza dalla loro stessa natura, intrinsecamente sociale. La loro umanità non è però il prodotto della società: non sono uomini in quanto membri della società; sono membri della società in quanto uomini: la socialità è una espressione della loro umanità e la società una sua attuazione.
Quindi nella società umana sono le parti che hanno, rispetto al tutto, una priorità esistenziale operativa e finalistica. Di conseguenza, la politica deve essere fondata sul bene inviolabile della persona umana, delle formazioni sociali, rispettando e garantendo ad ogni cultura la possibilità di esprimersi.[5]Di conseguenza i legislatori devono approvare leggi elettorali capaci di attribuire rappresentanza politica anche alle presenze culturali che non sono maggioritarie nel Paese
Legge elettorale e criterio democratico
Nel caso fosse negato all’elettore la possibilità di esprimere una preferenza nei confronti di candidati posti in lista, l’onere di sanare (quantomeno in parte) l’imperfezione va compiuto a monte del seggio elettorale, ovvero dai partiti. Che i partiti debbano agire attuando il metodo democratico lo ha stabilito la nostra Costituzione. Ho ripreso questo concetto il 12 gennaio scorso, (CLICCA QUI ). E’ un dato di fatto che i partiti odierni non rispettano tale metodo. Ciò accade senza che nessuno intervenga. Per questo in molti disertano il voto, abbandonano la politica e lasciano i partiti alla deriva di chi li occupa.
Considerato che chi conduce un partito può essere indotto a sfruttare la propria posizione per garantire sé stesso oppure altri, violando in tal modo il metodo democratico, la selezione dei candidati e l’approvazione delle liste dovrebbero essere decise dagli iscritti, non dai vertici di partito. Se i partiti sono grandi, queste decisioni possono essere attribuite ai rappresentanti degli iscritti al partito.
Sul punto dovrebbe intervenire il legislatore, imponendo: norme che ogni regolamento di partito dovrebbe contemplare; stabilire regole generali per le primarie.[6]
Le norme oggi in vigore, sancite dal Titolo II del Codice civile, non bastano. Bisogna evitare che i vertici di partito possano redigere regolamenti a proprio uso e consumo.
Chiedere al legislatore un intervento minimale di questo tipo non è lesivo dell’autonomia dei partiti. La legge deve vigilare affinché non si creino anche all’interno dei partiti oligarchie tali da compromettere la democrazia e il buon esito della gestione politica. Ricordo ancora quanto scrisse in proposito Piero Calamandrei:
“Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti in cui si formano i programmi e in cui scelgono gli uomini che poi vengono esteriormente eletti con sistemi democratici”. [7]
Se si fossero capite e attuate per tempo queste parole, la politica avrebbe avuto un corso decisamente migliore.
Quindi il legislatore dovrebbe imporre date certe per i congressi, limiti di mandato, codici deontologici, incompatibilità, in una parola deve vigilare affinché il criterio democratico sia salvaguardato.
Regolamento
Il regolamento di un partito deve essere approvato dagli iscritti al partito stesso riuniti in assemblea. Esso deve sancire l’incompatibilità fra gli incarichi di elevata responsabilità svolti all’interno del partito, e gli incarichi di rilievo svolti all’interno di una istituzione pubblica. Già rivestire un solo incarico impone tempo, assiduità, studio e presenza nel territorio, in definitiva esige tale impegno da non far pensare ad altro (ad es. è inconcepibile che un ministro degli esteri possa essere contemporaneamente anche leader di un partito. Abbiamo rilevato con sconcerto quanto sia stato problematico ed infine rovinoso l’esito del doppio incarico assunto da Di Maio).
I magistrati, anche emeriti, non dovrebbero fare politica. Si potrebbe consentire loro di accedere ad essa dopo vari anni in cui non esercitano più la propria professione. Dopo avere svolto un incarico pubblico di un certo rilievo, un ex magistrato non dovrebbe poter tornare in magistratura attiva.
In definitiva il regolamento deve garantire nel limite del possibile ad ogni iscritto, che il partito non potrà essere strumentalizzato da nessuno e che ogni apporto finalizzato al bene comune sarà valorizzato.
La gestione interna di ogni partito deve essere effettivamente democratica. I regolamenti di partito servono per attuare questo metodo.
Il Paese ha bisogno di un sistema proporzionale con sbarramento non superiore al 3%. Ogni legge elettorale deve consentire all’elettore la possibilità di esprimere una preferenza fra vari candidati posti in lista elettorale.
Se le leggi elettorali non attribuiscono all’elettore la facoltà di cui sopra, la selezione dei candidati deve essere compiuta a monte del seggio elettorale, ovvero a livello di partito, sempre attuando però il metodo democratico.
Le primarie possono essere un espediente per correggere un sistema elettorale imperfetto ma vanno attuate con massima cura e adeguati controlli in capo agli iscritti o a loro rappresentanti.
Affido questi contenuti anche al gruppo di lavoro che opera per disegnare la “forma del partito”, nella certezza che Politica Insieme saprà presentarsi assai presto innanzi al proprio elettorato, come concreta e democratica novità.
La Corte costituzionale offre dialogo
Ho letto con piacere il Comunicato della Corte Costituzionale, diffuso l’11 gennaio 2020, pubblicato con risalto il giorno successivo anche da Politica Insieme ( CLICCA QUI ). Con delibera 8 gennaio 2020 la Corte ha stabilito che qualsiasi formazione sociale senza scopo di lucro e qualunque soggetto istituzionale, se portatori di
interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione in discussione, potranno presentare brevi opinioni scritte per offrire alla Corte stessa elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso sottoposto al suo giudizio. La Consulta si apre così all’ascolto dei soggetti istituzionali, associazioni di categoria, organizzazioni non governative. Altra rilevante modifica approvata dalla Corte consiste nella previsione, nel nuovo articolo 14-bis delle Norme integrative, della possibilità di convocare esperti di chiara fama, qualora ritenga necessario acquisire informazioni su specifiche discipline. Inoltre, nei giudizi in via incidentale, proposti da un giudice nel corso di un giudizio civile, penale o amministrativo, potranno intervenire – oltre alle parti di quel giudizio e al Presidente del Consiglio dei ministri (e al Presidente della Giunta regionale, nel caso di legge regionale) – anche altri soggetti, sempre che siano titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato a quel giudizio.
Considerato l’invito al dialogo offerto dalla Corte, gli amici di Politica Insieme valutino se può essere utile promuovere una richiesta di chiarimento in merito al diritto di scelta sopra citato. Va sottolineato che l’art. 48 della Costituzione sancisce che Il voto è libero, nel senso più che evidente, che la volontà dell’elettore non può essere coartata.
Mario Rossi
Note
[1] In attesa del deposito della sentenza entro il 10 febbraio, l’Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che a conclusione della discussione la richiesta è stata dichiarata inammissibile per l’assorbente ragione dell’eccessiva manipolatività del quesito referendario nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero proprio nella parte che, secondo le intenzioni dei promotori, avrebbe consentito l’autoapplicatività della “normativa di risulta”. Preliminarmente, la Corte ha esaminato, sempre in camera di consiglio, il conflitto fra poteri proposto da cinque degli stessi Consigli regionali promotori e lo ha giudicato inammissibile perché, fra l’altro, la norma oggetto del conflitto avrebbe potuto essere contestata in via incidentale, come in effetti avvenuto nel giudizio di ammissibilità del referendum. (“Ansa” e “Rai News”, 16 gennaio 2020).
[2] “È una vergogna, è il vecchio sistema che si difende: Pd e 5stelle sono e restano attaccati alle poltrone. Ci dispiace che non si lasci decidere il popolo: così è il ritorno alla preistoria della peggiore politica italica!” (cfr. “Ansa”, 16 gennaio 2020).
[3] “Rai news”, 16 gennaio 2020.
[4] Costituzione della Repubblica Italiana, art. n. 49;
Codice civile Capo Libro I Titolo II.
[5] (Cfr. “Il Catechismo della Chiesa Cattolica”, Libreria editrice vaticana, Roma, 1993, da art. 1877 a 1927. “La Dottrina Sociale Cristiana”, Cenac, Roma,1957, pp. Da 43 a 50).
[6] Le elezioni primarie sono una competizione attraverso la quale gli iscritti o i militanti di un partito politico indicano mediante l’espressione di una preferenza chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione di una carica pubblica.
L’obiettivo delle elezioni primarie è la promozione della massima partecipazione degli elettori alla scelta dei candidati a cariche pubbliche, in contrapposizione al sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti.
In Toscana e in Calabria esistono due leggi, rispettivamente la legge regionale n. 70 del 17 dicembre 2004 e n. 25 del 17 agosto 2009, che consentono formalmente ai partiti di tenere elezioni primarie per la scelta dei candidati in ambito regionale e delle circoscrizioni locali. Le leggi disciplinano l’iscrizione dei candidati e presentazione delle liste elettorali, composizione e nomina del seggio, scelta delle sezioni di voto come insieme di quelle disponibili per le elezioni regionali e di circorscrizione vere e proprie. Gli elettori sono iscritti in tali liste, e sono ammessi al voto previa esibizione di un documento di identità e della tessera elettorale.
Mostacci Edmondo, “Le primarie negli Stati Uniti: partecipazione politica e ruolo dei partiti nelle elezioni presidenziali americane”. in Diritto pubblico comparato ed europeo, n. 2/2008, pag 675-690.
Bettinelli Ernesto, “Le Primarie: traccia per un percorso “virtuoso”, in “Elezioni primarie” (a cura di Silvio Gambino), Roma, 1997, pag. 33-43.
[7] Calamandrei Piero,“La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente, Discussione sul Progetto di Costituzione”, 4 marzo 1947.