Anche in sede di approvazione del nuovo “patto di stabilità,” a Bruxelles, ecco un paese che già non ci sta (l’Ungheria) e noi che nicchiamo chiedendo di ottenere più elasticità nei conti e più tempo per ridurre il debito.

Il superamento del vecchio patto (deficit inferiore al 3%, debito pubblico al 60% del PIL) era avvenuto durante la pandemia da Covid, quando tutti i paesi avevano dovuto fare debito per fare fronte alle esigenze sanitarie, economiche e sociali. Tanto per avere un’idea: prima del Covid erano solo Italia e Grecia ad avere un debito pubblico largamente superiore al PIL. Oggi sono una decina di paesi.

L’iniziativa per il nuovo patto l’aveva presa la Spagna: spesa corrente contenuta ma per alcuni capitoli trattamenti agevolati; debito pubblico da ridurre, ma spalmando i rientri in sette anni anziché quattro; sforamenti di fatto consentiti per mettere a terra i progetti finanziati con il PNRR.

Bene accolta dai francesi, la proposta di revisione spagnola ha trovato l’ostilità dei soliti paesi “frugali” (Austria, Olanda, ecc.) che ritengono le nuove soglie troppo morbide. Alla fine i tedeschi hanno proposto una possibile via di accordo: va bene allargare i tempi di rientro dal debito e va bene il tre per cento come tetto del deficit, ma in caso di crisi si dovrà scendere al due per cento.

L’Ungheria ha detto subito no e anche l’Italia minaccia di non firmare l’accordo. Prima di tutto non se ne parla di scendere al due per cento in caso di crisi; inoltre, il nostro Ministro dell’Economia insiste per scorporare dai limiti le spese per investimenti strutturali. Una posizione che sembrava già largamente condivisa nelle discussioni che hanno preceduto la revisione.

In sostanza, l’Italia chiede maggiore gradualità nella determinazione dei limiti e dei tempi e le ragioni sono semplici, non politiche ma pratiche. Giorgetti non vuole assumere impegni che sa di non poter mantenere. Come dargli torto?

Di fatto siamo ancora una volta isolati, tanto più che già lo eravamo essendo noi l’unico Paese che non ha ancora ratificato il MES, lo strumento finanziario già accolto da tutti i Paesi europei per affrontare eventuali crisi del debito.

Il rischio di tornare a una sorta di austerità non è voluto dal governo italiano: “piuttosto torniamo al vecchio patto di stabilità” ha detto il nostro ministro Giorgetti.

Resta da capire la sorte del PNRR con la massa di risorse finanziarie messe a disposizione ma del quale non si sa più nulla. Né si possono ignorare gli effetti dell’inflazione che continua a ridurre il potere di acquisto per tutti, con salari e stipendi fermi.

Vero è che gli istituti di rating ( Standard&Poor’s e altri) hanno mantenuto i giudizi sul nostro Paese, ma il recentissimo monito di Draghi sull’imminenza di una fase recessiva in tutta Europa aggiunge ben altri problemi a quello della revisione del patto di stabilità.

In sostanza: siamo ancora dentro la cronaca, quasi non ce ne fosse già abbastanza con le guerre, ma il tempo non favorisce certo il rinvio dei problemi.

Guido Puccio

 

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