L’ illusione che il leader carismatico possa rappresentare il punto di sintesi in cui prende forma l’ interesse generale della collettività, meglio di quanto non avvenga attraverso un libero confronto democratico e parlamentare, è dura a morire ed, infatti, ricompare ancora una volta nella storia del nostro Paese, quasi si trattasse di un fiume carsico che scorre perennemente nel sottosuolo ed, a tratti, torna ad affacciarsi in superficie.

L’affidarsi ad una istanza sovraordinata che, apparentemente, trascende le mille contraddizioni del vivere quotidiano sembra essere rassicurante, soprattutto in un momento storico come l’attuale. Sia pure a prezzo di una omologazione al pensiero prevalente. Il che esige il sacrificio della propria personale facoltà di giudizio. Questa, peraltro, costa il prezzo di una fatica cognitiva e psicologica non indifferente, alla quale molti, per la verità, sono contenti di potersi sottrarre. Questo è vero, soprattutto, in una società frammentata e scomposta come quella in cui viviamo, che, non a caso, spesso, non sapendo far di meglio, ci accontentiamo di definire complessa.

“Complessità”, infatti, è una di quelle parole diventate talmente di uso comune da non poterne più fare a meno, soprattutto perché, anche senza volerlo, le pronunciamo spesso come maschera della nostra sostanziale ignoranza.
Una parola – tra altre simili – a suo modo “magica”, nella misura in cui sembra voler dire tutto e poter dar conto di tutto, mentre, in effetti, non dice nulla, se non la si analizza, di volta in volta, nel contesto discorsivo in cui viene posta.

Applicata ai fenomeni sociali, dà l’idea di processi che si intrecciano e si condizionano l’un l’ altro fino a creare una matassa inestricabile di questioni che appaiono sostanzialmente ingovernabili, cosicché alla politica non resta che una possibilità marginale di incidere sul corso degli eventi.

Smarrita l’ illuministica fiducia nelle “magnifiche sorti e progressive” dell’ umanità, la credenza ingenua in un progresso illimitato che sta nell’ ordine naturale delle cose, la fede nella capacità della ragione di ordinare l’ intero spettro della realtà secondo un disegno prestabilito, è come se camminassimo verso un orizzonte avvolto in una nebbia indecifrabile, senza poter dirigere i nostri passi verso un approdo prestabilito e sicuro. Senonché, siamo fatti così: non possiamo fare a meno di comporre la pluralità di ciò che ci sta attorno in un quadro unitario che ci consenta, quanto più possibile, di attribuire un senso compiuto alla realtà del mondo ed agli accadimenti che attraversano la nostra vita personale e collettiva. Lo facciamo a costo di semplificare il tutto, a furia di potare e di togliere, accantonare i profili più articolati e sottili, cercando sì di cogliere ciò che è essenziale, ma, in qualche modo, disancorandolo dal contesto vivo dell’ insieme.

La “complessità” è una risorsa, un arricchimento, non una dissipazione e come tale dobbiamo imparare a governarla attraverso l’ esaltazione del valore della democrazia e della partecipazione, piuttosto che comprimendole.

Domenico Galbiati

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