Ogni giorno alle 18 o alle 18,30 sono sul sito della protezione civile a monitorare con apprensione l’andamento del bollettino.
Poiché non solo virologi, ma anche matematici sono al lavoro per scrutare attraverso i numeri l’andamento delle curve del contagio, mi ostino a sperare che in qualunque momento – anche oggi stesso – la nostra curva possa invertire la sua rotta, dandoci quel segnale liberatorio che tutti aspettiamo.
E mi viene in mente quel bellissimo racconto di Martin Buber in cui parla dello hassidim che si affaccia ogni giorno alla finestra per verificare se è proprio quello il giorno in cui arriverà il Messia. Perché in questi giorni particolari e preziosi tutti siamo colpiti con più nettezza da impressioni, emozioni, ricordi (e quindi anche ricordi letterari).
Immagino che da quel momento, come comunità nazionale, esprimeremo al meglio – ne sono certo – tutte le nostre straordinarie virtù.
Una cosa però mi preoccupa: che questo punto di svolta arrivi troppo tardi. E in particolare dopo che avremo avuto il tempo di esprimere, invece delle nostre virtù, i nostri vizi più tipici: scarso senso civico e debole capacità di resistenza, spirito di fazione, individualismo ostinato, anarchismo inconcludente, se non violento.
Ciò che invece non mi preoccupa affatto è che i vizi non degli italiani, ma i vizi della politica italiana (per quello che essa è oggi, in questa particolare fase della storia nazionale) possano – subito dopo l’emergenza – riprendere il sopravvento e gettare di nuovo la nostra comunità in quel clima desolato, esasperato, soffocante, di contrapposizione aspra e, al tempo stesso, priva di contenuti razionali che viviamo ormai dal 4 marzo 2018.
Dopo il corona virus tutto sarà diverso nella politica italiana. Personalmente ne sono convinto.
E invece osservo che molti appartenenti alla nostra classe politica puntano proprio su questa ipotesi: che presto tutto ricominci come prima.
E che anzi, qualcuno possa appuntarsi sul petto anche la agognata medaglietta: “abbiamo sconfitto il virus!”, la quarta piaga – dopo la corruzione, il numero eccessivo di parlamentari e i privilegi della politica – e “siamo quindi certificati definitivamente come idonei a debellare anche le rimanenti piaghe: disoccupazione giovanile, Sud, evasione fisale, ecc.”
Risponde, dall’altro lato della eterna trincea chi invece già assapora il momento in cui potrà gridare davanti a tutto il mondo: “Avete comunicato male! Peggio, avete fatto morire gente che poteva vivere! Avete dimostrato la vostra incapacità!”
Esagero? Come spiegare altrimenti le nette chiusure (da ambo i lati) ad ogni ipotesi di dare vita ad un vero e proprio governo di emergenza o governo di tregua?
Quali altri fatti si attendono per dimostrare che è opportuno, per la sicurezza di tutti noi, un rafforzamento dei nostri presidi di governo (sia tecnici, sia politici)?
Mi pongo questa domanda e rifletto: è vero che contro questa ipotesi lavora il sospetto (sempre da ambo i fronti) che questa proposta consista in un trappolone, più che in un vero governo di tregua. Nessuno si fida dell’altro, è evidente.
Ma – mi rispondo – come si fa a non considerare che siano i fatti stessi (quelli attuali e quelli futuri, altamente probabili) a garantire che non mancheranno nei prossimi mesi (ma forse anni) elementi tali di riflessione da rendere disinteressati gli italiani alle stucchevoli beghe fra i partiti?
Come si fa a non percepire questo dato che è nell’aria, molto più percepibile del micidiale virus?
Come si fa a non cogliere l’irrealtà della circostanza che, con tutte le cose che accadono sotto i nostri occhi in questi giorni, ci sia ancora ancora qualcuno che si diletta a produrre (e a leggere) sondaggi sulle previsioni di voto (mi arrivano sullo smartphone e non so come eliminarli)?
Insomma, oggi, in questi giorni eccezionali di sospensione e di attesa, chi dall’opposizione o dalla maggioranza investisse in una sincera ricerca delle vie per rafforzare la leadership in un momento di estrema difficoltà dell’intera comunità nazionale farebbe non solo un servizio ai cittadini, ma anche un ottimo investimento politico. Vedremo.
Enrico Seta