Per farsi deprimere dagli ultimi dati lstat sulla popolazione basta il buon senso. Se l’Italia invecchia, fa sempre meno figli e si permette perfino il lusso di rivendicare il lavoro per gli italiani, ci attende un destino inesorabilmente cupo. La domanda è: di che si tratta? Paura del futuro? Giovani poveri epoco incentivati a metter su famiglia? Mera secolarizzazione?

Leonardo Becchetti, che pure si definisce un economista cattolico (scrive regolarmente su Avvenire) sostiene che il problema sia più prosaico: l’era digitale ci sta spingendo a investire sempre meno tempo sulle relazioni affettive.

Becchetti, iniziamo dal problema più serio. Chi pagherà le nostre pensioni?

«La situazione è drammatica. Se al saldo netto fra vivi e morti aggiungiamo quelli che emigrano ogni anno perdiamo 125mila residenti. Di questo passo avremo una persona in età da lavoro per pensionato. In Germania, che ha un problema simile al nostro, si discute l’ipotesi di introdurre una tassa sulle transazioni finanziarie da destinare al sostegno della previdenza pubblica. Da noi si continua a far finta di nulla. Di più: si limita al minimo ?afflusso di stranieri in un Paese in cui al Nord – in piena occupazione – spesso manca la manodopera».

Di chi è la colpa? Di giovani smidollatio di uno Stato che non li aiuta per nulla? A vedere quel che accade in Francia si potrebbe dire che è più vera la seconda.

«Ha ragione chi propone di introdurre un assegno unico che in Francia funziona e ha contribuito a invertire il trend delle nascite. Quest’anno il governo ha messo in palio qualcosa, ma per avere una misura significativa occorrono dieci miliardi. Aggiungo che il tanto sbandierato reddito di cittadinanza tende a svantaggiare chi ha figli».

Proviamo a ribaltare il ragionamento: la società e la politica non potrebbero adattarsi ad avere meno famiglie di un tempo?Forse siamo semplicemente più liberi di scegliere?

«Per alcuni certamente lo è. Ma una ricerca della Fondazione Toniolo dice che la gran parte degli italiani desidera almeno due figli».

Dunque è un problema di reddito disponibile?

«In parte lo è, così come incide la mancanza di fiducia nel futuro. Eppure un tempo si costruivano famiglie numerose senza alcun bisogno di certezze. Intendiamoci: credo io stesso di vivere nel migliore dei mondi possibili. Ma come direbbe Vito Mancuso, siamo una macchina potentissima spesso senza volante né freni. Ai miei studenti spiego sempre che esistono tre tipi di libertà: la libertà di, la libertà per e la libertà da. Le persone oggi tendono a identificarsi con la prima, non è detto sia quella che ci rende più felici».

Sta diventando un discorso vagamente moralista

«Non sono d’accordo, sto parlando di tendenze della società. Gliela dico in termini economici: oggi le relazioni affettive sono considerate beni di consumo da rottamare, non invece un investimento. Da giovani i figli danno senso alla vita ma riducono la soddisfazione personale. Per questo occorre trovare un equilibrio fra tempi di vita e del lavoro, e nell’era dello smart working dovrebbe risultare più semplice. Gli studi dicono che con il passare degli anni la soddisfazione divita sale al crescere del numero dei figli».

E da cosa dipenderebbe questa tendenza?

«Le relazioni – insisto – richiedono un investimento. Siamo in un’era in cui gli stimoli costituiscono un ostacolo a
progetti duraturi. In altri termini: passiamo troppa parte della nostra vita on line, e ci dimentichiamo della dimensione offline».

Sta parlando da economista?

«Da economista e padre di una sedicenne».

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