Il Covid 19 ha messo in evidenza la fragilità del nostro vivere in collettività. Siamo di fronte ad una sfida inedita. Usciremo dalla crisi o migliori o peggiori, mai come prima.  Dobbiamo imparare la lezione di nuova socialità che la pandemia ci ha lasciato in eredità. Riflettiamo di nuovo sul bene comune, la dimensione sociale del bene morale, per la Dottrina sociale della Chiesa. Questo comporta che la persona possa realizzarlo e realizzarsi solo esistendo per gli altri e con gli altri. Esiste pertanto una responsabilità di tutti per il bene comune. Da qui l’importanza dei nostri comportamenti cooperativi e pro-sociali. Come ci troviamo, dopo la pandemia, da questo punto di vista? Come stanno le nostre comunità cooperanti? I dilemmi della vita in comune, l’evoluzione biologica e culturale, ci impongono di essere molto cooperativi. Questa è una grande sfida se vogliamo favorire una piena fioritura umana dopo due anni di distanziamento sociale. Il nostro comportamento è vacillante. Siamo un po’ homo homini lupus, come sosteneva Thomas Hobbes, un po’ homo homini natura amicus, come pensava il padre dell’economia civile Antonio Genovesi. Oscilliamo tra atteggiamenti di grande socialità   e comportamenti assai opportunistici. L’uomo è un essere relazionale e simbolico e non sfugge alle trappole della vita associata, data la sua complessità. Serve pertanto una formazione adeguata ai tempi. A questo provvedono, in parte, le scuole, i festival ed i numerosi convegni di economia civile, in crescita negli ultimi anni grazie a diversi economisti come Stefano Zamagni, Leonardo Becchetti, Luigino Bruni, Vittorio Pelligra, Benedetto Gui, Alessandra Smerilli ed altri. Nonostante questo inizio di cambio di paradigma, grandi sono le difficoltà nelle comunità, nelle associazioni, nelle famiglie, nei sindacati, nei partiti. Questi sono luoghi dove possiamo sperimentare una piena fioritura umana oppure divisioni, esclusioni, ostilità, che ci rendono infelici. Pertanto dobbiamo essere consapevoli delle sfide che ci attendono in questi decenni di transizione ecologica, digitale, antropologica. Possiamo vincere insieme, uniti nelle nostre diversità.

Espansione narcisistica del sé, individualismo della cultura dominante e trappole della vita in comune
Il Sessantotto ha determinato grandi innovazioni sociali accanto ad una diffusione progressiva di narcisismo, di individualismo, anche a causa della rivoluzione informatica e della affermazione di neoliberismo e globalizzazione sregolata. È andato in crisi l’equilibrio tra il noi e l’io con una forte accelerazione verso l’idolatria di quest’ultimo. ” Questa natura ontologicamente sociale ha un costo: ci rende fragili, vulnerabili, dipendenti…adottiamo raffinate strategie che vorrebbero immunizzarci dal rischio del contagio che l’altro rappresenta, ma che, in definitiva, limitando la nostra capacità di cooperazione, ci spingono verso quello che potremmo definire ” il lato oscuro” della nostra socialità.”  (V. Pelligra, Ipersociali, Ecra, Edizioni del credito cooperativo, Roma 2022, p. 93). La prima trappola è quella della divisione e della ostilità. Ragioniamo spesso con la logica noi- loro. Dobbiamo imparare a diffidare di chi alimenta il conflitto con la paura e lo stigma del diverso, di chi ci fa sentire minacciati alimentando la nostra insicurezza e l’odio sociale conseguente. Pertanto siamo chiamati a decostruire la retorica di chi vuole creare divisioni sul nulla, su insignificanti differenze, sul conflitto tra gruppi. Arrestiamo le manipolazioni. La seconda trappola è quella della segregazione per ragioni etniche, sociali, culturali. È dimostrato dalla realtà e da molti studi che la diversità non è un problema, anzi, se accolta con fraternità universale, è una ricchezza per la comunità. Fratelli tutti, dice papa Francesco. Occorre agire su inclusione e integrazione. Dobbiamo uscire dalla prigionia del nostro “io-noi” contro “loro”, per agire in cornici più inclusive per vedere l’altro da me un possibile collaboratore, mai un nemico. Basta con il ” cattivismo” di questi anni, che scoraggia l’impegno sociale e l’altruismo necessario per costruire il bene comune. Noi siamo ” cooperatori condizionali”. Siamo più disposti a cooperare se pensiamo che gli altri faranno lo stesso. Lo abbiamo visto bene in pandemia con buoni risultati. Dobbiamo rendere stabile e reciprocamente vantaggiosa la vita in comune. Sappiamo che punire i free rider favorisce la cooperazione ma, ancora di più, premiare i virtuosi. Una lezione importante ci è stata donata da Elinor Ostrom in occasione del conferimento del Premio Nobel nel 2009: ” La lezione più importante per le politiche pubbliche che posso trarre dal viaggio intellettuale che ho compiuto nella mia vita è che gli esseri umani hanno una struttura di motivazioni complessa e una maggiore capacità di risolvere dilemmi sociali di quanto sostenga la teoria della scelta razionale.  Progettare istituzioni capaci di forzare o indirizzare individui puramente autointeressati verso l’ottenimento di esiti ottimali è stata la preoccupazione degli analisti politici e dei governi per gran parte del secolo scorso. Le mie ricerche mi hanno portato a pensare, piuttosto, che l’obiettivo principale delle politiche pubbliche debba essere quello di sviluppare istituzioni capaci di far venir fuori la parte migliore di ogni essere umano. Dobbiamo chiederci allora quali siano le istituzioni  che aiutano o ostacolano l’ apprendimento,  l’evoluzione, l’affidabilità,  i livelli di cooperazione  e in definitiva, il raggiungimento  di risultati più  efficaci,  sostenibili e giusti“.
Questo il nostro programma come attori sociali e cittadini attivi  per il bene comune nei prossimi anni, per una nuova fioritura umana nel XXI secolo, oltre l’ infelicità  pubblica e personale nella vita in comune dopo la pandemia e la guerra novecentesca in Ucraina.

Silvio Minnetti
Movimento politico per l’unità- Movimento dei Focolari

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