“Berlusconi, è un gigante tra personalità insignificanti”. Questa frase, attribuita alla fidanzata del fondatore del centrodestra, la dice lunga su come si sia veramente concluso il vertice della coalizione che si dice maggioritaria in Parlamento e nel Paese e che, su queste basi, continua a presentarsi come un qualcosa di coeso e in grado d’imporre un proprio rappresentante al Quirinale.

Una volta appurato che tanti erano gli ostacoli frapposti sulla strada della sua candidatura, da parte dei suoi stessi alleati, c’è da chiedersi se Berlusconi intenda liberarsi dei tanti lacci e lacciuoli che Lega e Fratelli d’Italia gli hanno da tempo gettato tra i piedi. Potrebbe farlo pensare il documento fatto leggere agli alleati e talune chiose aggiunte dai suoi fidati. Così come l’ostentata mancata partecipazione all’incontro del centrodestra cui si è aggiunta la comunicazione sul ricovero in ospedale, da interpretare come “non cercatemi”? Evidente l’intenzione di Silvio Berlusconi di giocarsi la partita in proprio, e forse persino da solo, forte com’è di un notevole numero di parlamentari, 129 di cui 79 alla Camera e 50 al Senato; inferiore, sì, a quello dei 197 leghisti, ma nettamente più corposo dei soli 58 Fratelli d’Italia.

Insistendo per Draghi a Palazzo Chigi, senza però modificare la composizione del Governo, egli si discosta sia da Giorgia Meloni, sia da Matteo Salvini. Alla prima dice che si può scordare le elezioni anticipate; al secondo sbarra la strada per un eventuale suo personale reingresso nell’Esecutivo.

C’è da vedere in tutto questo la conferma di due cose su cui abbiamo insistito da tempo. La prima: la coalizione del centrodestra è divenuta sempre più una finzione propagandistica. Figlia di quella sciagurata stagione del bipolarismo tra i cui papà splende proprio la figura di Silvio Berlusconi il quale, da tempo, ne paga le conseguenze. Progressivamente, egli è stato fatto scendere dallo scanno di quella leadership che i suoi più giovani alleati non gli riconoscono da un pezzo. La seconda, e cosa più rilevante: Berlusconi è l’unico dei tre a riferirsi ai valori del liberalismo e dell’europeismo. Ma senza che questo significasse lavorare per far spuntare un’area diversa e distinta fatta di un centrodestra ragionevole e realista con una propria caratura ben definita e lasciando che Salvini e la Meloni s’impantanassero ancora di più in nella deriva sovranista sconfitta in Europa e negli Stati Uniti.

Noi italiani tendiamo sempre a perdere di vista la dimensione internazionale da cui dipendono anche le nostre questioni domestiche. Siamo l’unico importante paese europeo per il quale l’Amministrazione Biden, ad un anno dal proprio insediamento, non ha ancora pensato ad inviare il nuovo ambasciatore. Pesa il fatto che il Segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, non abbia ritenuto necessario far partecipare anche l’Italia al vertice sulla crisi ucraina della scorsa settimana a Berlino, con Germania, Regno Unito e Francia. Italia troppo lontana dall’epicentro delle crisi. Forse ci prendiamo il lusso di pensarlo noi, giacché la Russia, proprio in vista di un potenziale conflitto, sta rafforzandosi nel Mediterraneo. Quel che appare come un’esclusione dell’Italia dalle dinamiche che contano è probabilmente in cima ai pensieri di Mario Draghi, mentre gli attuali capo – partito non sembrano curarsene più di tanto.

La scelta del Presidente della Repubblica, insieme a tutti quelli che giustamente ci segnala Alessandro Diotallevi (CLICCA QUI) sarà giocata anche sotto questo profilo. A maggior ragione nel momento in cui la geopolitica amplifica le tensioni fino a portarci in prossimità di un conflitto armato che riguarda, evidentemente, i difficili rapporti tra Ucraina e Russia, ma finisce per riproporre una divisione del mondo. Non più di natura ideologica, ma non per questo meno gravida di potenziali terribili conseguenze.

Pd e 5 Stelle, similmente a quanto avviene tra i loro competitori, dimostrano a loro volta di non avere idea sul da farsi; per tanti motivi, anche per quelli afferenti le loro complesse e non chiarite relazioni. Si limitano a chiedere un generico tavolo cui far sedere intorno tutti i partiti. Impossibilitati a fare una scelta definitiva da proporre, si limitano a parlare accoratamente da giorni, da troppi giorni, di personaggi di “alto profilo” e “specchiata moralità”. In particolare, appaiono divisi dal possibile, cruciale passaggio di Mario Draghi al Quirinale. Ipotesi attorno cui emerge l’esistenza delle analoghe e speculari divisioni della destra.

Il toto nomi di questi giorni ha un che di kafkiano. Per alcuni versi disdicevole, perché finisce per danneggiare molte delle persone gettate nella mischia;  e patetico, perché si tratta d’indicazioni spesso diffuse a casaccio e mirando ad altro. Ci conferma solamente le condizioni in cui è stata ridotta la politica italiana e quelle di un sistema informativo che non riesce proprio a farsi strumento di stimolo costruttivo.

In questi giorni sono emerse le tante opposizioni esistenti nei confronti di Mario Draghi. Non solo quelle che vengono dalla politica. Basta guardare il numero appena uscito del The Economist che giudica il “tentativo” di Draghi di diventare Presidente un “male” per l’Italia e per l’Europa.

Si deve dunque sperare che la scelta sul Quirinale non finisca per aggravare la situazione politico parlamentare di una legislatura, magari destinata comunque a durare forzatamente fino alla scadenza prevista, già figlia dell’incertezza e delle tante ambiguità con cui è nata. Tra poco saremo ai quattro anni dal 4 marzo del 2018 e niente è stato fatto per intervenire davvero sulle cause del disagio in cui è piombata l’Italia da troppo tempo. Veramente possiamo dire che, a parte Sergio Mattarella, non se ne salva uno!

Giancarlo Infante

 

 

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