Nessun processo che riguarda stati e popoli è mai indolore. Quelli conseguenti alla Brexit, a seguito della decisione del governo conservatore di Boris Johnson di far abbandonare l’Europa dal Regno Unito, già emergono. L’industria alimentare britannica già lamenta perdite per miliardi di sterline per le diminuite esportazioni verso la Ue.

Scozzesi e nord irlandesi continuano a mostrare contrarietà con la decisione inglese di uscire dall’Europa, a conferma del voto espresso in occasione del referendum che fece registrare uno stretto margine a favore dell’uscita 51,9 contro il 48,1 ( CLICCA QUI ). In quella occasione, la Scozia voto nettamente a favore del “remain” con  62 votanti su 100 che si dissero convinti della necessità di restare europei. Nell’Irlanda del nord  finì 55,8 per gli europeisti, 44,2 per gli altri.

Adesso si prospetta la possibilità che la Scozia torni al referendum perché in tal senso si fa sempre più forte la richiesta anche da parte del governo locale, al punto che  il Ministro Michael Gove ha dichiarato che si potrebbe tornare alle urne se la maggioranza degli scozzesi lo vorrà ( CLICCA QUI ).

Intanto, un recente sondaggio tra gli elettori dell’Irlanda del Nord rivela che anche loro vorrebbero un nuovo referendum, anche se solo il 37% vuole che avvenga entro i prossimi cinque anni ( CLICCA QUI ).

Quando gli è stato chiesto di indicare come voterebbero, il 49% ha dichiarato che sarebbe contrario a rimanere nel Regno Unito, mentre il 42% ha sostenuto di voler far parte di un’Irlanda unita.

Sotto il profilo costituzionale, a seguito degli accordi del 1998 sull’Ulster, secondo molti esperti costituzionalisti un referendum potrebbe essere convocato in qualsiasi momento se risultasse che “la maggioranza dei votanti esprimerebbe il desiderio che l’Irlanda del Nord cessi di restare nel Regno Unito ed entrare a far parte di una Irlanda riunita.

 

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