Sono passati alcuni giorni dalla storica vittoria dei conservatori di Boris Jonson e penso si possa quindi parlare con animo più sereno di quanto accaduto. Trovo poco interessante la discussione smaccatamente politica sviluppatasi oltremanica sulle responsabilità dell’accaduto: colpa di Corbyn, colpa dell’ignoranza e della paura, dell’interferenza russa o di chissà cos’altro. Se possibile in Italia siamo riusciti a fare di peggio, trasformando il dato elettorale di uno stato estero in una questione di tifo da stadio: Salviniani e meloniani hanno colto la questione come una loro vittoria e non hanno perso tempo a esultare in faccia, sui vari social, a dem e grillini: neanche fossimo allo stadio.

Molti opinionisti nostrani hanno provato a elevarsi da cotanta bassezza finendo però per concentrarsi sull’ipotizzare se fossimo in presenza del colpo di coda del populismo o discussioni simili.

A mio modesto avviso si possono, da italiani, fare due riflessioni.

La prima e più banale riguarda l’informazione nostrana che per anni ci ha spiegato come il popolo inglese in realtà non volesse la Brexit, come l’esito del referendum di 3 anni fa fosse figlio del caso e quindi che Jonson e i Brexiter sarebbero stati sconfitti. Ovviamente tutto ciò è stato smentito esattamente come avvenuto in occasione delle presidenziali americane e ciò ha servito l’ennesimo assist al web: Meme divertenti a iosa e l’ennesima dimostrazione che i cosiddetti “media mainstream” sono affidabili nelle interpretazioni quanto la cara vecchia “Pravda”.

Chiusa la parentesi sul tema della comunicazione vorrei invece soffermarmi sul dato geopolitico e geo economico.

Il popolo inglese, per nulla pentito delle scelte referendarie, ha deciso di salutare l’esperienza europea percepita come un insieme di vincoli burocratici, di limitazioni di sovranità e di ingressi incontrollati di forza lavoro concorrenziale. Con queste elezioni il Regno Unito, lungi dall’aver fatto una scelta “di pancia”, un azzardo populista, ha lucidamente stabilito che l’Europa e, a maggior ragione, l’Unione Europea sono una regione esausta, senza prospettive, senza un indirizzo e incapace di offrire garanzie. Conseguentemente per i britannici è stato logico distaccarsi da questo progetto e iniziare a ipotizzare un futuro geopolitico di relazioni sempre più strette con gli USA e con tutto il sistema degli stati del Commonwealth e delle varie ex-colonie.

Indubbiamente la scelta geopolitica della classe dirigente inglese è stata netta, abbastanza chiara e drastica ma nessuno, e ribadisco, nessuno ne ha scritto sui nostri giornali o ne ha parlato nei nostri telegiornali. A sollevare la questione non sono servite nemmeno le dichiarazioni di Trump all’indomani del voto britannico: rapporto bilaterale privilegiato in nome degli affari e delle storiche buone relazioni. Il mondo anglofono ancora una volta si sgancia dalle vicende continentali e si compatta nella sua specificità, del resto ha buon gioco nel farlo. L’Inghilterra è infatti complementare al suo ex impero coloniale ed è funzionale ai piani espansivi statunitensi poiché da anni ha riorientato l’economia in funzione del settore dei servizi finanziari rinunciando alle realtà industriali manifatturiere. Ecco quindi che quest’importante piazza finanziaria ben si trova nell’essere al centro di un sistema di stati orientati invece alle attività estrattive (Sud Africa, Australia) o produttive (India) ricevendo da questi le risorse e i beni che le servono e, in cambio, occupandosi della parte finanziaria di tutto il sistema. L’impostazione britannica la pone anche come l’interlocutore ideale per gli USA di Trump che in un colpo solo ottengono nuovi spazi per l’export, rinsaldano i legami con i britannici opzionando il futuro del controllo del “GIUK GAP” (la via d’accesso obbligata all’atlantico per la Russia).

Nessun cataclisma si è quindi abbattuto oltre manica semplicemente si è trattato di un riposizionamento ponderato: potrà pagare o essere uno sbaglio nel lungo periodo ma di sicuro non si tratta di una scelta irrazionale e questo ce lo dovrebbero confermare i mercati e il mondo della finanza: nessun fuggi-fuggi generale, nessun crollo dei mercati ma, al contrario movimenti di borsa favorevoli all’indomani dell’annuncio dei risultati elettorali. Gli investitori sapevano benissimo che dietro a personaggi particolari,  se vogliamo anche pittoreschi, come Boris Jonson o Farage si celava in realtà una solida base dirigente che si è interfacciata al popolo tramite il filtro dei politici brexiters  che hanno saputo intercettare il consenso popolare rendendo possibile il clamoroso cambio di rotta del Regno Unito. Oggi più che mai “C’è nebbia sulla manica e il continente è isolato”.

Mattia Molteni

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