Ha ragione Padre Sorge quando richiama la corrispondenza che corre tra Carta Costituzionale – in modo particolare, i “Principi Fondamentali” ricompresi nei primi 12 articoli – e Dottrina Sociale della Chiesa. E’ un dato ricorso più volte nelle riflessioni e nelle note che ci siamo scambiati, da un anno e mezzo a questa parte, nella fase fondativa di “Politica Insieme” ed a cui teniamo molto per almeno tre motivi.
Anzitutto, se guardiamo alla stagione costituente, dimostra la straordinaria fecondità storica della cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare.
Ne attesta, altresì, la capacità di non arroccarsi in un supponente atteggiamento autoreferenziale, bensì di aprirsi ad una forma di dialogo che incrocia e feconda culture di altro segno e da esse, a sua volta, sa apprendere suggestioni e spunti su cui riflettere e persino da ricollocare anche entro il proprio patrimonio ideale.
Ci chiediamo sommessamente se i La Pira, i Moro, i Dossetti, i Lazzati e gli altri eminenti costituenti cattolici avrebbero potuto talmente incidere nella elaborazione della Carta se ciascuno singolarmente avesse concorso alla “buona politica” altrui, anziché esprimere collegialmente un indirizzo di pensiero comune, attestandone, in virtù della rappresentanza che incarnavano, l’effettivo radicamento popolare.
La redazione della Carta Costituzionale non è stata una elegante ed accademica esercitazione di cultura giuridica, né una tenzone tra diverse scuole di pensiero che, più o meno graziosamente, hanno incrociato le lame affilate dei loro più eminenti intellettuali, ma piuttosto, a tutti gli effetti, un appassionato, esplicito, franco ed a tratti duro confronto politico.
In secondo luogo, la corrispondenza tra Costituzione e Dottrina Sociale della Chiesa attesta come sia schiettamente possibile dar conto, non solo in termini di sincera aspirazione, ma di effettivo esercizio, di quella “laicita” dell’impegno politico dei credenti che abbiamo appreso da Sturzo e rappresenta un valore – a maggior ragione ribadito dal Concilio – perenne, capace, cioè, di trascendere le singole e particolari contingenza storiche.
In terzo luogo, è di straordinaria importanza in quanto assolutamente attuale; se possibile, oggi addirittura dirimente circa la possibilità di osare oggi, con il necessario equipaggiamento culturale, politico, morale ed ideale, il nostro cammino in territori inesplorati che si profilano davanti a noi e di cui intuiamo, ad un tempo, quanto siano insidiosi eppure promettenti.
Potremmo dire le “periferie” non di alcuni, dei pochi o sia pure dei molti, ma più semplicemente quelle della nostra comune umanità.
E’ vero – e lo osserva anche Padre Sorge – che populismo, sovranismo, nazionalismo oscurano e addirittura, in qualche misura, fin d’ora compromettono l’orizzonte cui dobbiamo tendere, ma non possiamo forse combatterli anzitutto evocando, quasi profeticamente, una nuova speranza?
Non si tratta di cadere in una qualche sterile, declamatoria ed inefficace forma di utopia, ma – anziché intristirci in una guerra di posizione che, limitandosi a ribattere punto su punto le sue posizioni, di fatto lascia ad una destra becera la regia del contesto tematico in cui ci dibattiamo – di alzare lo sguardo verso prospettive che, ove non sapessimo anticiparne almeno le principali sembianze, ci piomberebbero addosso del tutto inavvertitamente.
Se fossimo capaci almeno di abbozzare risposte organiche, credibili, politicamente efficaci al tema ambientale, al fenomeno delle migrazioni, alle tensioni etiche dello sviluppo scientifico e tecnologico, alla pervasivita’ incontrollata della comunicazione, al dramma delle abissali ingiustizie sociali, alle tematiche di un nuovo modello di sviluppo, alle sfide della geo-politica del mondo globale, il sovranismo sarebbe semplicemente sepolto nel ridicolo.
Invece, siamo qui costretti a parlarne e Salvini ci detta i tempi della danza.
In questa ottica, non è forse vero che anche la disputa “partito si’” o “partito no” acquisisce un profilo di tutt’altro genere? Del resto, nel quadro di un pluralismo dell’indirizzo politico dei cattolici acquisito, indiscusso e tale da giustificare, a sua volta, senza scandalizzare nessuno, anche quella pluralità delle modalità di presenza sul piano civile che noi rivendichiamo quando poniamo il tema di un nuovo soggetto politico di ispirazione cristiana.
Perche’ di questo si tratta, come abbiamo piu’ volte ribadito e, cioe’, di tutt’altra cosa dal “partito cristiano” o “cattolico” che sia, cui sembra ancora riferirsi Padre Sorge.
Con lui conveniamo circa la scomparsa delle grandi, ottocentesche “ideologie di massa”, ma non è chi non veda che altre ideologie bussano alla porta o addirittura già si stanno radicando nel nostro contesto civile.
Ed è anche da qui che trae motivo e forza la tesi di un nuovo impegno politico dei cattolici che sono spesso venuti meno, purtroppo e va riconosciuto, ai loro valori ed ai loro principi, ma mai hanno commesso l’errore di coniugarli in chiave ideologica, come se esistesse una formula che esaurisce in se’ il senso della storia come gli”ideologi” di ogni risma ritengono.
Anzi, ai credenti spetta, al contrario, il compito di mostrare, anche sul piano politico, come sia appunto il fatto cristiano ad essere, in sé, sempre portatore di uno spirito inesausto di novità e di ricchezza incomparabile e sorprendente.
Ci arrendiamo volentieri a Padre Sorge laddove evoca come incomparabili le figure di Alcide De Gasperi e di Aldo Moro. A fronte di questi giganti, possiamo solo sforzarci di essere almeno uomini di buona volontà, sapendo che si tratta, peraltro, di un presupposto necessario che non ci dispensa dall’assunzione di una precisa e personale responsabilità
politica.
Domenico Galbiati

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