Le trasformazioni del sistema politico presentano una duplice caratteristica: la soggezione agli imperativi della comunicazione e la cancellazione della presenza e della stessa “citazione” del mondo cattolico, confinato così a formazioni marginali, prive di visibilità e dunque di attrattività nazionale.

È un tema rilevante del caso italiano per verificare l’impatto della secolarizzazione sul cambiamento culturale del Paese, segnato da un lavaggio delle menti senza precedenti. Su questi temi si sta sviluppando anche in Italia una significativa letteratura scientifica, che presenta qualche accento di una ruvida chiarezza in particolare nel pensiero conservatore; ma almeno si accende un dibattito che questa rivista non ha mai trascurato.

L’elemento-chiave per arrivare rapidamente a verità storiche (che l’autoreferenzialità della politica non gradisce) è la rottamazione di troppe identità culturali e valoriali anche a opera del sistema maggioritario. Intanto ha cancellato il
centro, esasperando una polarizzazione che ha prodotto soltanto terremoti elettorali, con plebisciti a ripetizione ma sempre orientati su leader diversi.

È successo spesso anche in occasione delle elezioni europee, dove pure il voto è ispirato al proporzionalismo; ma il clima mediatico è così appiattito sul leaderismo da far percepire come maggioritario anche l’appuntamento con l’Europa. È innegabile che siamo di fronte, almeno formalmente, a un’espressa scelta degli elettori; essa però risponde alla struttura della domanda. Come logica conseguenza, il maggioritario ha soprattutto dopato l’astensionismo. Eppure la propaganda di questo metodo elettorale aveva promesso una stabilizzazione della governance e invece, per anni, ha prodotto solo una sorta di voto di vendetta rispetto all’investimento nel turno
precedente. È ormai evidente che la durata non ha mai superato la singola legislatura. Non a caso, lo stringente dibattito degli ultimi mesi si è concentrato prima sull’impatto dell’incertezza, precisato poi sulla perdita di fiducia nei confronti della politica e conseguentemente del voto.

Ecco spiegata l’attenzione che il titolo promette sulla presenza e diffusione di iniziative di movimenti cattolici spostate ormai sul terreno sociale e comunitario, più interessate dunque alla dimensione civica che a quella tradizionale. Chi ha avuto attenzione a questa non irrilevante rivoluzione civile sa quanto questi movimenti sono felicemente diversi tra loro, coinvolgendo anche vere e proprie imprese sociali economicamente rilevanti e comunque ispirate all’idea dell’aiuto e della solidarietà.

Una coincidenza aiuta a capire il nuovo: il fenomeno coincide con un calo della partecipazione al volontariato segnalato dal Rapporto Censis. Integriamo ora la mappa dei motivi alla base del reimpegno; in tempi passati, quando la Chiesa godeva di un suffragio universale si indirizzava su contenitori come scuola e lavoro. Oggi le ragioni sono meno legate ai ruoli quanto al bisogno di testimonianza: la delusione per cambiamenti spesso rinviati spinge a ideali distintivi, nella percezione che la scelta cattolica è di minoranza, e sollecita un rapporto più avanzato tra dichiarazioni, afferenza e scelta dell’azione. Si rianima così quel deserto tra istituzioni, partiti e persone. La scoperta
che senza reti non esisti comporta un’impostazione impegnativa della vita, non esauribile dalla pratica religiosa.

Siamo di fronte a una dinamica assolutamente nuova che riconosce superiorità alla persona e alla società, intese come spazio naturale di impegno rispetto al trionfalismo muscolare della politica. E non è un caso che questa realtà non risulti appetibile al sistema informativo, con eccezione per i media cattolici, ma occorre verificare anche le voci del Terzo settore e del volontariato, ovviamente non solo confessionali. C‘è da dire che non mancano anche forme associative quasi di clausura, autogratificate dal proprio hortus conclusus; ma prevalgono nettamente le scelte di apertura, anche nella modalità delle Reti, per avviare la ricomposizione di un’area sempre più sorprendente che va dal civismo al recupero di un’idea del centro non inteso come spazio mobile, ma quale ancoraggio rispetto ai troppi estremismi e clamori che si moltiplicano nella scena della comunicazione.

Potremmo dire che qui si riconosce un lascito concreto di un potente slogan di Don Milani e della sua Scuola: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Uscirne da soli è l’avarizia; uscirne insieme è la politica”. I territori di investimento di tempo, energie e capacità di aiuto sono i più vari e attendono di essere meglio scrutinati e ordinati. Eppure è un passaggio interessante del cambiamento culturale che merita una cartografia adeguata che riconosca finalmente la forza del bisogno di coesione e di uno spazio pubblico ignoto alle arene dei media. È anche
un modo per ricostruire quei corpi intermedi sulla cui decisività ha sempre insistito Giuseppe De Rita.

Mario Morcellini

Pubblicato su Formiche

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