Alla fine l’ordine della Corte internazionale di Giustizia è arrivato con una certa irritazione da parte dei giudici del Tribunale dell’Onu. Israele deve immediatamente fermare l’offensiva militare nella città di Rafah, nel sud di Gaza. La Corte, a netta maggioranza, ha deliberato sulla vicenda esplosa con l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 cui è seguito un lungo e massiccio intervento contro i civili palestinesi di Gaza. Finora, c’è da registrare la pressoché totale distruzione delle abitazioni nella Striscia, quasi 36 mila morti ed un ben più ampio numero di feriti e sfollati.

Israele ha reagito dicendo che non eseguirà l’ordine emesso dai giudici. Il Ministro per la Sicurezza nazionale di Israele, Itamar Ben Gvir, ha definito il Tribunale internazionale  “antisemita” cui di seve rispondere con l’occupazione di Rafah e continuare l’attacco ad Hamas fino alla vittoria finale.

Il Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, invece, ha ricordato che le decisioni della Corte dell’Aia sono “vincolanti”.

Su Netanyahu e il suo Ministro della Difesa è anche pendente la richiesta del Procuratore della Corte Penale Internazionale di un mandato d’arresto, così come per tre alti esponenti di Hamas. Tutti accusati di crimini di guerra. La differenza tra le due istituzioni giudiziarie internazionali sta nel fatto che quella di Giustizia interviene sugli stati, mentre quella Penale persegue singole persone.

La Corte Internazionale di Giustizia è giunta alla propria decisione facendo riferimento agli “obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio” e ordina alle autorità d’Israele di fermare immediatamente “la sua offensiva militare e qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah, che possa infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita che potrebbero portare alla sua distruzione fisica. In tutto o in parte”.

La sentenza di ieri si inserisce all’interno del caso aperto dal Sudafrica nel dicembre scorso con l’accusa di genocidio rivolta nei confronti di Israele di genocidio. Con un suo primo intervento, alla fine di gennaio, la Corte aveva ordinato a Israele di fare di più per prevenire atti di genocidio, ma senza esprimersi per un cessate il fuoco.

I due Tribunali internazionali non hanno strumenti in grado di  far rispettare le proprie sentenze, ma è evidente che aumentano la pressione internazionale su Israele e sui suoi alleati che si stanno riducendo sempre di più. Rendendo, tra l’altro, molto rischioso il sostegno in armamenti di cui Israele ha comunque bisogno, soprattutto se la guerra dovesse proseguire a lungo. Adesso Israele deve valutare quanto può permettersi un isolamento internazionale che sta diventando sempre più significativo come dimostra il numero di paesi, anche alcuni occidentali, che hanno ridotto o del tutto tagliato le relazioni diplomatiche con lo Stato Ebraico. E senza considerare come le opinioni pubbliche, in alcuni casi in contrasto con la posizione dei loro governi, in tutto il mondo si stanno mobilitando non perché sono animate da antisemitismo, ma da un naturale senso di sgomento provocato dalle immagini che giungono da troppi mesi da Gaza.

 

 

 

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