1. L’11 gennaio le agenzie di stampa ( CLICCA QUI ) hanno dato notizia della redazione da parte del ministero della Salute della bozza di un nuovo piano anti-pandemico ( CLICCA QUI ): l’ultimo era aggiornato alla data “preistorica” del febbraio 2006. Il documento ha 140 pagine, in “burocratese” più che nel linguaggio del diritto o della scienza e oltre a indicare le modalità operative da adottare in caso di nuova pandemia, si pronuncia sui criteri etici da seguire: nulla di strano, poiché – come giustamente si legge nel documento – “i principi di etica sono alla base della visione e della pianificazione” (pag. 25).

Tuttavia poche righe dopo si aggiunge che “durante situazioni di crisi, i valori etici fondamentali consentono alcune azioni che non sarebbero accettabili in circostanze ordinarie. Ciò non significa, però, modificare i principi di riferimento: occorre, invece, bilanciarli in modo diverso. In condizioni di crisi cambiano le situazioni, non gli standard di etica. Per esempio, lo squilibrio tra necessità e risorse disponibili può rendere necessario adottare criteri per il triage nell’accesso alle terapie. Gli operatori sanitari sono sempre obbligati, anche durante la crisi, a fornire le cure migliori, più appropriate, ragionevolmente possibili. Tuttavia, quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alle necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio” (id. pag. 25).

La bozza ripropone il tema non nuovo della allocazione efficiente delle scarse risorse sanitarie in caso di crisi ( CLICCA QUI ) [1], come già accaduto nella primavera del 2020 nella fase acuta della cosiddetta “prima ondata”. Se allora una simile prospettiva, avallata dalla SIAARTI, fu adottata per far fronte all’improvvisa situazione creata nelle convulse giornate di quel periodo, qui la scelta sembra programmatica e assunta freddamente; e pe questo è ben più problematica.

2. Come Centro Studi Livatino abbiamo seguito i principali provvedimenti adottati durante la pandemia[2] e, a proposito del documento SIAARTI, abbiamo espresso le perplessità nascenti da una simile scelta ( CLICCA QUI ), sostanzialmente autorizzatoria del “preventivo abbandono in attesa di pazienti più meritevoli”. Manifestiamo analoghe riserve per la riproposizione dell’impostazione, proprio perché la bozza non è ancora ufficiale, e quindi in tesi tollererebbe rettifiche.

2a. Ritenere che le pressioni generate dalle crisi modifichino i principi etici – e quindi quelli  giuridici – di riferimento, significa optare per uno strabismo concettuale: se una azione deve considerarsi conforme a un principio morale – e, per l’effetto, a una regola giuridica – non può da esso discostarsi o modificarsi al punto da giungere alla sua violazione e negazione, sulla base di circostanze di volta in volta variabili. Non è etica l’etica situazionista.

2b. Dire che “i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio”, non chiarisce quali siano i principi di etica di riferimento – etica personalista, etica clinica, etica utilitarista? -, né chi li abbia scelti, né sulla base di quali parametri.

2c. Non si comprende perché l’accesso preferenziale alle cure per chi ne tragga maggiori probabilità di beneficio sia opzione “più etica” dell’estensione dell’accesso a coloro che ne possono trarre minore vantaggio.

2d. Se la bozza del nuovo piano anti-pandemico diventasse definitiva con tale formulazione, è probabile che anziani, disabili, malati cronici sarebbero esclusi in caso di nuovo rischio virale globale in esplicita violazione degli art. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, il cui combinato disposto assicura a tutti una tutela senza discriminazione del diritto alla vita, alla salute e all’autodeterminazione terapeutica[3].

Si introdurrebbe una forma di selezione eugenetica negativa preventiva che escluderebbe dal sistema di assistenza sanitaria pubblica i più fragili a causa della loro stessa fragilità, in violazione del buon senso, della deontologia medica, dei principi dello Stato di diritto, nonché di numerose disposizioni internazionali che esplicitamente o implicitamente vietano il ricorso a pratiche eugenetiche: si richiamano in proposito l’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea[4], l’art. 11 della Convenzione di Oviedo[5], e l’art. 14 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, nella misura in cui vieta la discriminazione in base a qualunque altra condizione rispetto a quelle espressamente elencate[6].

3. Il Comitato Nazionale per la Bioetica si è già da tempo espresso contro tale prospettiva, e ha ribadito che il criterio clinico è l’unico eticamente accettabile in quanto “il più adeguato punto di riferimento, ritenendo ogni altro criterio di selezione, quale ad esempio l’età, il sesso, la condizione e il ruolo sociale, l’appartenenza etnica, la disabilità, la responsabilità rispetto a comportamenti che hanno indotto la patologia, i costi, eticamente inaccettabile[7].

In un successivo documento lo stesso CNB ha evidenziato la necessità etica e giuridica di una maggior tutela per gli anziani – insieme ai disabili, ai minori, alle altre categorie di pazienti non-Covid – come categoria più fragile[8]: “Fra i gruppi con particolari vulnerabilità citati, una considerazione speciale va riservata agli anziani e alle anziane, in primo luogo perché hanno pagato e stanno ancora pagando il prezzo più alto in vite umane. Ciò è vero soprattutto per quelli confinati nelle RSA, i più fragili: il fatto di essere ricoverati in istituzioni sociosanitarie, senza occasioni di uscita, da fattore di potenziale protezione si è trasformato in ulteriore pericolo. Hanno cioè pagato prima e più di altri il prezzo dell’impreparazione generale del sistema sanitario nell’individuare le filiere del contagio, nell’informare correttamente gli addetti all’assistenza sulle misure di prevenzione, infine nel fornire a questi ultimi gli strumenti di protezione individuale per impedire il contagio. L’incapacità di fronteggiare il coronavirus nelle RSA si è innestata sulle precedenti inefficienze e storture dell’assistenza agli anziani, ancora diffuse, nonostante in Italia non manchino le buone esperienze. In particolare, è emersa una cultura dell’abbandono, coniugata a un’attitudine autoritaria nel gestire la vita delle persone fragili. Si auspica che questa dolorosa vicenda sia occasione per ripensare e ridisegnare il sistema di presa in carico degli anziani più fragili, con una scelta verso la domiciliarità, come luogo della cura e della protezione; nell’immediato, si assicuri l’adozione di misure di prevenzione adeguate su tutto il territorio nazionale, prevedendo linee guida di prevenzione specifiche per le residenze sociosanitarie per anziani”.

E’ quindi auspicabile una profonda revisione della bozza in quesitone, che superi i punti critici evidenziati: non sono semplici parole sulla carta, ma postulati le cui ricadute rischiano di fare la differenza tra la vita e la morte, tra lo Stato di diritto e la sua negazione, tra una reale pratica etica dell’arte medica e il suo rovescio. Come insegna Hans Jonas, “il paziente dev’essere assolutamente sicuro che il suo medico non diventi il suo boia e che nessuna definizione lo autorizzi mai a diventarlo[9].

Aldo Rocco Vitale

 

Pubblicato su Centro Studi Rosario Livatino ( CLICCA QUI )

 


[1] Cfr. altresì Aldo Rocco Vitale, Elementi per un rapporto tra allocazione delle risorse sanitarie e diritto alla salute come problema biogiuridico nell’emergenza del COVID-19, in “Giustiziainsieme.it”, 21 dicembre 2020.

[2] Ex plurimis: Daniele Onori, Covid 19: è anche emergenza usura, 6 novembre 2020; Daniele Onori, Covid 19: crisi economica e incremento del lavoro minorile, 18 novembre 2020; Daniele Onori e Daniela Bianchini, Covid 19: quali tutele per i disabili a scuola, 26 novembre 2020; Daniele Onori, Covid 19 e pedofilia: il lockdown fa crescere gli adescamenti, 30 novembre 2020; Stefano Nitoglia, DPCM a seguito del Covid 19: perché per il Tribunale di Roma sono illegittimi, 30 dicembre 2020; Daniele Onori, Covid 19 e salute mentale, 11 gennaio 2021.

[3] Non a caso il New York Times ha riportato l’allarme divampato nelle associazioni che rappresentano le persone affette da disabilità che in una simile prospettiva si vedrebbero negato il diritto all’assistenza sanitaria.

[4] «È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche…».

[5] «Ogni forma di discriminazione nei confronti di una persona in ragione del suo patrimonio genetico è vietata».

[6] «Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione».

[7] CNB, Covid-19: la decisione clinica in condizioni di carenza di risorse e il criterio del “triage in emergenza pandemica”, 8 aprile 2020, pag. 2.

[8] CNB, Covid-19: salute pubblica, libertà individuale, solidarietà sociale, 28 maggio 2020, pag. 16.

[9] Hans Jonas, Morte cerebrale e banca di organi umani: sulla ridefinizione pragmatica della morte, in Tecnica, medicina ed etica, Einaudi, Torino, 1997, pag. 170.

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