Il  Centro studi Rosario Livatino ( CLICCA QUI ) ha pubblicato il seguente articolo in vista del referendum sulla custodia cautelare.

Le ragioni per le quali all’approvazione del quesito referendario sulla custodia cautelare seguirebbe l’impossibilità di perseguire con efficacia gli autori di gravi reati sono illustrate dal presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione Pietro Dubolino, in un pezzo in parte già pubblicato il 18 luglio sul quotidiano La Verità.

1. Il bisturi, si sa, nelle mani di un buon chirurgo, è uno strumento prezioso, mediante il quale si può talvolta risolvere radicalmente una patologia altrimenti inguaribile o addirittura mortale. Ma se, per imperizia, impazienza,  distrazione o altro,  viene malamente usato, i risultati possono essere catastrofici. Ora, nel campo del diritto, il referendum abrogativo, quale previsto dall’art. 75 della Costituzione, è appunto assimilabile ad un bisturi, per cui il suo uso improprio può anch’esso dar luogo a conseguenze disastrose.

E tale sembra essere il caso di quello, tra i sei referendum sulla giustizia promossi da Lega e Partito radicale, che è  volto a limitare la possibilità di applicazione di misure cautelari personali,  quale ora prevista dall’art. 274, comma 1, lett. c), del codice di procedura penale, quando vi sia pericolo di reiterazione di condotte criminose. Nell’intento dei promotori, tale possibilità dovrebbe essere mantenuta nei casi in cui il pericolo di reiterazione riguardi «delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata», mentre dovrebbe essere esclusa nell’ipotesi  in cui il medesimo  pericolo riguardi altri delitti «della stessa specie di quello per cui si procede».

2.  Per la verità, la custodia in carcere rimarrebbe comunque  applicabile anche per una serie di reati previsti (direttamente o mediante richiamo all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater),  dall’art. 275, comma 3, del codice di procedura penale, quando non risulti positivamente esclusa la presenza di esigenze cautelari, ivi compresa quella derivante dal pericolo di reiterazione di condotte criminose. La suddetta serie, però, non comprende  alcuni reati assai gravi e frequenti, quali, ad esempio:  furto in abitazione, furto con scippo, rapina, estorsione, spaccio di stupefacenti, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ciò significa che per questi reati, in caso di successo del referendum, le misure cautelari personali potrebbero essere disposte  solo in presenza del pericolo di fuga o di inquinamento probatorio, quale previsto dall’art. 274, comma 1, lett. a) e b) , c.p.p. (salvo  il caso, per la rapina e l’estorsione, che vi sia stato uso di armi o di altri mezzi  di violenza personale).

Ed  è noto a chiunque abbia un minimo di conoscenza della materia che sono piuttosto rari i casi in cui possa fondatamente ritenersi, con riguardo ai reati in questione, che sussistano veri e gravi  pericoli di fuga o di inquinamento probatorio. Il più delle volte, quindi, le misure cautelari sono disposte proprio per il solo pericolo che l’imputato commetta altri reati dello stesso tipo; ragion per cui, una volta esclusa la possibilità di attribuire giuridica rilevanza  a tale pericolo, pur quando esso sia di assoluta evidenza (come, ad esempio, nel caso di soggetti plurirecidivi o, addirittura, dichiarati delinquenti abituali), all’imputato non potrebbe essere applicata né la custodia cautelare in carcere né alcuna altra misura cautelare personale (salvo, per la rapina e l’estorsione, che queste siano aggravate dall’uso di armi); il che ripugna, palesemente, al più comune buon senso.

3.   Come se non bastasse, vi è poi da aggiungere che gli stessi reati per i quali, come si è appena visto, non sarebbe più consentita l’applicazione di misure cautelari personali sulla base del ritenuto pericolo di reiterazione criminosa, resterebbero però compresi tra quelli per i quali l’art. 380 del codice di procedura penale impone alla polizia giudiziaria l’obbligo dell’arresto in flagranza. Di qui l’assurda conseguenza per cui la polizia giudiziaria resterebbe tenuta ad arrestare in flagranza soggetti i quali verrebbero poi immancabilmente rimessi nella più totale libertà nel breve volgere, al massimo, delle 96 ore complessive entro le quali l’arresto, per legge, dev’essere convalidato.

È facile immaginare con quale zelo e con quale entusiasmo gli appartenenti alla polizia giudiziaria (già ora ampiamente demotivati a causa della facilità con la quale i risultati del loro impegno vengono vanificati dalle frequenti, rapide scarcerazioni), si dedicherebbero all’adempimento dell’obbligo in questione, comportante anche, come è noto, rischi per la loro incolumità personale. E non si vede, tra l’altro, come  si possa pensare che  prospettive di tal genere  appaiano  gradite proprio a un elettorato come quello della Lega, notoriamente assai sensibile (a differenza di quello del Partito radicale),  alle esigenze di tutela della sicurezza individuale e collettiva, la quale passa anche attraverso la valorizzazione della funzione e dell’operato delle forze di polizia; esigenze, che, peraltro, è da ritenere siano avvertite anche dalla maggioranza dei comuni cittadini, indipendentemente dalla varietà degli orientamenti politici di ciascuno.

4.  D’altra parte, anche a voler  prendere in considerazione  il dichiarato obiettivo dei promotori, costituito dalla riduzione del ritenuto, eccessivo potere della magistratura, con particolare riguardo a quella  inquirente, appare difficile comprendere come e perché al conseguimento di un tale obiettivo potrebbe giovare l’esito positivo della consultazione  referendaria sulla custodia cautelare. Quel potere, infatti, ha ben altri fondamenti che non quello ravvisabile nell’ applicabilità di misure cautelari per la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione dei reati per cui si procede. Basti pensare alla possibilità che al pubblico ministero  è offerta, ai sensi dell’art. 330 del codice di procedura penale, di instaurare procedimenti penali a carico di chiunque,  sulla sola base di vere o presunte notizie di reato di cui lo stesso pubblico ministero, di propria iniziativa ed a sua totale e insindacabile discrezione, sia andato alla ricerca.

Non si vuol certo negare, con ciò, che la norma oggetto del quesito referendario possa essersi talvolta prestata ad uno uso distorto o strumentale. Ma la validità e l’accettabilità di una norma vanno valutate sulla base del  suo  oggettivo contenuto e della interpretazione che di esso deve darsi ai fini di una sua corretta applicazione; non sulla base di quelli che siano o possano essere stati gli abusi da parte dei soggetti tenuti  ad applicarla; abusi a fronte dei quali vanno adottati gli opportuni strumenti atti a prevenirli ed a reprimerli, senza però, ovviamente, sopprimere la norma, come invece, con lo strumento referendario, si vorrebbe fare; il che, richiamando una nota similitudine, equivarrebbe  a gettare via il bambino insieme all’acqua sporca.

Pietro  Dubolino

 

 

About Author