La politica può esaurirsi nell’esercizio del potere? Non c’è dubbio che il confronto e la competizione, nelle forme più crude, la lotta politica, il contrasto frontale siano finalizzati a quest’ultimo.
Il “potere”, se come tale intendiamo la facoltà e la responsabilità di guidare la vita delle istituzioni democratiche che discende dal consenso acquisito in una libera competizione elettorale, non ha in sé nulla di intrinsecamente diabolico, come talvolta sembrano ritenere certe anime belle che, mosse da un prurito moralistico, al potere – per lo più a quello degli altri – guardano con una diffidenza pregiudiziale o con malcelato sospetto.
Ciò non toglie che la politica possa essere drogata dal demone del consenso a tutti i costi, da una ricerca del potere mossa da una tensione che affastella tutto quello che può, secondo una logica di potenza che la riduce ad una mera esternazione della forza, a prescindere da un interesse generale, sacrificato ad una visione di parte delle finalità in gioco.
Cosicché si entra in una spirale che, anziché selezionare una classe politica effettivamente autorevole, produce generali che inseguono la truppa. Come se ne vedono anche da noi. Insomma, la politica si rovescia contro sé stessa.
E’ ovvio che un partito debba rappresentare gli interessi dei gruppi sociali ai quali rivolge prevalentemente la sua attenzione, ma sapendo che non si tratta di riprodurli in fotocopia e come tali tradurli sul piano istituzionale, senza interporre una lettura di ordine politico, in difetto della quale difficilmente possono essere ricondotti nella cornice di un disegno compiuto. Si presentano ingrottati o sovrapposti l’uno all’altro, contraddittori, fino a potersi escludere vicendevolmente. Vanno setacciati per separare il grano dal loglio, riordinati secondo criteri e priorità di valore e di consequenzialità logica. Soprattutto vanno, in ogni caso, vagliati e contemperati in funzione dell’ interesse generale della collettività. E’ esattamente quello che non succede, ad esempio, in quanto a vaccini e green pass, in particolare da parte dei partiti di destra.
Valga per tutti, quindi, il fermo avvertimento del Presidente Mattarella che, senza mezzi termini, ha affermato che vaccinarsi è un dovere civico e morale. Non è, infatti – ha ammonito il Presidente – il virus, bensì i provvedimenti per contenerne la diffusione, a limitare la nostra libertà. Senonché questo riordino degli interessi in gioco non riesce a chi ha una concezione della politica meramente empirica. Esigerebbe un ordine di valori fondativi di una posizione che è tale solo nella misura in cui va oltre la pura e semplice prassi contingente destinata ad esaurirsi nella conta elettorale.
Sovranismo, nazionalismo, populismo secondo le loro mille varianti, non hanno la portanza necessaria a volare alto sulla selva disordinata di desideri e di pulsioni, che, a quel punto, conducono il gioco e mettono sotto scacco i presunti condottieri.
A parte il ridicolo di una Lega che, in questi giorni, va in piazza contro i provvedimenti che approva in Consiglio dei Ministri o comunque contro l’ indirizzo politico generale che Palazzo Chigi promuove, è l’intera stagione che decorre dal febbraio 2020 a mostrare come la destra ondeggi paurosamente, ma pur sempre incline a difendere le “aperture”, tutto ciò che è riconducibile all’interesse economico immediato dei ceti che intende proteggere, talvolta perfino a loro dispetto, relegando in secondo piano il dovere di privilegiare, ad ogni modo, strategie dirette a salvaguardare la vita degli italiani.
La vita, che con la libertà è il primo diritto, fondativo di tutti gli altri. La libertà intesa nel suo valore profondo non è affatto messa in discussione da provvedimenti che, per quanto siano restrittivi, intervengono sul piano di determinati comportamenti quotidiani ed in nessun modo la offendono, anzi, addirittura ne esaltano il valore quando si accompagna alla consapevolezza che i sacrifici richiesti sono a protezione dell’intera collettività.
In definitiva, anche le vicende di questi giorni fanno sorgere la domanda se siamo in presenza di forze politiche autentiche, capaci di rappresentanza e di mediazione, espressione di una “parte” che, appunto in quanto tale, presuppone e riconosce un “tutto” oppure se la crisi del nostro attuale sistema politico è talmente profonda da vedere i partiti sostanzialmente ridotti a macchine elettorali impegnate in una contesa di potere che implode su di sé.
Domenico Galbiati