Domanda di cattivo auspicio, considerando cosa ne è seguito dopo che Lenin se la pose all’avvio del secolo scorso.
Eppure provocazione cui non si sfugge, forse oggi perfino a maggior ragione. “Problemi scottanti del nostro movimento”, aggiungeva Lenin nel sottotitolo.
E verrebbe da chiedersi: oggi chi, quale tradizione di pensiero, quale cultura politica può effettivamente evocare sè stessa come “movimento” e dunque proporsi di esplorare i propri “problemi scottanti”? A fronte di un mondo non più, come allora, statico e da forzare verso un cambiamento, bensì da rincorrere sull’onda di mutamenti che si accavallano uno sull’altro, verrebbe da dire – senza ironia – in modo “virale”, cioè, producendosi e riproducendolo da soli, al di là ed al di fuori di ogni plausibile indirizzo che siamo in grado di conferirgli da parte nostra.
La stessa pandemia non è forse la dimostrazione plastica, anzi l’esito, in un certo senso scontato, di una realtà che ci ha preso la mano e ci soverchia, per quanto, ad un tratto, ci fossimo illusi che la storia fosse finita, cioè, forti del nostro ingegno, ne avessimo noi condotto a termine il processo, approdando ad una nuova e permanente “età dell’oro”, grazie alla “potenza” ed alla tecnica?
Ora, come in un rodeo impazzito, caracolliamo pericolosamente sulla groppa di un cavallo selvaggio che cerca di disarcionarci ed a noi non resta che riprendere il controllo delle redini, se mai ci riuscisse di domarlo.
Ma, per venire a noi, il “mondo cattolico” – o meglio la “comunità dei cattolici”: detto così, anziché una sorta di “eone” indistinto, si sottolinea meglio la personale, indeclinabile responsabilità del singolo che a tale comunità concorre – è in grado di proporsi come “scout” che avanza tastando, palmo a palmo, un terreno scivoloso ed infido, ma con la fiduciosa certezza di avere in alto una stella polare che orienta il cammino? E, scendendo giù qualche rampa di scale, per giungere al microcosmo del nostro Manifesto ( CLICCA QUI ), come ci poniamo oggi, in quale prospettiva? Forse inesorabilmente nuova o almeno da ripensare, da riformulare? Oppure no?
Il nostro intendimento – colto con felice anticipo – era “trasformare”.
La prima tappa di questo percorso dovrebbe avvalersi della capacità di mettere in chiaro alcune verità, alcune valutazioni oggettive, quanto trascurate, che possano scardinare tante incrostazioni e schemi ossificati e ridare respiro alla dialettica civile ed al confronto politico che ne deriva e, ad un tempo, la ispira. Ora succede che questo lavoro critico – di decostruzione, potremmo dire – lo stia facendo il virus che basta da solo a porci davanti a domande dirimenti in ordine alle innovazioni radicali che si impongono, in ogni campo, nel nostro immediato domani.
Vuol dire che possiamo passare alla fase due del percorso, cioè ad un progetto di ricomposizione politica di un quadro di forze che siano culturalmente ed operativamente in grado di dare respiro ed efficacia alla democrazia rappresentativa?
E “serietà”, la cosa più semplice e più ovvia, eppure decisiva perchè sempre, in politica, la forma è sostanza e, dunque, ci vuole civismo, rispetto reciproco, reciproca legittimazione, compostezza del linguaggio e dei comportamenti e non è questione di galateo. Possono i cattolici, la nostra cultura democratica e popolare, di impronta personalista, rappresentare l’ “attrattore” attorno a cui riordinare le linee di un nuovo ed ordinato campo di forze, capace di ridarci, al di là della fase caotica e incomponibile in cui siamo immersi, la prospettiva di un futuro credibile?
Dipende in larga misura dalla nostra attuale capacità di tradurre nella vicenda storica dei nostri giorni, un grande patrimonio ideale e politico fondato sulla Dottrina Sociale della Chiesa e sulla nostra fedeltà alla Carta Costituzionale, sulla loro larga sintonia. Ma l’ attrattore” attorno a cui ricomporre e ricoagulare la “società liquida” non può essere un punto di riferimento indistinto. Dev’essere in grado di reggere un grande progetto di rilancio del Paese su nuove basi e, quindi, almeno per il tratto di strada sufficiente a tale progetto, deve saper realizzazione un’importante unità d’azione.
Senonché il rispetto integrale della vita, la libertà, la democrazia e la giustizia sociale, la pace, la cooperazione internazionale e la solidarietà non sono valori fungibili. Insieme stanno ed insieme cadono secondo quell’ammonimento – che abbiamo fatto nostro – a tenere insieme, nel solco dell’ispirazione cristiana, il versante dei valori etici e di quelli sociali.
Aperti a dialogare con tutti, ma anche a presidiare confini rigorosi, su ogni fronte, ove il laicismo individualista offende la dignità incontrovertibile della persona così come laddove il populismo sovranista ed un nazionalismo demagogico feriscono il tenore morale e l’indole ricca di valore umano del popolo italiano.
Domenico Galbiati
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