What is the past is prologue”: ciò che abbiamo visto è solo il prologo dice Shakespeare ( “La Tempesta,atto II).

L’avvio della nuova legislatura con la nomina dei presidenti di Senato e Camera ci ha già riservato, secondo tradizione italiota, alcune sorprese. Finiti i tempi che vedevano la presidenza di uno dei rami del Parlamento riservato all’opposizione, il centrodestra si è preso tutto ed ha imposto due figure notoriamente divisive.

Ciò ha consentito al solito Salvini, che ha perso milioni di voti, la spavalderia da bar dei vincitori: “due a zero e palla al centro”. Più prudente l’atteggiamento silenzioso della Meloni.

Altra sorpresa è la disfatta di Berlusconi nel primo confronto con gli alleati. Si era proposto agli elettori come garante di un equilibrio tra destra e centro ed invece ha giocato subito sul mercato dei ministeri, subendo uno smacco clamoroso. Per non dire, a proposito di mercato, nell’imperdonabile cedimento nelle opposizioni dove i soliti ignoti hanno portato acqua alla maggioranza per le elezioni del presidente del Senato.

Le condizioni per governare sono notoriamente la stabilità della maggioranza e la capacita dell’esecutivo.

Sulla prima è difficile in un Paese come il nostro avere certezze. Nonostante i numeri, che ci sono, i rapporti tra i partiti della maggioranza hanno messo in evidenza le prime crepe ancor prima di cominciare.

L’insediamento del governo e i riti che lo accompagneranno metteranno subito in secondo piano la baruffa, ma se la frattura avviene sul numero e sul ruolo dei ministri figuriamoci cosa potrà accadere sugli interventi del governo.

L’altra condizione, la effettiva capacità dell’esecutivo, si misurerà nel breve termine. Non tanto sulla qualità dei ministri scelti quanto piuttosto sul disegno strategico del programma, ben oltre le emergenze.

I primi “cento giorni” vedranno tutti al lavoro per affrontare problemi non aperti ma spalancati: il gas, le bollette, le imprese a rischio, l’inflazione, la guerra, il silenzioso riapparire del covid.  Sin qui ci sta un primo tempo per capire l’effettiva capacità dell’esecutivo. Poi la misura sarà sul disegno del governo.

I nomi che circolano con insistenza, e quanto già noto dei programmi, lasciano intendere un profilo conservatore. Ma quale? Quello inglese o reaganiano o i modelli ungheresi o più probabilmente polacco?

Non sembrano in discussione la collocazione nell’alleanza atlantica e la scelta europea, salvo vedere quali saranno i rapporti reali con Bruxelles.

Sui diritti civili, tanto evocati dall’opposizione, non dovrebbero esserci sconquassi: proprio perché politici, al governo si guarderanno bene di evitare confronti sociali su immigrazione, aborto, identità di genere.

Resta il ruolo dell’opposizione tutto da capire, ed è lecito domandarsi quale.

Il PD ha perso più di un milione di voti ed è ormai in crisi di identità: non è il partito laburista, né il partito socialdemocratico. Non è nemmeno il partito riformista come scrive Stefano Feltri, visto che è stato al governo a lungo ma le poche riforme le ha fatte Draghi.

I Cinque Stelle hanno perso sei milioni di voti (nemmeno uno è andato al Pd) ed hanno già dimostrato di essere particolarmente disinvolti governando con la destra o con la sinistra. A parte alcune ambiguità preelettorali Conte non è andato molto oltre dall’essere avvinghiato al tema del reddito di cittadinanza.

Troppo pochi nel terzo polo per un’opposizione che lasci il segno.

Forse è venuto il tempo di rifondare i partiti, di tornare alla vicinanza dei cittadini, di fare i congressi dove si confrontano le proposte, delle assemblee cominciando dai Comuni, di coinvolgere la società civile saltando a piè pari il mondo sballato dei social, come si usava un tempo. Speriamo che l’avvento dei conservatori lo faccia capire.

Guido Puccio

 

 

 

 

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