In questi giorni si parla tanto di cittadinanza italiana, di come concederla e a chi. La domanda da porsi però è: “perché”?

Lavorando come docente in un istituto professionale ho avuto modo negli anni di conoscere parecchi studenti stranieri, alcuni arrivati pochi anni fa, altri migrati nel belpaese da bambini e altri ancora nati qui da famiglie straniere e, dalla mia esperienza, la grande, grandissima maggioranza di loro tutto si sentiva meno che italiana. Che fossero moldavi, ucraini, rumeni, marocchini, tunisini, burkinabé o senegalesi affrontando la questione la riposta non cambiava.

Di seguito riporto un dialogo che più e più volte ho affrontato nelle aule, alle macchinette, in cortile o ovunque uscisse l’argomento. Il dialogo è reso esattamente come si svolge con l’italiano dei miei studenti incluse espressioni “colorite” o gergali.

“Prof io mica sono italiano, si l’Italia mi sta simpatica ma io sono (tunisino, senegalese…) La cittadinanza? Beh certo che dovete darcela sennò è uno sbatta cioè non puoi fare questo, quello, poi devi andare in questura, in consolato per i permessi, i documenti…” Al che la risposta del solito rompipalle del prof di storia era più o meno la stessa: “Ma quindi fammi capire tu vuoi la cittadinanza italiana per snellire pratiche burocratiche varie, avere un passe-partout per l’Europa e vantaggi vari ma sai vero che poi avrai anche diritto di voto, responsabilità verso l’Italia che, in caso di catastrofe, può anche sfociare nella leva obbligatoria?” Ebbene anche la risposta non variava: “Ma prof lei è pazzo! Io non voto, checcazzo menefrega a me? Sono cazzi degli italiani! Io sono [marocchino, rumeno ecc.] a me la cittadinanza serve ma resto della mia nazionalità. Votare non voto e se ci fossero guai, giuro, io torno al mio paese. Te l’ho detto: non voglio pagare il rinnovo del permesso, perdere tempo in questura o al consolato. Comunque non si preoccupi tra poco qui comanderemo noi, voi siete vecchi e pochi. Vai a Milano a vedere chi comanda [nei quartieri]: nordafricani, cinesi, rumeni… ma anche qui cominciamo! Uallah [te lo giuro] voi siete dei fessi cioè lasciate fare quel cazzo che ci pare al mio paese non è così…”

Ovviamente, poi, la conversazione prosegue e può riguardare varie tematiche toccate dal perché si vota al capire cosa intendono per possiamo far quel che ci pare ecc.

Avendo portato decine di studenti a fine ciclo di studi (alcuni di loro terminano a 20 o più anni) mi trovo a ritenere la questione dello Ius Culturae una emerita sciocchezza: il sentirsi di una nazionalità o meno ha poco a che vedere con un ciclo di studi ha più a che fare con il personale sentire dell’individuo.  Al di fuori dell’esperienza come insegnante posso contare sulla conoscenza di numerosi stranieri a titolo personale che, a loro volta, pur risiedendo e lavorando qui da decenni, al pari dei miei studenti, italiani non si sentono. Ulteriori approfondimenti li ho potuti fare, trasversalmente, come giornalista soprattutto confrontandomi con membri della comunità turca immigrata nel comasco nei primi anni ’90: anche loro si sentono turchi al 100% a prescindere dalla cittadinanza.

Sicuramente la mia esperienza è limitata e non valida come campione statistico ma, e qui la domanda, prima di accapigliarci su Ius Soli, Sanguinis e Culturae qualcuno ha proposto un sondaggio tra i beneficiari di queste misure epocali?  Qualcuno ha provato a chiedere ai non italiani qui residenti cosa pensano e cosa vorrebbero? Siamo sicuri che vogliano essere cittadini e non semplicemente stranieri residenti?

Ecco io penso che uno studio di tal genere debba essere conditio sine qua non per provare a mettere mano al problema evitando i provvedimenti ideologici che, lo sappiamo, hanno la brutta abitudine di concludersi con un suicidio politico a cui, come diceva Churchill, di solito si sopravvive abbastanza a lungo da pentirsene.

Da storico lasciatemi poi dire che se dobbiamo pensare a un modello di integrazione degli stranieri forse è meglio guardare a chi della multietnicità ha fatto un punto di forza e non a chi con la multietnicità ha fatto solo pasticci come, ad esempio, tutte le ex potenze coloniali europee. Per quel che vale l’impero multietnico più grande e longevo della storia è stato quello di Roma Antica. Pur riconoscendo la distanza siderale che ci separa dai nostri antenati, studiando il loro sistema di concessione della cittadinanza (tutt’altro che semplice) forse potrebbe uscire qualche buona ispirazione. Mi limito a semplificare: Roma annettendo la gran parte del mondo conosciuto ha portato entro i suoi confini i popoli più disparati, ma non ha mai romanizzato forzatamente; al contrario, ha sempre ammesso che ciascun popolo mantenesse i suoi usi e costumi e difficilmente concedeva la cittadinanza. Non erano i romani a voler dare la cittadinanza (salvo premi per meriti), bensì erano i popoli che abitavano il mondo romano che iniziavano a richiederla quando si sentivano parte di quel mondo.

Ecco, forse dovremmo approfondire la lezione romana che, tutto sommato, ha portato a una storia millenaria e a un impero che ha visto ai suoi vertici indifferentemente Arabi, Italici, illirici, Galli, Greci e Germani: tutti uniti dall’essere cittadini romani.

Mattia Molteni

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