Il “Piano Colao” è arrivato e con esso sono arrivate, come è normale, critiche, distinguo e approvazioni condizionate.
L’aspetto più criticato è che il piano si sia limitato a elencare azioni, senza indicare i costi delle singole azioni: l’unico riferimento di bilancio è se l’implementazione delle singole azioni richiederà o no spese e se l’eventuale finanziamento delle stesse sarà prevalentemente di natura pubblica o privata.
Questa critica sarebbe fondamentale se fossimo in presenza di un “piano”, che necessariamente deve riportare anche una quantificazione dei costi e benefici attesi e soprattutto una classificazione, in ordine decrescente, di priorità, poiché un “piano” deve fare i conti con i vincoli di bilancio, che fanno sì che “nessun pasto è gratis”, per cui l’azione che precede le altre toglie risorse a queste ultime, nel complesso.
Penso però che l’incarico dato a Colao dal presidente Conte fosse semplicemente la messa in evidenza di una serie di azioni da adottare per uscire dalla crisi economica e sociale provocata dalla pandemia di coronavirus. Le scelte da effettuare per stilare le azioni in termini di priorità (con conseguente quantificazione delle risorse necessarie affinché le azioni scelte siano rese operative) non possono essere demandate a un gruppo di esperti, poiché sono di stretta competenza del Governo e del Parlamento (a meno che non si voglia riproporre la gag di non molto tempo fa di un Presidente dell’INPS – istituzione tecnico-operativa – che, sentendosi forse Ministro del Lavoro, e ancor più, dava precise indicazioni di politica sociale a Governo e Parlamento). Allo stesso modo, non sarebbe corretto – anche se sovente è stato così – che programmi politici, ad esempio per competizioni elettorali, fossero lunghe elencazioni di cose da fare senza indicazione di priorità.
L’incarico di cui parliamo è stato però prontamente indicato come “piano”, credo da fonte giornalistica – all’interno della quale non sono pochi a pensare (forse per reminiscenze storiche) che un “piano” sia cosa seria e impegnativa; ciò di cui abbisogniamo – ma così non era e così non è stato.
Ciò premesso, v’è comunque che il Documento della Commissione Colao sembra far trasparire delle precedenze nella rilevanza degli argomenti quando presenta i sei campi seguendo l’ordine:
1) Impresa e Lavoro; 2) Infrastrutture e Ambiente; 3) Turismo, Arte e Cultura; 4) P.A.; 5) Istruzione, Ricerca e Competenze; 6) Individui e Famiglie.
Ovviamente non sono in grado di dire se la precedente elencazione vuole indicare anche una precedenza nelle preferenze della Commissione: che l’aver messo al primo posto l’argomento “Imprese e Lavoro” e all’ultimo posto l’argomento “Individui e Famiglie” voglia dare l’indicazione che, avendo dato la precedenza alle persone rispetto all’economia creando il lockdown, ora, superata (?) la pandemia, la precedenza debba andare alla ripresa economica e che l’attenzione alle persone (individui è brutto) possa segnare un po’ il passo.
Questa però può essere una supposizione senza fondamento. Fondato, invece, è che il Documento in parola contiene un’ennesima riproposta di condono fiscale quale strumento per far emergere il sommerso. È il corso del fiume carsico del condono fiscale che riemerge – dando il solito messaggio che fa male a chi paga correttamente le imposte – riedizione di un qualcosa già visto ripetutamente, così come lo è il pendolo del Codice degli appalti che oscilla perennemente fra attenuazione e accentuazione dei vincoli. I vincoli non sono eliminabili poiché si è in presenza di spesa pubblica che dev’essere vigilata, esattamente come viene vigilata la spesa privata di imprese e famiglie, con la differenza che, nel secondo caso, chi fallisce il controllo ne ha un danno personale mentre, nel caso pubblico, ad essere danneggiata è la comunità e non chi non ha fatto il corretto controllo. E non è corretto richiamare la velocizzazione dei processi che si è avuta con successo, riducendo di molto i vincoli in certi casi eccezionali (come per la ricostruzione del ponte della A10 sul Polcevera a Genova). In casi del tutto particolari (come quelli aventi un forte impatto mediatico e quindi facilmente sottoponibili a controllo da parte della comunità) si possono creare percorsi costruiti su misura, ma è ovvio che l’eccezionalità delle procedure non trova giustificazione nei casi non eccezionali!
Ciò non toglie che i processi devono essere resi più veloci applicando appropriate tecniche di trasmissione e comunicazione, che riguarda peraltro tutto il funzionamento della P. A.
Non è qui possibile, per motivi di spazio, analizzare tutti i campi e tutte le schede di ciascun campo e neanche molto interessante, dato che diverse schede non fanno che riprendere spunti di cose da fare già ampiamente noti. Mi soffermerò solo sul campo strategico “Infrastrutture e Ambiente”, in questo momento particolarmente significativo.
In effetti, il Documento ne tratta in modo poco innovativo: in gran parte è una riedizione di vecchi programmi, sempre dichiarati e mai realizzati se non in minima parte, come nel caso del trasporto ferroviario. In questo, infrastrutture necessarie e imprescindibili non sono solo le grandi opere, ma anche e soprattutto la dimensione e la qualità della rete ferroviaria nel complesso. Tempo fa c’era chi magnificava il fatto che, con la linea TAV, un’impresa di Torino potesse far arrivare rapidamente i suoi prodotti a Kiev; ma se non opera una valida (per dimensione e qualità) rete ferroviaria locale, come faranno le imprese localizzate a nord e a sud della TAV a far arrivare i loro prodotti alla TAV stessa di modo che possano rapidamente arrivare a Kiev? (Ora non più così perché, per molto tempo ancora, se mai, la TAV si arresterà poco dopo il confine nordorientale del nostro paese!).
Quanto alle politiche energetiche, esse non possono essere realizzate solamente mediante il potenziamento di interventi di efficientamento energetico, ma devono riguardare anche interventi decisi nei confronti dello sfruttamento delle fonti rinnovabili (sole, acqua, vento) e una politica fiscale che penalizzi la produzione e il consumo di merci e servizi inquinanti (come i combustibili fossili) ed elimini i sussidi pubblici a favore di attività produttive dannose per il clima, l’ambiente naturale e il territorio. La finanza pubblica deve rinunciare a finanziare attività industriali oramai obsolete e inquinanti e a concedere aiuti alle compagnie petrolifere né per attività di ricerca e trivellazione né in presenza di cadute del prezzo internazionale del petrolio.
Parallelamente, le politiche industriali devono operare a favore delle produzioni e delle tecnologie per la produzione di beni (merci e servizi) “verdi” capaci di aumentare la sostenibilità del sistema economico, riducendo: le emissioni aventi impatto negativo sia nelle attività di produzione sia nelle attività di consumo, l’impiego di sostanze e di apparati inquinanti, il consumo di energia e di materie prime non rinnovabili, l’impatto sul cambiamento climatico, il consumo del suolo.
Daniela Ciravegna
Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione i Popolari del Piemonte ( CLICCA QUI )